IL PUNTO DI PETRULLO: UNA DEMOCRAZIA SENZA SUFFRAGIO UNIVERSALE NON È UNA DEMOCRAZIA
Con la riforma costituzionale, sulla quale siamo chiamati al voto il 4 dicembre, il senato non godrà più del suffragio
Con la riforma costituzionale, sulla quale siamo chiamati al voto il 4 dicembre, il senato non godrà più del suffragio universale e le sue competenze risulteranno limitate. Se sia un bene o un male, oggi non possiamo affermarlo con certezza. Certo è che col combinato disposto di riforma della costituzione e Italicum, la frattura che esiste fra la classe politica e il paese si acuisce e non di poco. Il legame fra parlamentare e i suoi elettori è sempre stato il collante fra paese reale e politica. Fin tanto che c’è stato questo forte rapporto, nessuno ha mai parlato di stipendi lauti dei parlamentari e dei loro privilegi. Semplicemente si chiedeva il conto al parlamentare: all’italiana, cioè chiedendo il conto dei favori ottenuti o più seriamente giudicando l’operato del proprio eletto. Anche la figura del parlamentare era molto più dignitosa: non un mangiapane a tradimento, buono solo ad alzare una mano nelle votazioni in aula, ma un vero e proprio ponte fra cittadino e stato. Con tutti gli onori e il rispetto che questo comportava. Ora invece si da addosso al parlamentare anche senza motivo. I partiti, vero e proprio cancro italiano, poco per volta, hanno pensato bene di evitare le sorprese dell’urna che tante volte capovolgevano le previsioni di partito -promuovendo casomai qualcuno scomodo- portando in massa, o quasi, gli umili servitori di partito se non di corrente a Roma. Inevitabilmente si è abbassato il livello medio di competenze e si è favorito il passaggio, del tipo transumanza, delle greggi in Parlamento. Col senato nuovo sarà così, se passerà la riforma. Si è quindi creata una spaccatura ancora più vistosa fra paese e istituzioni, come si diceva, frattura che ora si corre il rischio di rendere insanabile. Il suffragio universale è la forma più credibile di partecipazione democratica, negandolo è come se si evirasse chi alimenta la democrazia, rendendolo impotente. Spingere lontano l’elettore, facendogli capire che senza di lui è addirittura meglio, significa umiliarlo, canzonarlo, ripetendogli, poi, che la nostra repubblica ripone il potere nel popolo, appunto, sovrano. Balle. Ma i partiti, a una macroscopica avidità, non pongono il contrappeso della saggezza, perdono di lucidità e continuano ad accentrare ogni destino, o scelta che sia, nelle proprie mani. Anche per questo motivo hanno proliferato i partiti personali, nati sulla scorta della grande attrattiva di un personaggio, o sul potere in quel momento posseduto da un altro, perché conveniva stare alla tavola. Un Alfano ha potuto creare un partito solo perché ricopriva cariche di potere, richiamando, come api sul miele, tanti furbastri interessati alla mensa imbandita, anche se per pochi. Ma il suo partito è una scatola vuota, come altre, soprattutto, totalmente priva di una idea politica, risultando, questo sì, una espressione di antipolitica, intesa appunto come mancanza di politica. L’illusione di partecipare al gioco della elezioni, di avere un riferimento specifico nella persona votata perché scelta, è il segreto delle democrazie, che, se alimentate, creano un clima di serena competitività. Cosa che oggi non abbiamo perché i cittadini stanno da un lato e i politici da un altro, e questi si fanno la guerra per la loro personale esistenza. Il contesto è quello dell’assenza di progetti, idee, ideologie. In questo vuoto pneumatico si aggirano, ferocissimi, i Renzi, i Berlusconi, e tutti gli altri, avide belve coi canini sempre pronti ad azzannare quel che capita, feroci come lupi affamati e, pertanto, privi di quella leggerezza propria di chi non ha interessi personali. Questa riforma costituzionale è figlia di questo perenne conflitto fra politici, divide invece di riunire. Rifare le regole del gioco dovrebbe vedere l’entusiastica partecipazione di tutti, con l’unico scopo di trovare una seria mediazione. Invece oggi noi siamo divisi come interisti e milanisti, come in uno stadio, o meglio ancora, in una arena. Ma proprio non si riesce a riportare un clima di distesa serenità in Italia. Basterebbe occuparsi, per un attimo e seriamente, dei problemi, quelli autentici non quelli finti, e tutti ci stringeremmo attorno a uno scopo da perseguire, ma questo sarebbe la fine di questa classe politica, forse la peggiore da quando la democrazia è ufficialmente in vita. E quindi siamo costretti a subire questo indecente spettacolo senza poter neanche provare a intervenire. Ma, giuro, non vedo l’ora che finisca.