IL PUNTO DI PETRULLO. NESSUN CAPO, TUTTI CAPI, IL PD CORO (STONATO) A PIU’ VOCI
Il dopo Referendum si anima con la solita mutevole capacità di cavalcare ogni indomito destriero da parte soprattutto, e per
Il dopo Referendum si anima con la solita mutevole capacità di cavalcare ogni indomito destriero da parte soprattutto, e per primi, degli sconfitti. I dibattiti televisivi vedono i teorici di ieri del sì disquisire sui punti di caduta della campagna referendaria di Renzi, mai oggetto di discussione fino a domenica sera. Gli equilibristi della stampa, quelli che non cadono mai, o meglio che mentre cadono hanno già aperto il paracadute, conservano però la stessa sicumera dialettica e la prosopopea anche gestuale di chi “come mai potrebbe sbagliare”, e se qualcuno ricorda loro che avevano sostenuto a spada tratta il sì, gli rivolgono uno sguardo stralunato del tipo “ma non hai capito proprio niente?”. I miracoli dell’ italiano tipico. Ora però sono un po’ in ambasce: non sanno, cioè, se Renzi tira e fino a quando. Non vorrebbero abbandonarlo per poi ritrovarselo davanti ancora per qualche mese, giammai! Ecco, il posizionamento è l’altra disciplina olimpica tutta italiana, dopo il salto sul treno del vincitore o quello dal treno del perdente. Medaglie d’oro da sempre, anche da quando nella Grecia che fu, la disciplina ancora era al vaglio degli Dei che tentennavano ad inserirla nell’elenco. Venendo alla nostra amata regione, gli effetti del Referendum tardano ad arrivare, i consigli regionali sono sempre più deserti, quindi pericolo scampato per il Senato in quanto i nostri eroi laboriosissimi non vi approderanno, e il PD, a un ripetuto appello, non risponde ancora presente. E certo, senza un Segretario cosa potrebbe mai dire, quale voce univoca potrebbe mai sortire dalle sue parti? Il PD lucano ha scelto la strada dell’anarchia, quindi, in perfetta e totale controtendenza alle riforme renziane che vedevano, invece, una ricorso al decisionismo di sempre meno persone. Dalle nostre parti, invece, esiste un codice di autoregolamentazione del Partito Democratico, in base al quale la voce del partito è data dalla sommatoria delle singole e diverse voci di più personaggi. L’effetto sonoro è una melodia soave, che dal piano pianissimo arriva in un batti e baleno a un forte fortissimo per poi ritornare a ritmi più blandi, un po’ come la Primavera di Vivaldi, quando arriva il temporale che poi, subito, svanisce. Insomma non li vedremo mai schierati tutti assieme come gli AllBlacks impegnati in una beneaugurante Haka. Eppure come li vedrei bene: in prima fila Speranza, De Filippo e Bubbico, e poi tutti gli altri, in mutandoni e faccia con ghigno feroce. Il fatto è che il PD, a Roma come da noi, non è più un gruppo, una squadra, una famiglia, è piuttosto una fredda società per azioni, ognuno con la sua quota societaria sempre a rischio di essere svalutata o scippata da qualcuno appena arrivato. Ma lo scossone è stato forte. Loro, i politici, non se sono ancora accorti seriamente, credono ancora di essere i depositari del verbo, i periti peritorum della vita, peggio dei magistrati col diritto e cincischiano con un ritorno del neo sconfitto Prodi, approdato al sì forse proprio alla bisogna, o con formule alchemiche delle quali Mattarella custodisce il segreto. Infine, chissà se Renzi, leccate e lenite le ferite più sanguinanti, non stia meditando un colpo a sorpresa. Io spero proprio di no, ma chi può escluderlo?