Cronaca

«Vita difficile, va curato non carcerato»

Può essere che chi commette reati sia esso stesso una vittima? Nel capoluogo lucano tra novembre e dicembre dello scorso

Può essere che chi commette reati sia esso stesso una vittima? Nel capoluogo lucano tra novembre e dicembre dello scorso anno è balzato alle cronache cittadine il caso del “falegname di Verderuolo”, ossia Antonio Melfi, reo di atti osceni in luogo pubblico aggravati dalla circostanza di essere stati commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori. Uno dei due episodi contestati a Melfi è avvenuto proprio a danno di una minorenne.
Sottoposto ai domiciliari dal 22 dicembre 2016, oggi si apprende che i suoi avvocati difensori vogliono che venga revocata al loro assistito la misura cautelare degli arresti domiciliari. Tale istanza è stata avanzata alla dottoressa Catena, ossia al giudice monocratico che il 2 marzo con giudizio diretto dovrà sentenziare sul caso.
Solo in via subordinata, prosegue e chiude la richiesta degli avvocati, si chiede di sostituire la misura con una meno afflittiva.
Come motivazione allegata viene addotta la cessata sussistenza di ogni esigenza cautelare che aveva motivato in principio tale scelta.
A Melfi è stato diagnosticato un disturbo “schizzoaffettivo”, che starebbe, secondo le difese, migliorando.
Ma ciò che con più evidenza i difensori hanno inteso porre all’attenzione del giudice è il fatto che Melfi abbia un vissuto personale difficle e segnato da importanti sofferenza. Due episodi su tutti andrebbero presi in considerazione. All’età di sei anni ha perso la madre. Poi quando aveva dodici anni si ammala gravemente il padre. Malatia purtroppo conclusasi con la morte del genitore.
Di questi funesti eventi la psiche del giovane ne avrebbe fortemente risentito. Tanto da sfociare nel patologico come dimostrerebbe l’individuato disturbo schizzoaffettivo.
L’imputato tra gennaio e febbraio si è sottoposto, presso il Centro di salute mentale di Potenza, oltre che al test della personalità, a vari colloqui psicologici e psichiatrici. Pertanto ha intrapreso un percorso terapeutico.
Nell’ultimo incontro la psichiatria che lo assiste ha riscontrato un progressivo miglioramento del paziente, Melfi avrebbe mostrato una maggiore aderenza alla realtà e una più alta capacità di controllo, connesssa a una minore impulsività.
Fattore, quest’ultimo, che per gli avvocati si collocherebbe alla base degli episodi che lo vedono protagonista in negativo e che si sarebbero verificati, per la precedente difficoltà di Melfi all’autocontrollo. Parrebbe che la problematica del ragazzo a dominare certi impulsi stia, seppur lentamente, rientrando proprio grazie alla terapia psicologica e farmacologica a cui Melfi si è sottoposto. Lo stesso avrebbe maturato la volontà di proseguire il percorso di cura iniziato anche a condizione di trasferirsi presso una struttura comunitaria.
Il 2 marzo il giudice scioglierà le riserve e sentenzierà. Per il reato di cui Melfi è accusato il codice penale prevede la pena della reclusione di un periodo che può variare da quattro mesi a quattro anni e sei mesi.

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