LA DOPPIA PREFERENZA DI GENERE amministrative 11 giugno 2017
ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2017: LA DOPPIA PREFERENZA DI GENERE L’11 di giugno si terranno in numerose città italiane le elezioni
ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2017: LA DOPPIA PREFERENZA DI GENERE
L’11 di giugno si terranno in numerose città italiane le elezioni amministrative.
Dei comuni al voto, 4 sono capoluoghi di regione: Catanzaro, Palermo, Genova e l’Aquila.
Per molti sarà la prima volta che si andrà al voto con la vigenza della legge 215 del 2012 che introduce strumenti volti a favorire la parità di genere.
Il principio di parità di genere nelle istituzioni pubbliche e in materia elettorale trova copertura costituzionale negli articoli 3 e 51, nonché nella normativa dell’Unione Europea ed è una questione centrale nel dibattito pubblico, politico e parlamentare.
La sentenza 81 del 2012 la Corte costituzionale ha consacrato i principi già in precedenza affermati dai giudici di merito, avallando la tesi della “precettività” e, quindi, della immediata cogenza delle norme in materia di parità di genere affermando che: “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”.
Nello novembre di quello stesso anno è stata approvata dal Governo Monti la citata legge 215, entrata poi in vigore il 26 dicembre 2012, recante ” Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali”.
Tale normativa, si colloca nell’alveo delle “azioni positive” e promozionali della parità di genere nell’accesso alle cariche elettive degli enti locali e territoriali, incidendo sulla legislazione elettorale di competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda i comuni e le città metropolitane.
Le disposizioni vengono introdotte “novellando” l’articolo 71 (per i comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti) e 73 (per i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti) del Testo Unico sugli Enti Locali (D.lgs 267/2000).
La nuova legge ha previsto per i Comuni sopra i 5000 abitanti, in particolare, due strumenti finalizzati a favorire un bilanciamento nella rappresentanza di genere nei consigli comunali e circoscrizionali che in più occasioni sono stati giudicati dalla Corte Costituzionale conformi alla costituzione e, financo, doverosi.
Il primo di questi strumenti è la “quota di lista”: nelle liste elettorali i candidati di uno stesso sesso non possono superare i due terzi del totale.
Il mancato rispetto della quota può determinare la decadenza della lista elettorale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, mentre negli altri è solamente richiesta la “presenza di entrambi i sessi” ai fini dell’ammissibilità della lista.
La commissione elettorale ha il compito di verificare il rispetto della quota.
In caso di mancato rispetto della stessa, è previsto che la commissione provveda a ridurre la lista cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato, procedendo dall’ultimo della lista.
La Corte Costituzionale, a partire dalla nota sentenza 49 del 2003, ha evidenziato come i vincoli alla formazione delle liste non incidono sul diritto fondamentale del cittadino alla libertà del voto, ma solo sulla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali.
Il secondo strumento messo a disposizione dalla legge è la “doppia preferenza di genere”: l’elettore può esprimere fino a due preferenze (anziché una) a condizione che indichi candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda scelta. Le scelte devono essere relative allo stesso simbolo di partito.
La doppia preferenza di genere è stata introdotta per la prima volta nella legge elettorale della regione Campania n. 4/2009.
Il Governo Berlusconi impugnò tale provvedimento per asserita violazione degli articoli 3, 48 e 51 della Costituzione, ma la Consulta ha dichiarato, invece, la piena costituzionalità della doppia preferenza di genere, in quanto “norma riequilibratrice” volta ad ottenere un’azione positiva, di promozione.
Nella sentenza 4 del 2010, difatti, si legge che la doppia preferenza di genere “non prefigura il risultato elettorale” rispetto a quello che sarebbe stato il risultato di una scelta degli elettori in assenza di tale strumento.
Usufruire dello strumento della doppia preferenza di genere non è obbligatorio per l’elettore, ma con una chiara informazione si può arrivare ad una percentuale maggiore di donne nelle istituzioni locali, già anche alla luce della non obbligatorietà per l’elettore di usufruirne.
Una corretta informazione sulla doppia preferenza di genere può portare ad una presenza maggiore di donne nelle istituzioni locali, già aumentata in tre anni (dicembre 2012-dicembre 2015) del 38,8%.
Dott.ssa Alessia Bausone
Giurista – Università di Catanzaro