UN ANNO SENZA BEATRICE, LA POETESSA DEI DUE MONDI
di Leonardo Pisani “Noi viviamo in Lucania, le nostre poesie regolarmente inviate in lettura e conosciute privatamente, sospettiamo che non
di Leonardo Pisani
“Noi viviamo in Lucania, le nostre poesie regolarmente inviate in lettura e conosciute privatamente, sospettiamo che non vengano lette.
Vogliamo che le leggiate, correndo in piena coscienza, nell’Italia dei 600.000 poeti, il rischio di essere derisi.Non siamo legati ad alcuna scuola, se non a quella che ci ha stampati il libro: una tipografia di campagna”.
Questo l’incipit di 53 poesie di Vito Riviello e Beatrice Viggiani, pubblicato grazie a Gerardo Capoluongo nel lontano 1963, un libro introvabile e misconosciuto nonostante ebbe un notevole successo anche fuori Basilicata.
Un anno fa ricevetti la notizia della scomparsa della “poetessa dei Due Mondi” una delle più raffinate poetesse lucane contemporanee, di questa donna straordinaria, libertaria, che fece scalpore per alcune sue scelte, ne avevo sentito parlare ma non ne sapevo molto. Sapevo delle sue poesie, ma non le avevo lette. Ebbi occasione di incontrarla a Napoli, per una video intervista. L’intervista non era facile, Beatrice Viggiani era amica di Sinisgalli, di Vito Riviello, di Umberto Eco, aveva conosciuto Sarte e Picasso. Durante il viaggio da Potenza verso Napoli – stavamo preparando la presentazione della riedizione di 53 poesia di Riviello e Viggiani con l’Universum Academy Basilicata ed edita da UniversoSud – ne discutevo, confidando alcune perplessità a Edoardo Angrisani .
“Noi viviamo in Lucania, le nostre poesie regolarmente inviate in lettura e conosciute privatamente, sospettiamo che non vengano lette.
Vogliamo che le leggiate, correndo in piena coscienza, nell’Italia dei 600.000 poeti, il rischio di essere derisi.Non siamo legati ad alcuna scuola, se non a quella che ci ha stampati il libro: una tipografia di campagna”.
Questo l’incipit di 53 poesie di Vito Riviello e Beatrice Viggiani, pubblicato grazie a Gerardo Capoluongo nel lontano 1963, un libro introvabile e misconosciuto nonostante ebbe un notevole successo anche fuori Basilicata.
Dopo 53 anni toccava a me intervistare la poetessa e donna di cultura della quale avevo tanto sentito parlare e letto. Ammetto che ero un po’ in difficoltà su cosa chiederle, non tanto per le domande perché un minimo di mestiere e di esperienza ormai credo di averla, ma come approcciare il personaggio alquanto poliedrico, oltre ad aver frequentato e vissuto ambienti culturali disparati e di notevole suggestione per chi come me ha solo potuto informarsi e leggere mentre Beatrice ne è stata protagonista. La Viggiani, nipote di Giustino Fortunato, amica di Vito Riviello, Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro; la Beatrice che ha conosciuto Sartre, Picasso; l’amica di Umberto Eco e Gabriel Garcia Marquez; la poetessa in castigliano che in Venezuela ha avuto nel suo insegnamento da volontaria nelle carceri un allievo arrestato per un golpe; quel giovane ufficiale era Hugo Chavez futuro presidente del Venezuela, con il quale mantenne un rapporto di profonda amicizia. Insomma, molti argomenti ed interessanti; non facile e potevo correre il pericolo di essere banale dato che Beatrice Viggiani – lucidissima- era ed è un donna dalla personalità vulcanica e piena di verve. Sotto il sole di Posillipo, con un vento che da una parte ci rinfrescava ma forte nel suo spirare creava problemi; arriva improvvisamente un fulmine verbale, un colpo di scena, una sorpresa la quale mi ha non solo colpito ma anche emozionato. Mi ha inorgoglito da aviglianese ma anche fatto pensare e riflettere molto. Ed ho pensato ai I Cusci… Quel termine usato con disprezzo a Potenza per definire i contadini aviglianesi delle campagne potentine , poi tutti gli aviglianesi a sfottò ed ora usato come sinonimo di maniere grezze, incolte, inurbane insomma il tamarro o le tammarate per dirla in slang.
L’amica di Sinisgalli, Eco e Garcia Marquez all’improvviso mi dice “Io ho imparato tanto dai contadini di Montocchio non dagli intellettuali di Potenza; la mia Università sono stati gli aviglianesi”. Si, proprio i coloni del padre Don Goiacchino; aggiunge Beatricie “Non mi hanno insegnato a leggere, ma mi hanno insegnato a vivere; io ho iniziato a scrivere per loro”. Si proprio dai Cusci – mitizzati da quel favoloso libro di Vito Fiorellini L’ultimo dei Cusci- quei contadini che Manlio Rossi Doria definì i più grandi colonizzatori che abbia mai conosciuto; uomini e donne, pastori,braccianti,artigiani che nel corso dei secoli partendo da una Avigliano troppo popolata e con un territorio troppo piccolo hanno ripopolato il feudo disabitato di Lagopesole portati lì da quei grandi feudatari imprenditori che furono i Doria Pamphili; che hanni ripopolato le campagne dell’aviglianese e non solo: Potenza, Ruoti, Bella, Pietragalla, Forenza, Ripacandida, Atella, Rionero in Vulture, Barile, San Fele, Vaglio Basilicata, Tito, Pignola, Picerno, Baragiano e anche Scanzano e la costa Jonica, senza dimenticare Filiano,già frazione di Avilgiano, o Sant’Ilario di Atella o San Cataldo di Bella.
Insomma i cusci avigilanesi popolarono zone disabitate o quasi e con il sudore, la testardagine, l’abilità dissodarono terreni incolti così lontani dalla “Terra” – così è chiamata l’ancestrale Avigliano e non la Capitale, che è un uso folkloristico – ma mantenendo usi e costumi e spesso dialetto, quella “nazione Aviglianese” che poi trova poi la sua sintesi e la sua unione sul “Monte Carmine”, con la festa “r La Marronna” ed i suoi “cinti”. I Cusci sono stati l’Università della colta Beatrice Viggiani, che aggiungere? Per me una lezione di vita da parte di una intellettuale raffinata ed allo stesso tempo umile;una qualità difficile ad avere e lo scrivo con autocritica.
Compreso quando le chiesi di Chavez, ma sbagliai accento pronunciando Chavèz, con l’accento sulla e finale. Mi arrivò un “poetico” schiaffo dell’antica poetessa. Corregendo,mi : «Voi italiani sbagliate sempre questo cognome: Chavez Chavez, l’accento sulla a». La figlia Giulia tra l’imbarazzato e il divertito provò a chiedermi scusa, io ridevo. Da tempo non ricevevo una lezione…
Sul resto che dire? Nulla , per non cadere nella cattiva retorica lasciamo alla parola alla poetessa Viggiani con una lirica del libro 53 scritto assieme a Vito Riviello.
Lontana come san Cataldo
dalla storia
oggi è solo la luna
che schiara le notti all’altopiano
e non porta fortuna.
Noi siamo aviglianesi senza patria
alle sorgenti che odorano di zolfo
un santo ci protegge la miseria
per la festa di agosto,
Ogni tanto arriva un forestiero
a spiegarci che il tempo è cambiato,
ma un giorno il principe muore
e il feudo viene espropriato.
Ci fanno due lunghe strade
per paesi che non conosciamo
ma poi con l’asfalto
ci legano al ventre della madre
Avigliano.
Questa è una strada
che le gambe fanno col cuore,
ci andiamo a comprare la vita
due volte l’anno,
è amore.
Forse dovremmo fuggire
lepri dietro a una stella
per queste strade nere
dove alle svolte incrociano
gli asini
le chiacchiere delle fattucchiere.
Forse non moriremo
se siamo vivi dopo mille anni
gli embrici hanno sostituito il fango
sui tetti dei capanni.
Beatrice Viggiani (Napoli 1932- Napoli 21 gennaio 2017)