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SHAUBA, “DONNA AFFRICANA” CON DUE FF

di Leonardo Pisani L’Europa è un mito, la terra della felicità, dove non si muore di fame ma si vive.

di Leonardo Pisani
L’Europa è un mito, la terra della felicità, dove non si muore di fame ma si vive. Semmai conosciuta per racconti scivolati di bocca in bocca, dove ogni sillaba muta come muta il vento, ma nell’eterno fluire, dopo una notte c’è un’alba. Sempre, non ci può essere sempre fame o disperazione. Solo il mare divide Mamma Africa dall’opulenta Europa, la vecchia Africa nera dalla bianca Europa. Bisogna solo attraversarlo come fanno i pesci ed anche i pescecani. Sì. Sia quelli che nuotano, sia quelli che guidano qualche gommone semmai. Ma la tv, internet dice che l’Europa è ricca, è bella, lo dice anche l’amata zia Mahama, che vuole i figli d’Africa, liberi dal “demone capitalismo”, che un giorno ti sfrutta e ti fa mangiare e d’un giorno ti sfrutta lo stesso ma non ti fa mangiare.
Sono Mahama l’affricana./No Mahama, tu sei l’africana”/“No Shauba, sono l’affricana”/“No Mahama, sei l’africana/“No Shauba sono l’affricana.

Nadia Kibout

La giovane è pronta per attraversare l’amico mare, l’azzurro mare, porta con sé un paio di occhiali da sole, scuri come la sua pelle d’ebano, serviranno a proteggersi dal sole caldo e come portafortuna. Il viaggio porterà a Lampedusa, anzi Lampedusa Beach: forse non sarà Miami ma è pur sempre il ricco occidente. Profetica fu l’autrice Lina Prosa a scriverlo nel 2003, quando le attraversate della disperazione erano iniziate, ma lontane dalle tragedie dei nostri giorni.
Ubbidisco./Dico sì a Mahama/La quantità delle effe non è un ostacolo/Lo sono i fatti/Sono spruzzi di sabbia sulla lingua/Una sorta di balbuzie africana. 

E’ la voce di Nadia Kibout a narrare questa odissea al femminile, lei figlia della coste d’Africa, quel Mediterraneo lo conosce e lo ama. Il mare non è cattivo, il male è altro, come presto conoscerà Shauba. Un barcone, carne umana ammassata per una tratta, non certo un viaggio di piacere. La speranza infranta di Shauba è la speranza infranta di tante altre donne, scappate per rincorrere un miraggio, qualcuna c’è la fatta, tante altre no. Qualcuna si è salvata, altre sono diventate sirene mute tra i pesci. Volti e nomi sconosciuti ma pur sempre volti e nomi. «L’Affricana preparò la mia partenza.Tre milioni in contanti. Tre anni di risparmio. Mahama stessa seguì il contatto con gli scafisti.Lo fece con naturalezza, non perché ritenesse lecito il loro metodo.Lei sostiene che quando è la malavita che ti dà quello che di cui hai bisogno è meglio mostrarsi determinate e figlie di puttana piuttosto che angeli e piccole donne in odore di ingenuità.» Ed una preghiera a chi comanda « Signor capo dello stato italiano Togli l’acqua tra l’Italia e l’Affrica… Noi non abbiamo barche adatte per venirti a trovare… Non abbiamo elettropompe adatte a fare lavori così impegnativi. Mi hanno detto che un certo Leonardo potrebbe fare un lavoro del genere… Togli l’acqua e vedrai giù in fondo che Italia e Affrica sono unite…».
Storie di donne, violentate da miserie e soprusi, unico desiderio poter vivere “all’inizio farò la colf presso una famiglia italiana mi piacerebbe una famiglia capitalista, voglio vedere da vicino come sono fatti i Capitalisti. Dopo un anno di lavoro farò la lavoratrice-studente. Di sera. Corso di informatica.Una volta preso il diploma mi impiegherò in un ufficio di Roma e diterò tutto il giorno, o forse si dice digiterò? A furia di digitare diventerò un’esperta. Diventerò un’iccaro. No, che dico: un’haccker. Mi perdoni l’errore”.
Kibout, da berbera pantera trasforma quella scena volutamente scarna in una odissea senza fine. Un pescatore all’orizzonte, nel mar di Sicilia calmo e generoso, avvista un naufrago, cerca di salvarlo.
Ma è un pescespada, non un dono di Nettuno ma un pescespada forse partorito da qualche strega, ha occhiali da sole…. Quelli di Shauba…
Mi inabisso tra passaporti falsi
Borse di plastica, jeans logori,
tavole umane senza più ossa
carte sbiadite…pochi panini già addentati…
solo uno spazzolino da denti…
Un solo spazzolino tra settecento clandestini…
Questo è il patrimonio del naufragio.
Non ho più addosso la ciotola di cocco.
Se l’è portata via la corrente lanciata con violenza contro il mio fianco. 
La Kibout, algerina di Bernalda, francese di Lucania, con il suo “Teatro del Naufragio”. ridà voce e corpo a quelle donne invisibili e un nome a chi non ce l’ha, ben oltre il pubblico di un teatro, lanciando il messaggio ad una coscienza civile che deve prendersi le sue responsabilità.

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