La denuncia della madre di Michele Ruffino: lo hanno ucciso i bulli
“L’hanno ucciso i bulli. Quei ragazzi cattivi. Sono loro che hanno ammazzato mio figlio” Maria Catambrone Raso è una mamma
“L’hanno ucciso i bulli. Quei ragazzi cattivi. Sono loro che hanno ammazzato mio figlio”
Maria Catambrone Raso è una mamma disperata.
Lo scorso 23 febbraio suo figlio Michele Ruffino si è arrampicato su un ponte ad Alpignano, nel Torinese, e poi si è lasciato cadere nel vuoto. “Ha fatto un volo d’angelo”: lei, la tragedia, la descrive così.
A soli diciassette anni, Michele ha deciso di farla finita.
“Non credo di riuscirci più. Non credo di riuscire più a vivere. Ho intenzione di mollare”, aveva scritto in una lettera di addio.
“Questo ragazzo moro piange davanti allo specchio e non trova nessuno dietro di se’ che gli dica ‘ehi, oggi sei maledettamente bello”.
Il dramma di Michele è racchiuso in queste parole.
Il dramma di non riuscire a farsi accettare dai compagni, di non riuscire ad avere amici, di non riuscire a vivere un amore ricambiato. “Mio figlio è nato sano. Poi, a sei mesi, dopo un vaccino, si è ammalato”, spiega la madre.
“Aveva problemi alle braccia e alle gambe e faticava a muoversi. Cadeva spesso. I ragazzini sono cattivi e lo prendevano in giro, ridevano di lui. A volte lo chiamavano anche handicappato”.
La donna, 51 anni, si è rivolta ai carabinieri.
I militari stanno analizzando il computer e il cellulare del ragazzo, ma, al momento, non hanno riscontrato alcun elemento che faccia pensare a episodi di bullismo.
E la Procura non ha ancora aperto un fascicolo.
Una cosa è certa: per Michele la vita era diventata un peso. Nonostante le numerose passioni. Il nuoto, la palestra.
“Voleva farsi i muscoli, voleva la tartaruga, lui che era così magro”, ricorda la mamma.
“Ammirava gli youtuber e aveva anche caricato qualche video online”.
Poi c’era il grande progetto: studente del Colombatto, voleva diventare pasticcere. Ma fuori dai sogni, nella vita reale, faticava a rapportarsi con gli altri, a trovare degli amici, a inserirsi in un gruppo di coetanei, in quel gruppo che, per gli adolescenti, è tutto.
Maria vuole risposte.
“Lo ha ucciso chi lo umiliava. Chi lo derideva. Chi gli ha chiuso la porta in faccia. Mio figlio è morto e ci sono dei responsabili”.
Maria cerca un colpevole, ha bisogno di trovare un colpevole.
Ma il suo Michele, quello che ha fatto il volo d’angelo, aveva due grandi difficolta’: quella di farsi accettare dagli altri e, soprattutto, quella di accettare se stesso.
Domenico Leccese