NUOVO ALL IN PER PITTELLA
di Ferdinando Moliterni I cittadini lucani spesso, nel corso dell’attuale legislatura, hanno potuto osservare il governatore Marcello Pittella impegnato nei
di Ferdinando Moliterni
I cittadini lucani spesso, nel corso dell’attuale legislatura, hanno potuto osservare il governatore Marcello Pittella impegnato nei suoi “all in”. E questo è accaduto in vari ambiti. Spesso Pittella ha forzato le dinamiche partitiche e istituzionali fino al punto in cui su singole partite è arrivato a giocarsi il tutto per tutto. Ora, a fine mandato, ha deciso di spingersi ben oltre i suoi soliti all in. Affidando il ricorso in Cassazione contro la misura cautelare degli arresti domiciliari, a lui imposti dal Gip di Matera Rosa Nettis dal 6 luglio scorso, a un gigante del diritto italiano: Franco Coppi. Che nella sua carriera professionale è stato il difensore, per citarne alcuni, di Giulio Andreottti e di Silvio Berlusconi. In Cassazione, pertanto, sarà uno scontro virtuale tra il relatore dell’ordinanza del Riesame di Potenza, Aldo Gubitosi, e l’avvocato Coppi.
Perchè Pittella sia oltre l’all in è facilmente comprensibile. Innanzitutto il governatore lucano, che insiste nella sua volontà di non rassegnare le dimissioni, ciò in concomitanza con la sua sospensione in base alla legge Severino, ha deciso di scavalcare, nell’ultimo atto della sua rincorsa alla ritrovata libertà, i due legali che finora lo hanno assistito: gli avvocati Donatello Cimadomo e Nicola Buccico. Proprio loro mercoledì avevano ufficialmente annunciato il ricorso in Cassazione. Pittella ha preservato le forme nei loro confronti, ma di fatto li ha messi in panchina. In quanto comunque Cimadomo e Buccico rimarranno nel collegio difensivo del governatore, ma è evidente che la difesa, almeno per la Cassazione, è nelle mani di Coppi. Sarà lui che a Roma dinanzi agli ermellini dovrà maneggiare le grida dell’arringa e «a saper bene maneggiar le grida, nessuno è reo, e nessuno è innocente» scriveva Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. La vicenda del ricorso si dipana, nell’immediato, lungo una triplice direttrice: giuridico-penale, politica e dell’opinione pubblica.
Pittella avendo messo in campo il Cristiano Ronaldo del diritto, ha affidato il suo futuro, non soltanto di cittadino comune libero o non libero, nei piedi di Coppi. Ma se Coppi dovesse sbagliare il calcio di rigore così come attualmente Pittella è oltre l’all in, dopo sarà oltre la catastrofe.
Due delle conseguenze di una bocciatura, l’ennesima e la terza, degli ermellini alla richiesta di scarcerazione sarebbero amplificate in presenza di Coppi e non di Cimadomo e Buccico. Ma la terza sarebbe deflagrante.
Se neanche Coppi, il più rinomato cassazionista d’Italia, definito anche «l’avvocato del diavolo», non dovesse riuscire a smontare i gravi indizi di colpevolezza a carico di Pitella, nonchè l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari poste alla base dei domiciliari, allora Pittella non sarà già colpevole, ma di certo potrà interrompersi quel fiume di critiche e quasi improperi rivolti ai magistrati lucani per aver relegato il governatore all’esilio forzato nella sua villa di famiglia a Lauria.
Inoltre, sul fronte penale, ci sarebbe un giudicato cautelare definitivo che peserà come un macigno sulle spalle del governatore che nell’ambito di questa evenienza con ogni probabilità rimarrà ai domiciliari per tutto il tempo previsto dalla legge in relazione ai reati di falso e abuso d’ufficio a lui contestati per aver, secondo l’accusa, manipolato concorsi regionali della Sanità.
Politicamente, infine, sarebbe la fine. Finanche il Pd lucano, di cui è indubbio, a seguito della reiterata volontà del Pittella-bis in Regione, che subisca quell’«aura di potere» di Pittella, che per i giudici è solo «parzialmente scalfita dal suo allontanamento dal vertice della Regione», si vedrà ob torto collo a cambiare strategia.
Ad ogni modo il duello con la magistratura ingaggiato da Pittella con le sue non dimissioni ora, soprattutto dopo la scelta di Franco Coppi, si è trasformato in molto di più. Del resto una cosa veniva implicitamente chiesta al governatore. Di abbandonare, momentaneamente l’attività politica. Atto che nell’alveo del vero garantismo, e non in quello partitico sui generis soprattutto quello riscoperto ultimamente dai dem, dovrebbe essere anche naturale. Anche perché magari ai suoi colleghi di partito un Pittella indagato e candidato alla presidente può non scombussolare gli animi, ma forse per i cittadini comuni un presidente già imputato in Rimborsopoli, processo tuttora in corso, e al quale gli si contesta, in altro procedimento, di aver «mercificato le sue funzioni» non è proprio un sintomo di serenità.
Sul punto, sarà Coppi a dover dimostrare che a Potenza hanno preso un abbaglio, il Riesame ha già messo un chilometro di mani avanti. Sottolineando come al di là della Presidenza, per un personaggio della caratura di Pittella, è proprio l’attività politica in generale che allo stato attuale delle cose è per lui non perseguibile.
Perchè secondo il Riesame il governatore potrebbe, qualora fosse rimesso in libertà, «contare su nuovi incarichi nel partito o in settori comunque di influenza che gli darebbero rinnovati occasioni di inserirsi, seppur in modo indiretto, in ambienti amministrativi con potenzialità significative di distorsione dei pubblici apparati, come è accaduto nelle vicende che qui ora interessano».
Questa è la definizione di garantismo che purtroppo in Italia e in Basilicata genera inopportuni allarmismi. Se sei un presidente di Regione e vieni indagato le dimissioni, per consentire una difesa nelle sedi opportune, appaiono quanto mai scontate. Invece no, perlomeno in Basilicata.