“GRIDANO I SEPOLTI VIVI” dopo 38anni il ricordo di un giornalista
A cosa serve ricordare oggi i numeri di una catastrofe che seminò lutti e desolazione se non per far notare ai responsabili di ieri e di oggi che l’incuria ha un prezzo altissimo.
Sono troppo emozionato e commosso, anche perché direttamente coinvolto ed impegnato già dai primi MINUTI immediatamente successivi, alla 1ª scossa delle ore 19:34 dopo poche ore ero già operativo con maestranze e mezzi dell’Impresa Cav. Lav. Giuseppe PADULA, a BALVANO ed altri paesi LUCANI del CRATERE maggiormente colpiti come Castelgrande MuroLucano Pescopagano, per poter raccontare il TERREMOTO del 23 novembre 1980, sempre definito erroneamente “Terremoti dell’Irpinia”, per poterlo raccontare analogamente ad altri eventi sismici che mi hanno visto partecipe dal 1980 ad oggi, perciò riporto il racconto del mio amico Rocco De Rosa
“Quella sera di trentotto anni fa, alle 19,34, la natura fece sentire agli uomini di questo Sud la sua voce poderosa e tragica.
Morti e feriti ovunque.
A cosa serve ricordare oggi i numeri di una catastrofe che seminò lutti e desolazione se non per far notare ai responsabili di ieri e di oggi che l’incuria ha un prezzo altissimo.
Lo dimostrano alluvioni e frane di questo 2018 senza precedenti.
Lo dimostra la castrone di quel 23 novembre passata alla storia, ormai, per la fragilità del tessuto urbano spazzato via in molti casi da scosse sismiche di potenza inaudita.
Meglio di qualunque ricordo è questa la foto che dà il senso della tragedia immane, in cui gli uomini sono stati una nullità difronte al sussulto della terra durato ben 90 secondi.
Un tempo infinito nel corso del quale il pensiero di ciascuno non ebbe la possibilità di pensare a fronte di un evento che non concesse nulla agli uomini, poveri, ricchi, diseredati o persone agiate.
Tutti uguali, catturati dallo stesso dramma.
Il titolo del Corriere della Sera rifletteva in pieno, due giorni dopo, una realtà che non è possibile definire con parole: nemmeno il crollo della chiesa di Balvano, in cui rimasero intrappolate decine di persone, è possibile descriverlo se non in maniera approssimativa.
Ma quel titolone a tutta pagina ha ancora oggi una forza espressiva più di qualunque cumulo di macerie.
Più della stessa desolazione che si toccava con mano al ritorno a casa ogni sera, sperando di vedere la luce del giorno l’indomani.
“Gridano i sepolti vivi”
Il pacco dei giornali messo lì per terra, nella centrale Piazza 18 agosto nel cuore di Potenza, rimane tuttavia il racconto di un evento di promozioni gigantesche.
Inenarrabile.
Devo un grazie al mio amico Mimmo Sabia (Stecla Studio di Potenza) per essere riuscito benissimo a digitalizzare la diapositiva che avevo scattato per fissare il ricordo di quella data, quando ancora il terrore non ci aveva abbandonati” {di Rocco De Rosa}
#realmente di #solidarietà & #volontariato post #sisma dopo #38anni cosa avete capito ?
Oggi 23 novembre 2018 è il 38º anniversario del tremendo terremoto dell’Irpinia e della Basilicata.
Un sisma che nel 1980 causò quasi tremila vittime fra Campania e Basilicata.
Nessuno dimentica il dramma di quel terremoto. Il sisma avvenne alle 19 e 34 ed ebbe una magnitudo 6.9. La faglia responsabile del terremoto dislocò un enorme area e anche per questo i danni furono ingentissimi, estesi su un’area di circa 17 mila chilometri quadrati.
L’area colpita si estendeva dall’Irpinia al Vulture, a cavallo fra le province di Avellino, Salerno e Potenza.
I comuni maggiormente colpiti (l’intensità raggiunse il 10° grado della scala Mercalli) furono Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna.
Gli effetti si fecero tuttavia notare su un’area ben più vasta, con pesanti danni anche a Napoli.
Il sisma del 1980 è stato uno dei più forti del Novecento in Italia.
Mise a nudo un enorme ritardo da parte dell’Italia in tema di protezione civile e prevenzione sismica. L’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini lanciò una dura accusa e un invito a darsi da fare.
Chi c’era, quel 23 novembre del 1980 ricorderà per sempre l’ora del terremoto
Trentotto anni fa, alle 19 e 34. Novanta interminabili secondi. Il terremoto colpì una regione dell’Italia meridionale compresa tra la provincia di Avellino e la Basilicata.
Una delle più grandi tragedie del nostro Paese che Alberto Moravia così descrisse ne “Ho visto morire il Sud”: «A un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano».
I bambini furono le principali vittime del dramma. Nella sua disperazione il presidente Pertini parlò in generale di calamità naturali, sottolineando già da allora la grande vulnerabilità del nostro territorio, e dell’inerzia di alcuni apparati dello Stato nei confronti di una realtà dura a essere recepita da chi è chiamato ad un dovere morale nei confronti della popolazione e delle generazioni future.
Un ricordo straziante per le vittime e la distruzione che portò con sé e che oggi è ancor più sentito pensando alle popolazioni del centro Italia che stanno vivendo i disagi del post sisma e piangono i morti che hanno perso la vita sotto quei maledetti edifici crollati sotto l’impeto dell’onda tellurica.
Domenico Leccese