MOLTI NE PARLANO MA QUASI NESSUNO CONOSCE REALMENTE IL FENOMENO DELLA EROSIONE COSTIERA
UNA QUESTIONE (ANCHE) CULTURALE. Le competenze in materia di difesa dei litorali, con la L 59/97, il D.Lgs. 112/98 e il D.Lgs. 86/99, sono passate dal ministero dei Lavori Pubblici alle Regioni. Attualmente, 11 Regioni costiere su 15 dispongono di strumenti di pianificazione estesi alla gestione e tutela del territorio costiero.
TROPPI DANNI AMBIENTALI tra Erosione Costiera e ABUSIVISMO EDILIZIO lungo le coste marine in Italia ?? e non solo
L’ambiente costiero è un sistema altamente dinamico dove i fenomeni di erosione, e quindi di arretramento, o di avanzamento della linea di costa sono controllati da numerosi fattori meteoclimatici, geologici, biologici ed antropici. Sebbene in generale il “clima” sia da considerarsi come il principale motore degli agenti modificatori, localmente ciascuno degli altri parametri può assumere una prevalenza significativa.
Si può in particolare pensare a:
subsidenza naturale o indotta da estrazioni di fluidi dal sottosuolo;
ruolo di difesa delle piane costiere da parte dei sistemi dunali;
mancato apporto di sedimenti verso costa causato dall’alterazione dei cicli sedimentari per intervento antropico nei bacini idrografici (sbarramenti fluviali, regimazioni idrauliche, estrazioni di materiali alluvionali);
influenza sulla dinamica litoranea dei sedimenti intercettati dalle opere marittime (opere portuali e di difesa) e delle infrastrutture viarie e urbanistiche costiere.
Immagine del porto-canale di Fiumicino (Roma) e barriere frangiflutti
Un’adeguata conoscenza delle molteplici fenomenologie che caratterizzano i litorali è indispensabile per procedere alla realizzazione di interventi strutturali che producano risultati soddisfacenti nella difesa dall’erosione, determinando impatti ambientali sostenibili nel medio-lungo periodo.
A tal fine è necessario un approccio metodologico integrato tra dati geologici e storici, osservazioni sperimentali e modelli teorico-numerici, tenendo opportunamente conto delle indicazioni empiriche fornite dagli interventi già realizzati in situazioni simili.
Variazione livello marino
SOLCO EUTIRRENIANO (125000 anni), Posto a ca. 8 m s.l.m (Sardegna – a sud di Cala Gonone)
L’altezza del livello del mare non è costante nel tempo, ma varia su scala globale in funzione dell’aumentare o del diminuire del volume di acqua disponibile negli oceani: questa variabilità dipende essenzialmente dalle oscillazioni climatiche indotte dalle periodiche variazioni dei parametri orbitali del pianeta. A una diminuzione della temperatura media sulla Terra corrisponde una contrazione del volume delle acque oceaniche e un aumento di quello dei ghiacci “perenni” (le cosiddette fasi glaciali); nei periodi con temperature medie più alte (le fasi interglaciali) parte della calotta glaciale fonde originando un conseguente aumento dei volumi d’acqua disponibili.
Siamo a conoscenza delle variazioni del clima e del livello del mare in epoche geologiche grazie alle tracce rinvenute ad esempio sulle conchiglie. Le oscillazioni climatiche avvenute nel corso del Quaternario (ultimi 2 milioni di anni circa della storia della Terra) sono “registrate” con buona risoluzione nel guscio dei foraminiferi planctonici accumulati nei fondali oceanici (informazioni dedotte dall’andamento dei rapporti isotopici dell’ossigeno che compone il guscio), ben correlabili, almeno per gli ultimi 400.000 anni, con i cicli astronomici proposti da Milankovich già agli inizi del novecento. Sedimenti di spiaggia, solchi di battigia e incrostazioni su speleotemi in grotte sommerse hanno permesso di ricostruire con una certa accuratezza la curva di oscillazione del livello marino a partire dall’ultimo interglaciale (stadio 5e, corrispondente a circa 125.000 anni fa).
A quel tempo, il livello medio del mare era a circa +7 metri rispetto all’attuale. Poi è sceso rapidamente durante le successive fasi fredde, fino a portarsi a -120 metri durante l’ultimo picco freddo, intorno a 20.000 anni fa. Il riscaldamento climatico iniziato circa 15.000 anni fa ha determinato una veloce risalita del mare, particolarmente brusca all’inizio dell’Olocene (10.000 anni da oggi), fino a portarsi a livelli prossimi agli attuali intorno a 6.500 anni fa. A tale risalita è tra l’altro da attribuirsi lo sviluppo del mito del diluvio, così diffuso tra i popoli agli albori della civiltà (per esempio, Bibbia e saga di Gilgamesh). Dall’epoca greco-romana a oggi, la risalita residua (80 – 100 cm) è proseguita con tassi sempre più decrescenti, fino alla sostanziale stasi odierna.
Senza entrare qui nell’acceso dibattito sull’attendibilità scientifica delle previsioni a breve-medio termine inerenti l’evoluzione climatica a scala globale, va sottolineato che in tale evoluzione l’influenza antropica interagisce con potenti fattori naturali, come evidenziato dalle oscillazioni climatiche sopra citate. Le previsioni sulla risalita del livello del mare nel corso dei prossimi decenni sono condizionate dalle obiettive difficoltà di interpretare adeguatamente un sistema così complesso.
Immagine delle Colonne del Serapeo di Pozzuoli con fori di litodomi (banda scura)
Le più recenti previsioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climatic Change) ipotizzano una risalita nel corso del secolo che potrebbe anche essere di alcune decine di centimetri con effetti molto significativi a scala locale. A solo titolo di esempio, si ricorda che la risalita del livello marino avvenuta nel corso dell’epoca romana non ha comunque impedito a molti porti dell’età imperiale, costruiti in corrispondenza di pianure costiere, di trovarsi lontani diversi chilometri dalla linea di riva già in epoca medioevale, a causa del progredire verso mare dei sedimenti alluvionali accumulati dall’attività dei principali corsi d’acqua. Fenomeni di subsidenza in alcune pianure costiere hanno determinato, negli ultimi decenni, tassi di abbassamento del terreno sensibilmente superiori a quelli attualmente proposti per la risalita del mare. Studi recenti addirittura non trovano conferma sperimentale della prosecuzione dell’innalzamento del livello marino e ipotizzano condizioni di sostanziale stasi del fenomeno o, in prospettiva, una possibile inversione del trend evolutivo, senza poter escludere naturalmente che la risalita possa riprendere, sia per cause naturali che eventualmente indotte dall’effetto serra.
Nelle aree costiere caratterizzate dalla presenza di apparati vulcanici in attività (ad esempio Pozzuoli ed i Campi Flegrei), fenomeni di innalzamento e/o di abbassamento del livello marino, denominati “bradisismi”, possono verificarsi in conseguenza di variazioni di pressione all’interno della camera magmatica.
Manufatti aree costiere
Per manufatti in aree costiere si intendono tutti quegli interventi di tipo ingegneristico che interagiscono con le tendenze evolutive della fascia costiera, sia di tipo naturale sia indotte da altre opere. Una prima suddivisione si pone tra le opere finalizzate all’utilizzo della fascia costiera (per esempio, bonifiche, porti, villaggi turistici) e quelle finalizzate al controllo dei fenomeni dannosi per tali manufatti o per l’ambiente antropizzato nel suo complesso (in primo luogo erosione o eccesso di sedimentazione).
L’origine di tali fenomeni può essere sia naturale sia indotta dai manufatti stessi per le modifiche determinate dall’insufficiente comprensione delle dinamiche naturali nel loro complesso. Tra queste opere, dette di difesa costiera, vi sono le scogliere frangiflutti, le difese radenti, i pennelli etc. In generale, questi interventi mirano a ridurre l’energia delle correnti litoranee e del moto ondoso, favorendo così localmente la deposizione dei sedimenti e quindi limitando l’arretramento della linea di riva o addirittura favorendone l’avanzamento.
Infine, tra gli interventi possono essere inclusi anche i ripascimenti (prelievo di sabbia da fondali profondi e sua ridistribuzione sui litorali in erosione) e i dragaggi nelle aree portuali. Questi ultimi sono effettuati periodicamente per garantire il movimento delle imbarcazioni nelle aree di manovra, ma sono frequentemente ostacolati o comunque resi molto onerosi dal contenuto d’inquinanti accumulati nei fanghi da rimuovere.
La scelta e la realizzazione delle opere marittime idonee a integrarsi opportunamente con i processi evolutivi del litorale, e quindi capaci di limitare al minimo il degrado dell’ambiente costiero, non possono prescindere dall’individuazione della dinamica del trasporto solido litorale e delle tendenze evolutive naturali (clima, variabilità del livello del mare, movimenti isostatici, subsidenza).
Immagine di infrastrutture alla foce del Tevere Va tenuto presente, inoltre, che qualunque opera realizzata a mare costituisce un ostacolo al libero propagarsi delle correnti e delle onde e pertanto interagisce con esse, dando luogo a effetti di vario genere che possono risentirsi anche a grandi distanze. Ad esempio, un’opera di protezione limitata a un breve tratto di una linea di riva in erosione può aggravare i fenomeni erosivi in atto o addirittura innescarne di nuovi sulle rive adiacenti non protette. Da qui la necessità di non limitare la programmazione degli interventi alle singole opere, bensì di includere in essa elementi conoscitivi e previsionali tipici della modellistica idrodinamica. Tali elementi permettono la messa a punto di un sistema di difesa più accuratamente studiato e progettato, che consenta un bilancio nel complesso positivo sia per l’uomo che per l’ecosistema lungo l’intera fascia litoranea coinvolta.
Immagine a falsi colori del tratto meridionale costiero di Pescara con le scogliere frangiflutti a difesa della spiaggia. Notare l’effetto del porto turistico sul bordo sinistro della foto (nordovest) (rilevamento aereo a cura della Capitaneria di Porto, elaborazione APAT)
Aspetti non trascurabili nella fascia litorale sono anche quelli ecologici, per l’impatto delle opere sull’ecosistema, e di conseguenza anche sul turismo e sulla pesca. Tra i tanti esempi possibili, ricordiamo il noto fenomeno dell’eutrofizzazione, facilitato dal ristagno d’acqua intrappolata tra le scogliere frangiflutti e la linea di riva, soprattutto in occasione di sorgenti trofiche nelle vicinanze (per esempio, sbocchi di corsi d’acqua e canali).
Sistemi dunali
Immagine del Lago di Paola e duna costiera subito a nord del Circeo (Lazio Meridionale)
Le dune costituiscono un tipico elemento morfologico del sistema spiaggia-pianura costiera. Esse, oltre a costituire ambienti di grande interesse naturalistico ed ecologico (specialmente in presenza della macchia mediterranea), delimitano e proteggono, interponendosi al mare, ambienti umidi di grande importanza ecologica: i laghi e le paludi costiere.
I sistemi dunali costieri, piuttosto diffusi fino ad epoche recenti, sopravvivono attualmente in un numero alquanto ristretto di zone, in conseguenza delle bonifiche idrauliche che hanno determinato il loro smantellamento per contribuire principalmente allo sviluppo urbanistico. I restanti ambienti dunali sono tuttora minacciati da gravi e avanzati meccanismi di degrado legati essenzialmente alla diffusa antropizzazione e all’erosione dei litorali, che in Italia interessa oltre un terzo dei circa 3.250 km di spiagge ed è strettamente connessa all’alterazione dei cicli sedimentari causata dagli interventi antropici nei bacini idrografici e lungo costa.
L’arretramento della linea di riva è frequentemente associato alla demolizione delle dune. I sistemi dunali costituiscono, infatti, allo stesso tempo un argine naturale alle acque alte, una protezione per gli ambienti di retrospiaggia e un accumulo di sabbia in grado di alimentare la spiaggia e quindi di contrastare in parte gli effetti dell’erosione. Da qui l’importanza della manutenzione e valorizzazione di tali sistemi, ricordando che al loro buono stato di conservazione è intimamente legato quello degli altri ambienti connessi, i quali, oltre alla funzione strettamente ecologica, rivestono anche un notevole valore economico.
SPIAGGE E DUNE CHE SCOMPAIONO: L’EROSIONE COSTIERA di Giancarlo Bovina
L’EROSIONE COSTIERA
Foto di Giancarlo Bovina
Più volte, mentre navighiamo sotto costa, le spiagge ci mostrano linee scure, piccole scarpate intagliate nei depositi sabbiosi. Normalmente modellate dal vento e dalla ritmica azione delle onde con morbide morfologie delle spiagge, le dune costiere mostrano, con questi tagli subverticali anche a distanza dalla riva, i segni drammatici dell’erosione costiera.
Quasi ovunque, ma soprattutto in Italia per l’ampio sviluppo litorale, la fascia costiera rappresenta certamente la porzione di territorio nella quale l’azione antropica ha determinato i maggiori effetti di trasformazione. In nessun altro “paesaggio” come quello costiero, gli equilibri ambientali, alla base della conservazione delle risorse, sono stati quasi sempre stravolti dalla mancata o errata pianificazione delle attività umane: bonifiche, sviluppo urbanistico, insediamenti industriali, reti di trasporto e porti, infrastrutture turistiche.
Dalla ricerca “Oloferne 1996/97” sul consumo dei suoli del WWF Italia, risulta che solo il 26% è risultato totalmente libero da insediamenti ed attività antropiche.
Oltre alla antropizzazione il fenomeno che più sintetizza e spesso rappresenta pienamente la criticità dell’effetto sinergico di molte delle attività umane citate è dato dall’erosione dei litorali. Pur caratterizzato da una forte dinamica naturale, allo stato attuale l’equilibrio delle spiagge è quasi ovunque compromesso dagli interventi sul territorio (non solo costiero). Dieci anni fa si considerava un terzo delle spiagge italiane in erosione (circa 1000 Km), ma osservazioni recenti condotte da esperti di Marevivo su alcune estese porzioni del litorale nazionale, hanno individuato una ulteriore accelerazione del processo.
Per comprendere la natura del fenomeno è necessario considerare che la presenza e stabilità del sedimento che costituisce la spiaggia, in linea generale dipende da un meccanismo di trasporto, “il nastro trasportatore litoraneo”, che provvede alla distribuzione lungo costa, per effetto combinato di onde e correnti, dei materiali versati in mare dai corsi d’acqua. Oltre ad altri fenomeni di natura geologica e/o climatica, qualsiasi interferenza sul processo naturale di erosione dei versanti, trasporto verso mare dei sedimenti, trasporto litorale, comporta quindi il disequilibrio della spiaggia che si traduce nella maggior parte dei casi nella sua demolizione. Per queste motivazioni molte spiagge del Mediterraneo sono interessate dall’erosione, fenomeno che intacca gravemente un bene economico fondamentale per le località turistiche balneari ed una risorsa da conservare per le generazioni future. Le spiagge costituiscono così una risorsa naturale difficilmente rinnovabile poiché le azioni di controllo dell’erosione costiera sono complesse e raramente risolutive. Ancora oggi gli interventi di protezione dei litorali dall’erosione vedono molto diffuse opere frangiflutti in blocchi di varia natura e dimensione, rivestimenti di spiagge, muri paraonde, pennelli trasversali o paralleli, barriere sommerse o semi sommerse, tutte opere generalmente rigide, scarsamente compatibili, anche dal punto di vista più strettamente paesaggistico, con le valenze ambientali. Anche i versamenti detritici, cioè la ricostruzione delle spiagge con l’apporto di sabbie prelevate in mare (ripascimento morbido) sono frequentemente realizzati con poca considerazione del complesso delle relazioni ecologiche investite.
L’erosione delle spiagge è frequentemente associata alla demolizione delle dune costiere; queste rappresentano il risultato di lenti processi di accumulo, ad opera del vento, delle sabbie trasportate dalle correnti marine lungo costa e, in condizioni naturali, costituiscono un serbatoio di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi “ordinarie” di erosione. Le dune costiere sono anche ambienti di estremo valore geomorfologico, ecologico e paesaggistico che, piuttosto diffusi sino a tempi recenti, attualmente sopravvivono in poche e limitate aree, tanto da essere considerati come “ambienti relittuali”. Ma l’importanza ecologica delle dune costiere risiede anche nelle comunità vegetali, che sono strettamente caratteristiche di tali ambienti e ne determinano il consolidamento e l’accrescimento. Anche sotto il profilo faunistico gli ecosistemi dunali rappresentano habitat unici.
Nonostante siano in larga parte interessati da specifici strumenti di tutela, a livello europeo, sono gli ecosistemi maggiormente minacciati. I meccanismi di degrado, come descritto inizialmente, sono principalmente rappresentati dall’antropizzazione dei litorali, dall’erosione costiera, da una fruizione turistica incontrollata, fondamentalmente causati dalla mancanza di pianificazione, programmazione e corretta gestione, sia dei litorali che del territorio interno.
Le problematiche della conservazione degli ambienti dunali attuali sono dunque estese a larga parte dei territori costieri del bacino del mediterraneo e dei paesi nord europei, ma è lungo la costa italiana che si rilevano le condizioni di degrado e distruzione più avanzate.
Uno studio condotto da Marevivo sull’attuale presenza delle dune lungo la costa nazionale ha consentito di individuare uno sviluppo residuo complessivo pari a circa 700 km: vale a dire meno del 10% dello sviluppo costiero nazionale e solo circa il 20% di quello interessato da litorali sabbiosi. Più in dettaglio, la ripartizione tra dune naturali e dune antropizzate risulta pari a circa il 50%. A tal proposito è significativo rilevare l’andamento contrastante di alcune regioni: ad esempio la Puglia dove, dei 130 Km di dune, l’80% è costituito da dune naturali e la Campania dove, dei 66 Km di dune, solo il 5% è rappresentato da dune naturali. Ma il dato sullo sviluppo delle dune naturali non deve trarre in inganno poiché la maggior parte di esse, negli ultimi anni, presenta condizioni di sensibile degrado principalmente per effetto della pressione turistica.
Allo stato di conservazione delle dune e delle spiagge è quindi strettamente legato quello di altri ecosistemi, di estrema importanza, quali gli ambienti umidi retrodunali, le lagune ed i laghi costieri, le praterie di Posidonia oceanica, tutti ecosistemi che, oltre alla funzione strettamente ecologica, hanno notevole valore economico, diretto ed indiretto. Sono queste le condizioni che caratterizzano la duna ad ovest del promontorio del Circeo abitato, secondo il racconto omerico, dalla Maga Circe, “apprestatrice di filtri e di veleni” e sulle cui rupi (forse non a caso) cresceva abbondante l’Euforbia arborea una delle piante venefiche più anticamente note della regione mediterranea e che i pescatori di frodo hanno usato per lungo tempo per stordire e catturare i pesci.
Se una spiaggia sottoposta ad erosione può ricostituirsi anche in pochi giorni, le dune litoranee, una volta demolite, si ricostruiscono in tempi molto lunghi tanto che alla scala umana il fenomeno può essere considerato irreversibile.
La duna del Circeo non sfugge a tale regola: essa costituisce un cordone sabbioso consolidato da vegetazione specializzata, bloccato nel proprio meccanismo di autoprotezione, cioè dal libero avanzamento ed arretramento che le consentirebbe di limitare i danni dell’energica azione delle mareggiate, dalla strada costiera realizzata su di essa negli anni trenta, una struttura rigida che oltre ad impedire appunto l’evoluzione morfologica naturale, concentra le acque di pioggia determinando meccanismi di erosione da ruscellamento. A questi si sommano l’erosione del vento che approfondisce le canalizzazioni asportando la sabbia in tal modo definitivamente sottratta al meccanismo di conservazione della duna e conseguentemente della spiaggia. Tali solchi sono poi frequentemente utilizzati per l’accesso incontrollato alla spiaggia da parte di una popolazione di bagnanti e turisti che in occasione della stagione estiva raggiunge punte esorbitanti, insostenibili per un ambiente così vulnerabile.
Non è fuor di luogo rammentare come, analogamente alle spiagge, oltre alle valenze più strettamente ecologiche, le dune costiere hanno una forte valenza anche dal punto di vista paesaggistico, incrementando enormemente, come nel caso del Circeo, lo stesso valore turistico della costa.
Erosione costiera, ecco 10 spiagge che rischiano di sparire
Erosione dell’acqua, movimento del suolo, innalzamento del livello del mare (e non solo) stanno mettendo a repentaglio diverse spiagge in tutto il mondo. Ecco quelle più a rischio
“Non cambiare: stessa spiaggia, stesso mare”. O forse no. Perché, con buona pace di Edoardo Vianello e Mina, purtroppo per molti cambiare potrebbe diventare presto obbligatorio: migliaia di chilometri di spiagge, infatti, rischiano di scomparire perché sottoposte a erosione costiera. La situazione è particolarmente critica anche nel nostro paese: secondo il Servizio di difesa delle coste, attivato dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (oggi Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Ispra), infatti, sarebbero in particolare circa 1200 i chilometri di spiagge in inesorabile via di erosione, con arretramenti medi superiori a 25 metri negli ultimi 50 anni. Un dato non da poco, se si tiene conto che in totale, tra terraferma e isole, le coste italiane hanno uno sviluppo di circa 8.350 chilometri, di cui 3.600 costituiti da spiagge.
Inquadriamo il problema. Con i termini erosione costiera si intende, per la precisione, l’arretramento della linea di riva, ossia, per dirla in parole più semplici, la diminuzione delle superfici sabbiose, quella che ogni estate commentiamo notando che manca una fila di ombrelloni rispetto all’anno passato.
Un fenomeno che, neanche a dirlo, è principalmente dovuto all’attività antropica sul pianeta. “Negli ultimi centocinquant’anni abbiamo assistito a una notevole inversione di tendenza in fatto di erosione costiera”, ci spiega Enzo Pranzini, del dipartimento di Scienze della Terra all’Università di Firenze, presidente del Gruppo nazionale per la ricerca sull’ambiente costiero e direttore della rivista Studi costieri. “In generale, da quando gli esseri umani hanno iniziato a praticare l’agricoltura, tagliando gli alberi di boschi e foreste, e a popolare le aree costiere, si è assistito a un aumento delle superfici sabbiose”. Il meccanismo, sostanzialmente, è il seguente: la vegetazione – in particolare gli alberi – trattiene il suolo; quando si verifica un disboscamento, il materiale non più trattenuto dagli alberi viene portato a valle dai fiumi, fino a raggiungerne e ingrossarne il delta, con conseguente aumento locale della spiaggia. Il delta dell’Arno, tanto per fare un esempio, è avanzato di circa 7 chilometri e mezzo in duemila anni di storia. Il fenomeno, però, ha subito varie battute d’arresto: “In epoche passate abbiamo testimonianza di due momenti in cui tale fenomeno si è arrestato: la caduta dell’Impero romano e la Peste nera. L’abbandono delle campagne, nel primo caso, e il decremento demografico, nel secondo, hanno favorito il rimboschimento e quindi, di conseguenza, la diminuzione delle coste disponibili”.
In epoca più recente, l’erosione è diventata via via più significativa, dal momento che sono subentrati altri fattori. “Anzitutto”, continua Pranzini, “il progressivo abbandono dell’agricoltura, con conseguente aumento della vegetazione. E poi la costruzione di opere come dighe e porti, che trattengono i detriti, le opere di estrazione di materiale dagli alvei fluviali e quelle di bonifica delle zone paludose”. Ultimi ma non meno importanti, naturalmente, i cambiamenti climatici: il riscaldamento globale sta provocando un innalzamento del livello del mare che, insieme alla subsidenza (ovvero lo sprofondamento del suolo nelle regioni pianeggianti), fa sì che l’acqua mangi sempre più spiaggia. “Le stime più recenti”, dice Pranzini, “attestano che il contributo dell’innalzamento del livello del mare all’erosione costiera sia intorno al 20%”. Una percentuale che, però, è certamente destinata a salire nei prossimi anni, dato che il riscaldamento globale non accenna certo a fermarsi: non è facile fare previsioni precise – le stime più conservative parlano di un aumento di 30 centimetri entro la fine del secolo, quelle più pessimistiche arrivano fino a due metri –, ma quel che è certo è che le spiagge non ne beneficeranno. Si calcola, in particolare, che per ogni due centimetri e mezzo di innalzamento del livello del mare le spiagge arretreranno di un metro.
C’è modo di fermare – o, per lo meno, rallentare – il trend? Certamente, nel lungo termine, intraprendere azioni concrete per diminuire l’emissione di gas serra e tenere sotto controllo l’aumento delle temperature (e di conseguenza l’aumento del livello del mare) sarebbe di grande aiuto. Le strategie locali a breve-medio termine per salvare le spiagge, invece, prevedono soluzioni ingegneristiche come l’aggiunta di sabbia prelevata ad alte profondità, cercando di limitare la costruzione di barriere artificiali parallele o perpendicolari alla linea costiera, che, pur salvando qualche breve tratto di spiaggia, hanno deturpato il paesaggio e spostato l’erosione nei tratti di litorale adiacenti.
Erosione costiera, i numeri del fenomeno che minaccia i litorali italiani
Il 42% delle spiagge, pari a 1.661 km, è in arretramento. Il Molise è maglia nera con il 91%. Mentre al Nord-Est si registrano i valori più bassi. Minutolo, Coordinatore dell’Ufficio Scientifico di Legambiente, a L43.
ELENA PAPARELLI su LETTERA43 13 maggio 2018
L’erosione costiera, ovvero l’arretramento della linea di riva, minaccia da tempo i nostri litorali, con spiagge che ci appaiono sempre più piccole, anno dopo anno. Si tratta in realtà di un fenomeno di per sé naturale, che dovrebbe avvenire in modo tale da non turbare l’equilibrio secondo il quale l’arretramento e l’avanzamento della linea di costa avvengono in maniera reversibile. Invece in Italia – complice l’intensa antropizzazione delle coste, i cambiamenti climatici in atto e l’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei fiumi – non è così. E tante bellezze naturalistiche rischiano di scomparire. A guardare i numeri, non si tratta di cosa da poco. Se di 7.465 chilometri di costa italiana le spiagge rappresentano infatti il 50% della lunghezza totale (3.950 km), di queste ben il 42% (1.661 km) sono in erosione. In alcune Regioni in particolare la situazione è ben più che preoccupante: in Molise, per esempio, con 36 km di costa di cui 25 difesi da scogliere, sono in erosione addirittura il 91% delle spiagge.
I CASI DI BASILICATA, ABRUZZO E MARCHE. In Basilicata si raggiunge quota 78% di spiaggia erosa. E non se la passano bene neppure la Puglia con il 65%, l’Abruzzo con il 61% e le Marche e il Lazio con il 54%. Le altre Regioni mediamente oscillano tra 33 e 43% di spiagge erose, mentre i valori più bassi si registrano in Emilia Romagna (25%) Veneto e Friuli (rispettivamente 18% e 13%). Chi viaggia lungo le nostre coste può facilmente verificare come queste risultino “stressate” da porti, abitazioni, strutture e infrastrutture. Basti pensare che il 30% della popolazione degli italiani vive nei 646 comuni costieri, cioè in una fascia di territorio che è solo il 13% di tutta la penisola, corrispondente a 43 mila km2. In più, oltre il 55% delle aree costiere italiane risulta trasformato dal cemento. «Un cambiamento irreversibile causato dall’urbanizzazione», afferma a L43 Andrea Minutolo, coordinatore dell’Ufficio Scientifico di Legambiente, «con il record di Lazio e Abruzzo, dove si salvano solo un terzo dei paesaggi mentre tutto il resto è oramai occupato da palazzi, ville, alberghi, porti»
Per nulla rassicurante è poi guardare alla dimensione delle trasformazioni dell’ambiente avvenute dopo il 1985, anno dell’entrata in vigore del vincolo di inedificabilità entro i 300 metri dalla linea di costa e del sistema di pianificazione paesaggistica regionale previsto della Legge 431/1985, detta legge “Galasso”: «Nelle Regioni studiate, dal 1985 ad oggi», ricorda Minutolo, «malgrado i suddetti vincoli e piani, sono stati cancellati e sostituiti dal cemento qualcosa come 160 chilometri di paesaggi costieri. Una cifra impressionante considerando i vincoli che avrebbero dovuto essere presenti». Ben il 35,8% del territorio nazionale compreso nella fascia dei 300 metri dalla riva, area che la normativa considera tra i beni da tutelare per il loro valore paesaggistico, è urbanizzato. Una storia, quella di una urbanizzazione fuori controllo, che in realtà parte da lontano. Già dal dopoguerra, infatti, l’abusivismo edilizio – e i successivi condoni che regolarizzarono abitazioni che era invece opportuno non realizzare in prossimità della riva – iniziò a deturpare molte aree costiere del Paese. Sfuggendo per giunta a cifre e statistiche.
LA PIAGA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO. «Sul fenomeno dell’abusivismo edilizio», dice a L43 Angela Barbano del Centro Nazionale Coste dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, «non abbiamo né studi né dati quantitativi, ma è ormai noto che molte delle abitazioni realizzate come residenza estiva negli anni siano state adibite ad abitazioni principali e che molti centri abitati sorti come villaggi turistici siano poi diventati dei quartieri e delle frazioni di città, dotate di servizi di trasporto, attività commerciali e scuole». Non solo urbanizzazione selvaggia, naturalmente. Nel contrastare il fenomeno erosivo c’è da fare i conti anche con i cambiamenti climatici in atto e con le previsioni di un ulteriore innalzamento del livello marino, con le conseguenze che avranno su tutta la linea di costa. «Alla luce di questo», afferma Minutolo, «è evidente che le sole opere di ingegneria strutturale e di difesa passiva non sono la risposta adeguata, ma bisogna intervenire con una gestione complessiva delle aree costiere e con piani di adattamento che consentano di rispondere in maniera efficace all’evoluzione futura di questo habitat così delicato».
UNA QUESTIONE (ANCHE) CULTURALE. Le competenze in materia di difesa dei litorali, con la L 59/97, il D.Lgs. 112/98 e il D.Lgs. 86/99, sono passate dal ministero dei Lavori Pubblici alle Regioni. Attualmente, 11 Regioni costiere su 15 dispongono di strumenti di pianificazione estesi alla gestione e tutela del territorio costiero.
«Essenzialmente», è il commento della Barbano, «negli anni le Regioni sono diventate sempre più operose e sempre più sensibili, grazie anche a tutta una serie di politiche, sia europee che nazionali, che hanno posto l’accento all’attenzione verso la tutela e la conservazione ambientale di quelle aree, per facilitarne la fruizione. Prima ci si muoveva per lo più mediante interventi locali di emergenza, senza avere una visione organica a livello regionale. Oggi invece stiamo vivendo una vera e propria crescita culturale in questo senso».
Ultime a far notizia sono state la Regione Toscana, che ha più che raddoppiato i fondi per gli interventi contro l’erosione delle sue coste, con uno stanziamento di 9,3 milioni di euro per il biennio 2018-19, secondo quanto annunciato dall’assessore regionale all’ambiente, Federica Fratoni, il 24 aprile scorso; e la Regione Sicilia, protagonista di un “contratto di costa” sottoscritto il 3 maggio scorso dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e dai sindaci di 14 Comuni dell’area tirrenica per far fronte al dissesto idrogeologico del tratto che va da Patti a Susa, secondo una visione strategica, che punta a una riqualificazione comune e complessiva. Eppure, nonostante lo sforzo messo in campo dalle Regioni, il problema dell’erosione appare ad oggi ancora di là dall’essere risolto. Con conseguenze sull’ambiente che sono sotto gli occhi di tutti.
LA SCOMPARSA DEI SISTEMI DUNALI. «Uno dei risultati più evidenti», ricorda Minutolo, «è la scomparsa quasi totale dei sistemi dunali, che hanno lasciato il posto spesso a vie di comunicazione, centri residenziali e villaggi turistici. La formazione delle dune è il risultato naturale dei processi costieri quando il litorale è in equilibrio o in avanzamento, mentre la sua formazione è molto difficile, se non improbabile, quando la costa è in erosione». In più, l’erosione delle spiagge è frequentemente associata alla demolizione delle dune costiere; infatti queste sono un capiente serbatoio per rifornire di sabbia i tratti di costa durante le fasi erosive e hanno una funzione di assorbimento dell’energia delle mareggiate. La scomparsa dei sistemi dunali ha dunque un grande impatto ambientale. «Le dune costiere», conclude Minutolo, «hanno un importantissimo ruolo ecologico, come testimoniano le poche oasi dunali superstiti, per lo più oggi diventate aree protette, alcune gestite anche da Legambiente, con il duplice intento di salvaguardare la biodiversità e le spiagge».