SAN GERVASIO, PALAZZO DEI RE
Intervista allo storico Nicola Montesano, autore del saggio
di Leonardo Pisani
Un territorio e un centro urbano caratterizzato dalla forte impronta storica in cui si fece prevalente l’azione insediativa e difensiva normanna, entro cui va ricollegato anche il monumento più rappresentativo di questo centro dell’Alto-Bradano a ridosso dell’area murgiana pugliese: il palatium medievale, che prese l’agionimo di San Gervasio per perpetuare la memoria della chiesetta di Cerverezza anticamente posseduta dal monastero bantino. Ne parliamo con il professore e storico medievista Nicola Montesano, autore del saggio “San Gervasio. Palazzo dei Re”. Che sarà presentato nella prestigiosa Pinacoteca D’Errico oggi sabato 1 dicembre alle ore 18.
Partiamo dalle fonti, in che periodo si hanno le prime menzioni?
«La prima notizia relativa a questa chiesa risale al 1063 ed è menzionata nell’inventario dei beni dell’abbazia di Santa Maria di Banzi come parte della terram S. Gervasii, che fu donata dal prete Noe alla stessa abbazia bantina e che fu il luogo in cui fu sottoscritto lo stesso documento, redatto dal notaio Roberto, alla presenza di Roberto il Guiscardo che lo vidimò con il suo sigillo plumbeo.L’antica chiesa dedicata a San Gervasio era ubicata nel casale di Cervarezza, in cui insistevano anche le chiese di Sant’Agnese, di Santa Maria de Querensola e quella di San Felice, citate proprio tra i possedimenti del protocenobio lucano di Santa Maria di Banzi. L’indicazione toponomastica a cui è riferita la chiesa dedicata ai due Santi gemelli milanesi rimanda alla tradizione -e agli studi- sul nome del luogo dove esistette un fons Bandusinus o piuttosto il nome della ninfa abitatrice della sorgente citata nel III libro delle Odi da Orazio che ne bevve le sue fresche acque». Il geotoponimo attuale di Palazzo San Gervasio conserva, quindi, la memoria e l’identità del paesaggio culturale, di tradizione tanto laica quanto religiosa, in cui esso è sorto e si è progressivamente sviluppato».
Poi il casale inizia a svilupparsi. In che periodo?
«Il un nucleo fortificato esistente fu oggetto di azioni di ampliamento da parte di Federico II e di completamento da parte di Manfredi, in modo da adeguarlo alle esigenze sia residenziali, intervenendo sugli ambienti interni dei livelli superiori, sia zootecniche e produttive, sistemando il cortile, il porticato per governare i cavalli e le scuderie.
Il Palatium di San Gervasio è stato sede di un importante centro di allevamento e cura di cavalli, avviata da Manfredi con un programma di selezione delle razze, attraverso un impegno multidisciplinare, sia scientifico nel campo dell’innovazione e della sperimentazione veterinaria, sia tecnico nell’allevamento e nell’addestramento dei cavalli destinati agli usi bellici e da parata».
Insomma Il Palatium di San Gervasio, spesso trascurato invece era un luogo di innovazione
«Certo. Il fulcro amministrativo di questa organizzazione era l’aratia; termine che rimanda all’antico francese “haraz”, che a sua volta indicava l’allevamento dei cavalli formato dalla mandria di giumente e di stalloni destinati alla riproduzione e alle cavalcature. Il termine e, con esso, soprattutto la sua funzione, fu introdotto nel Mezzogiorno italico dai Normanni, ma solo nel periodo svevo venne sostituito con il termine “aratia” che indicava l’allevamento e l’insieme delle attività ad esso connesse, quali l’allevamento brado e stabulante, ove venivano praticate le tecniche riproduttive tramandate dagli studi e dalle osservazioni.Le aratie erano vere aziende zootecniche da cui vengono prelevati i cavalli da destinare alle scuderie regie.Parte fondamentale dell’aratia, era la maristalla – o marescallia – ovvero la stalla o scuderia, che venivano istituite presso caserme o nelle strutture militari, nei luoghi di residenza della corte o, come quella di San Gervasio, nei castelli o in strutture fortificate.La corte sveva non trascurò nessun aspetto metodologico e scientifico inerente la cura e l’allevamento dei cavalli all’interno delle proprie scuderie regie che erano veri e propri laboratori sperimentali dove si verificavano teorie tradizionali e più recenti sulla natura e le funzioni fisiologiche e riproduttive dei cavalli.
All’interno di questo ambiente tecnico-sperimentale nacque anche un apposito testo: Hippiatria ovvero De medicina equorum; redatto da Giordano Ruffo -nominato da Federico II gran maestro dei cavalieri imperiali, per curare e dirigere le scuderie e gli allevamenti reali, in Puglia, a San Lorenzo in Pantano nella Capitanata e a Palazzo San Gervasio, in Basilicata- è il trattato che resta ancora oggi alla base delle conoscenze veterinarie legate all’arte dell’ippiatria.Il cavallo meridionale rimase ai vertici delle richieste del mercato anche nel periodo angioino e il sovrano ne controllava direttamente le destinazioni e i compratori.Solo sul finire del XIV secolo venne introdotto il “corsiero napolitano”, allevato in tutte le province del Regno di Napoli, di cui un esempio in Basilicata un importante centro d’allevamento della famosa razza cavallina “Napolitana” fu istituita a Sant’Arcangelo, paese che sorge sulle colline che corrono lungo l’Agri, importante e storico corso d’acqua che dà il nome all’omonima valle, nel Palazzo detto “della Cavallerizza”».
Da casale poi a residenza del potere dal tempo del Guiscardo e poi?
«Una memoria identitaria, quella di San Gervasio, nobilitata dal legame che questo territorio e il suo edificio fortificato hanno avuto con le straordinarie figure di Imperatori e Re, iniziato con i Duchi normanni, proseguito e sviluppatosi con Federico II e, in seguito, con il figlio di questi Manfredi e l’angioino Carlo, che hanno perpetuato quell’attenzione iniziata con i loro predecessori, facendolo diventare un centro di prim’ordine per la cura e l’allevamento dei cavalli di corte, oltre a renderlo un luogo di riposo e di villeggiatura per i diversi regnanti che si sono succeduti tra XIII e XV secolo nel Mezzogiorno italiano. Proprio il particolare legame di Manfredi con questa domus, oltre alle diverse ipotesi territorialmente ampie e poco dettagliate avanzate dagli storici, porta a ipotizzare che sia stato proprio il castello di San Gervasio il luogo in cui venne alla luce il figlio prediletto dell’Imperatore svevo: recarsi a Palazzo era, per Manfredi, come tornare a casa. Il castello, come tutte le testimonianze del passato, è stato soggetto al deperimento del tempo e solo un recente restauro che lo ha riportato a splendori che sembravano dimenticati, anche se resta in attesa di una adeguata destinazione d’uso che ne possa favorire la fruizione».