manifestazione al Porto di Catania per bloccare il grano che arriva con le navi
Finalmente l’agricoltura siciliana si comincia a svegliare dopo un torpore che dura da anni. Il 7 e l’8 marzo torneranno i Forconi siciliani. E il 9 marzo l’Unione Allevatori insieme ad altri soggetti – e tra questi AgriSaTe, un’associazione di agricoltori che vuole coniugare Agricoltura salute e Territorio – organizzano un presidio simbolico nel Porto di Catania.
Sabato 9 marzo manifestazione al Porto di Catania per bloccare il grano che arriva con le navi/ MATTINALE 299 di I Nuovi Vespri 4 marzo 2019
Finalmente l’agricoltura siciliana si comincia a svegliare dopo un torpore che dura da anni. Il 7 e l’8 marzo torneranno i Forconi siciliani. E il 9 marzo l’Unione Allevatori insieme ad altri soggetti – e tra questi AgriSaTe, un’associazione di agricoltori che vuole coniugare Agricoltura salute e Territorio – organizzano un presidio simbolico nel Porto di Catania. Un segnale preciso: basta con il grano estero che invade la Sicilia, basta con la globalizzazione dell’economia che sta distruggendo l’agricoltura siciliana
L’agricoltura siciliana si sta svegliando. Saranno stati i pastori sardi che stanno dando battaglia (la speranza è che respingano la proposta di 0,75 euro per litro di latte di pecora: sotto 1,3 euro al litro non possono scendere), saranno stati i Gilet Gialli che, dopo il quindicesimo sabato di protesta in tutta la Francia annunciano una propria lista alle elezioni europee), saranno i mori della crisi che attanaglia il mondo agricolo, ma finalmente gli agricoltori della nostra Isola si vanno svegliando.
Abbiamo già dato notizia del risveglio dei Forconi siciliani che, il 7 e l’8 marzo, daranno vita a tre presidi in tre viversi luoghi della Sicilia (Gela, Vittoria e i Nebrodi: qui il nostro articolo); oggi diamo notizia di una manifestazione prevista per sabato 9 marzo, a Catania: per la precisione, nel Porto di Catania. Dove si darà vita ad un’occupazione simbolica del luogo dove viene sbarcato il grano estero che arriva in Sicilia. Ad organizzare la manifestazione al Porto di Catania è l’Unione Allevatori con in testa Carmelo Galati.
Alla manifestazione hanno aderito tanti agricoltori e anche l’associazione AgriSaTe, sigla che sta per Agricoltura Salute e Territorio. Entrambe le manifestazioni – il risveglio dei Forconi e il blocco simbolico del Porto di Catania – sono organizzate all’insegna della non-violenza. Un messaggio che gli agricoltori vogliono lanciare alla politica che non riesce a bloccare la vergognosa speculazione ai danni dell’agricoltura siciliana. Già, la speculazione, che oggi ha un volto della globalizzazione dell’economia: ed è proprio la globalizzazione, oggi, il ‘nemico’ da battere. Recita il manifesto di AgriSaTe: “Sciopero di massa allevatori e agricoltori” “Contro il crollo dei prezzi: – 1 euro al litro di latte e – 0,40 centesimi di euro al Kg di Grano”. “Difendiamo la Sicilia dalle merci estere e multinazionali – Sabato 9 marzo, Porto di Catania, ora 11 e 30”. Il latte e il grano duro: i due simboli dell’agricoltura di oggi. Il latte – il cui prezzo è crollato di un euro! E il grano duro siciliano e, in generale, del Sud Italia, che oggi si vende a 0,40 centesimi di euro in meno.
Quel grano duro – gloria e vanto dell’agricoltura siciliana – oggi vilipeso da una vergognosa speculazione che avvantaggia l’industria e, in generale, tutto il sistema di trasformazione di questo prodotto ai danni degli agricoltori. Se il latte di pecora, per tutelare gli allevatori sardi e siciliani, non dovrebbe costare meno di 1,50 euro-1,30 euro, il grano duro del Sud Italia non dovrebbe essere venduto meno di 26-27 euro al quintale, considerato che produrlo costa non meno di 22-23 euro al quintale. Invece il grano duro viene venduto a 18, al massimo a 20 euro al quintale. Un prezzo vergognoso, vile, frutto di una speculazione al ribasso; un prezzo stracciato che fa il paio con i 50 centesimi di euro offerti per il latte di pecora! Vergogne su vergogne.
In entrambi i casi, si favorisce l’industria – l’industria della pasta e l’industria del formaggio – penalizzando agricoltori (grano duro) e allevatori (il latte). Ma sta finalmente arrivando il momento di dire basta. E di dirlo con la forza di una rivolta non violenta, ma determinata. Ed è importante che la protesta parta nel momento in cui rialza la cresta il PD, in assoluto il partito politico più antimeridionale della storia della Repubblica italiana, il partito nemico dell’agricoltura del Sud. Non bisogna dimenticare i danni prodotti dal PD all’agricoltura del Sud nella passata legislatura. Grida ancora vendetta l’incredibile vicenda del grano duro Senatore Cappelli (di questa storia di volgare e vergognoso colonialismo ai danni degli agricoltori del Sud Italia più tardi vi racconteremo nuovi retroscena) regalato per quindici anni a una società del Centro Nord Italia.
O i sì pronunciati dal PD (e da Forza Italia, altra forza politica nemica giurata degli agricoltori del Sud) agli accordi-capestro che stanno distruggendo l’ortofrutta del Sud Italia; per non parlare dell’olio d’oliva tunisino a dazio zero che oggi, con molta probabilità, arriva sulle tavole sotto mentite spoglie. E naturalmente il grano e il latte. Il grano duro che invade l’Italia per la gioia degli industriali che hanno ridotto il grano del Sud Italia – uno dei migliori al mondo per qualità – a grano da ‘taglio’ da mescolare con il grano duro, in molti casi di qualità pessima, che arriva dall’estero. Da non dimenticare le vergognose politiche dell’Unione Europea contro gli agricoltori del Sud Italia e contro i consumatori: ricordiamoci che l’Unione Europea ha legalizzato l’alta presenza di contaminanti presenti nel grano estero – soprattutto nel grano canadese – per consentire che tale grano estero invada i Paesi della stessa Unione Europea (qui vi abbiamo raccontato che cos’è il grano canadese coltivato nelle aree fredde e umide).
Contro queste vergogne è tempo di risvegliarsi. “La nostra – ci dice Franco Calderone, protagonista di AgriSaTe – è una protesta pacifica. Vogliamo far capire alla politica che così non possiamo continuare. Già abbiamo dato vita a una manifestazione nella valle del Dittaino. Sabato prossimo ci vedremo a Catania. E poi continueremo, perché così non possiamo andare avanti. Non abbiamo alcuna intenzione di farci massacrare dai prodotti agricoli scadenti che invadono la nostra Isola. E’ arrivato il momento di reagire”. Per ora i movimenti nati spontaneamente agiscono senza un coordinamento. Anche perché sono ancora presenti le ‘scorie’ delle divisioni che, nel 2012, ha contrassegnato la rivolta dei Forconi siciliani. Ma oggi dovrebbe essere arrivato il tempo della maturità. Dovrebbe essere arrivato il momento di lasciarsi alle spalle le divisioni e le incomprensioni, privilegiando i progetti e le proposte per salvaguardare concretamente gli interessi dell’agricoltura del Sud Italia. La vicenda del grano duro Senatore Cappelli – torniamo su questa vicenda perché è paradigmatica e perché unisce tutto il Sud Italia, con in testa la Sardegna – ci indica a chiare lettere quanto è forte, oggi, lo spirito antimeridionale e colonialista.
Il grano duro Senatore Cappelli, selezionato in Puglia nei primi del ‘900, era stato abbandonato nei primi anni ’60 per privilegiare altre varietà che, per quelle che erano le cognizioni scientifiche e tecniche del tempo, sembravano migliori. Poi si è scoperto che quelli cognizioni erano sbagliate e si è tornati ai grani duri antichi. E’ stata la Sardegna a rilanciare il grano duro Senatore Cappelli (come potete leggere in questo articolo). E, con la Sardegna, hanno cominciato anche altre Regioni del Sud a valorizzare questa varietà di grano duro antico. Ma appena i signori del Nord Italia hanno visto che il mercato del grano duro Senatore Cappelli rispondeva alla grande – pensate: un quintale di grano Senatore Cappelli si vende 70-80 euro, una cifra di gran lunga maggiore dei 18-20 euro al quintale del grano duro tradizionale – hanno deciso di scipparlo al Sud. Ci ha pensato il Ministero delle Politiche agricole a organizzare la cessione, per quindi anni, del diritto di moltiplicazione del seme di Senatore cappelli a una società bolognese: la SIS. Che come ci ha spiegato il presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino, ha creato una condizione di monopolio (qui la nostra intervista a Ettore Pottino).
Questo è avvenuto mentre al Governo dell’Italia c’era il PD che – lo ribadiamo ancora una volta – è il partito politico più antimeridionale della storia della Repubblica. Ma adesso è arrivato il momento del risveglio. Per dire no a chi tratta il Sud come una colonia. E per rilanciare il fiore all’occhiello dell’economia del Mezzogiorno d’Italia: l’agricoltura. E siccome si avvicinano le elezioni europee, è bene che gli agricoltori siciliani – al pari dei Gilet Gialli – comincino a riflettere anche su questo appuntamento politico.