LIRICHE PER IL MICHELANGELO DEI MINATORI
Le poesie di Fabio Strinati dedicate al grande Francesco Libonati e al suo Pollino
Di Leonardo Pisani
Quando a 97 anni ha lasciato la sua vita terrena il 15 dicembre 1997, per lunghi periodi vita passata nelle viscere della terra, pochi si sono ricordati di lui, il Michelangelo dei Minatori, dalle miniere di carbone al cielo dell’Arte. Se ne ricordò il mai dimenticato Rocco Brancati, cantore di genti lucane e Franco Mollica all’epoca presidente del Consiglio regionale della Basilicata, e lo ricordammo su queste pagine, anche quando era vivo. Così descriveva Francesco Libonati, il critico d’Arte Duccio Trombadori: «Robusto come Michelangelo, conciso come Desiderio da Settignano, puro come Brancusi e visionario come Fontana, egli sogna e fa sognare ad occhi aperti chi osserva il suo disegno e il suo modellato. Forze cosmiche e forze mobili della materia sintonizzano il cuore della Terra con i ritmi siderali dell’Universo. Un concentrato di energie suscita figure inusitate e antropomorfe che sembrano amuleti e al tempo stesso eventi di natura. In questa visione antropocentrica e planetaria Francesco Libonati afferma lo spettacolo di una scultura senza tempo che trasmette un sentimento ‘primitivo’ di adesione al ciclo vitale-naturale dell’universo’»
Basilicata terra amara per molti suoi figli, in vita e in morte, passata la passerella elettorale di slogan di amore per la Lucania, poi si rientra nel quotidiano oblio di molti dei suoi figli migliori. Matera Capitale della Cultura Europea snobba come altri questo lucano del Pollino che portò il nome della Basilicata nel mondo. Figlio di Lucania povera ma dignitosa, Francesco Libonati era destinato a esser fabbro come il padre, il nonno e il suo bisnonno, era nato a Rotonda il primo dicembre 1920. Da apprendista fabbro in quell’officina di Rotonda, il giovane fece subito capire che aveva estro e un talento nell’antica arte di Efeso e nel disegno artistico; dalle sue mani uscivano meraviglie in ferro. Ma il caso giocò trame misteriose, destinato a diventare un artigiano come gli avi, nel conflitto mondiale si ritrovò soldato nelle viscere della terra, a scavare nelle miniere sarde di Carbonia per il Reale Esercito del Regno D’Italia. Una storia da romanzo, una vita da ramingo degna di uno scritto dell’ottocento, come Remigio di “Senza Famiglia” o un “David Copperfield”. L’errabonda storia di Libonati meritava e merita ancora di essere narrata «Memorie dal sottosuolo del Michelangelo dei minatori”, scomodo Fëdor Dostoevskij: dalle cime del Pollino alle miniere di Carbonia, da Rotonda alle viscere della terra nel freddo Belgio. Libonati fu emigrante, fu minatore e tale sembrava a essere destinato, nero di fumo e con i polmoni rovinati. Pur lavorando anche a 800 metri nel sottosuolo riuscì a prendere il diploma a pieni voti . Aveva del miracoloso quello che il fabbro lucano era riuscito a compiere. Il direttore dell’Istituto Minerario della provincia di Mons Culot, gli commissionò un busto, cui fece seguito quello del presidente dei Deputati della regione dello Hainaut, Stievenart». Francesco divenne il simbolo degli emigrati italiani. Ma non lasciò la miniera; di notte scava e di giorno scolpiva. Poi ebbe un’idea; scolpire la dura vita delle viscere e acquistò un blocco di pietra di 4 tonnellate e ne fece uscire una opera d’arte di due metri e sessanta, un simbolo del minatore tenace nel suo lavoro e nella sua energia Chiamò la sua opera il “Minatore di tutti i Paesi” Divenne un simbolo per tutti gli italiani del mondo. Fu chiamato il Michelangelo dei minatori, quel giovane apprendista fabbro che poi divenne artista e anche insegnate d’arte, prima nella sua Basilicata a Potenza poi alle Accademie d’Arte di Arti di Frosinone, L’Aquila e Roma.
Ma se la Basilicata è avara nei confronti dei suoi figli illustri, i confini dell’arte e della cultura regalano sorprese come le liriche dedicate allo straordinario scultore, provengono dalle marche, da un musicista e scrittore innamorato della Basilicata.
È nel silenzio altèro che non si nasconde
dove nascono i segni
le incisioni in dono alla memoria e nel tempo,
Rotonda vive in un adagio
sfiora i monti con gli occhi
di chi immortale l’accompagna».
Fabio Strinati è nato a Esanatoglia, borgo del maceratese considerato tra i più belli di Italia, . Poeta e musicista è presente in diverse riviste ed antologie letterarie. Da ricordare Il Segnale, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini. La rivista Sìlarus fondata da Italo Rocco. Osservatorio Letterario- Ferrara e L’Altrove. Il bimestrale di immagini, politica e cultura Il Grandevetro. Sue poesie sono state tradotte in romeno, in croato, in spagnolo e in francese. Scrive regolarmente testi poetici per Etnie, rivista di culture minoritarie ed è collaboratore del Diario 1984, periodico fondato da Pino Guastella. È inoltre il direttore della collana poesia per le Edizioni Il Foglio e cura una rubrica poetica dal nome Retroscena sulla rivista trimestrale del Foglio Letterario. Strinati è uno studioso dell’olismo, della patafisica, della poesia visiva, sonora, elettronica e concreta. Ed è innamorato dell’arte del Michelangelo lucano
Capelli bianchi nutrimento per il vento
che soffia che tocca l’estro
e scalpita nel palmo della mano…
vetusta la storia odora unguènto
il tuo sguardo accesonutrimento per gli alberi, la frutta
color disteso sulla terra.
I suoi versi ci portano nel viaggio umano e artistico di Libonati, quando anziano vate ricordava le tragedie dei suoi fratelli minatori, italiani e stranieri in una dura fredda terra del Belgio, spesso merce di scambio tra lavoro sotto pagato e sotterraneo e materie prime vendute scontate ai paesi di origine.
IL nero fumo del carbone e i verdi del Pollino. Strinati ha conosciuto Libonati ed è rimasto affascinato dall’uomo e dall’artista, ci racconta: « Ho deciso di scrivere alcune poesie dedicate a Francesco Libonati perché ritengo che sia uno dei più grandi scultori italiani viventi. Libonati, oltre ad essere uno scultore eccelso, è un uomo intriso di valori veri, sani, genuini; un uomo, ancor prima che un artista, capace di ammaliare tutto ciò che lo circonda con estrema naturalezza e semplicità. Un seduttore autentico! L’ho incontrato di persona molto tempo fa, ho letto alcuni libri e… siccome penso che la scultura sia un’arte incomparabile in grado di “scolpire” gli strati più peculiari appartenenti alle dimensioni più intime della nostra anima percepibile ed percettibile, credo che tutto questo marasma di energie immense e sublimi appartengano a Libonati proprio perché veritiere e puntuali. Questo mondo così magico, carismatico e stregato, ce l’ha dentro. Libonati non ha bisogno di cose strane o trucchi del mestiere: dentro di lui è come se tutto avvenisse senza rigidità alcuna, attraverso meccanismi scrupolosi privi di regole, ma obbedienti al talento puro, estremo, vertiginoso».
Il poeta marchigiano ama la Lucania, consoce le sue magie ancestrali, nelle sue liriche per il Michelangelo dei Minatori, sono cantati i paesaggi del Pollino natio del Libonati. Quelle vette che guardano al Tirreno e fanno sognare viaggi pindarici tra sentieri e acque, misteriose creazioni della magia della Natura,. Se Libonati ebbe il plauso di Re Baldovino del Belgio e gli onori dell’arte nella Parigi dalle mille luci, se il suo scolpire per esorcizzare il dolore delle viscere terrene fu celebrato a Bruxelles all’Esposizione Universale del 1958 a rappresentare la sua Italia che fu tanto avara con lui e con quei immigrati di ogni landa del Bel Paese ora è nell’oblio di una Basilicata Matrigna, il suo ricordo e il ricordo della sua Rotonda soffiano liricamente in versi di un poeta cosmopolita quale è Strinati,attratto da masciare e magie della Lucania di Pini Loricati e leggende che spuntano ad ogni zolla e ad ogni sorgente.
Creazione penetra Natura alto un cipresso
(un sonetto scrissi d’avventura!)
Serra Dolcedorme dipinta
sotto un cielo austèro
nuvole sfoltite leggero un vento senz’ali,
trafitto in volto figure sbiadite…
sguardo umile
nel firmamento impresso