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Iva senza soluzioni. I 5 stelle contro Tria: “Se vuole aumentarla passi al Pd”

Il verbo confermare, utilizzato dal ministro dell’Economia, suggella e amplifica una scelta che va in direzione opposta a quella di Lega e 5 stelle

di Giuseppe Colombo

Nel Def è stato costipato in tre righe per non andare oltre il già avanzato livello di sopportazione di Luigi Di Maio e Matteo Salvini: a legislazione vigente, cioè senza nuovi interventi, l’Iva aumenterà a partire da gennaio 2020. Dall’approvazione in Consiglio dei ministri il tentativo di tenere in sordina un tema incandescente per il governo, che rompe la promessa del mai più tasse alte, è stato portato avanti con cura dai due vicepremier, intenti a capovolgere la prospettiva: l’imposta non salirà perché si troveranno coperture alternative. Meno di una settimana dopo Giovanni Tria archivia questo tentativo. Lo fa in Senato, di buon mattino, durante un’audizione in cui chiarisce il concetto messo nero su bianco nel Documento di economia e finanza: l’aumento è confermato in attesa di definire “misure alternative”.

Il verbo confermare, utilizzato dal ministro dell’Economia, suggella e amplifica una scelta che va in direzione opposta a quella di Lega e 5 stelle. Passano pochi minuti e Di Maio tuona: “Con questo governo non ci sarà nessun aumento dell’Iva, deve essere chiaro”. Trapelano poi fonti M5S che si scagliano contro il ministro: “Se Tria vuole un aumento dell’Iva può passare al Pd, se è così desideroso di aumentare l’Iva può scegliere un’altra collocazione. Con questa maggioranza non esiste”. Le parole hanno un peso e ce l’hanno anche in questo caso perché quelle di Tria sono pronunciate in Parlamento, dove il Def e poi la manovra d’autunno dovranno passare. È una legittimazione ulteriore di una presa d’atto che al momento non include soluzioni alternative. Lo stesso ministro lo spiega in altri due passaggi delle audizioni, incalzato dalle domande dei parlamentari di Pd e Forza Italia che vogliono andare fino in fondo: le misure sostitutive per aumentare lo scatto in su delle aliquote Iva non si possono definire oggi.

È anche questa una sfaccettatura rilevante della presa d’atto: non ci sono bacchette magiche in tempi di vacche magre, con una crescita che rasenta lo zero e i conti pubblici in tensione massima. Il conto e la strada imupervia restano lì: 23 miliardi da trovare per lasciare l’imposta ai livelli attuali, misure a cui aggrapparsi per tentare di arrivare all’obiettivo. Queste misure, che vanno dal maxi-piano delle privatizzazioni alla spending review, passando per il taglio delle agevolazioni fiscali e un contrasto più forte all’evasione fiscale, sono state già certificate come incerte dai principali osservatori nazionali. I giudizi di Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio e Corte dei Conti sono freschi, scanditi bene martedì proprio davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato davanti alle quali si è presentato oggi Tria.

Non è una novità che l’aumento dell’Iva sia un’ipotesi a cui Tria guarda senza pregiudizi. Quando era professore a Tor Vergata l’ha sostenuto in un suo scritto. Al Tesoro, come confermato dallo stesso ministro, già da luglio scorso circolano ipotesi su un aumento parziale delle aliquote Iva, perché il punto è sempre quello e cioè che di fronte a impegni da onorare e soldi da trovare da qualche parte bisogna attingere, oltre al deficit da strappare di anno in anno a Bruxelles. Il concetto è stato ribadito anche all’ultimo Cdm a Salvini: se si vuole fare la flat tax, allora l’Iva deve aumentare. È stato quello il momento di massima fibrillazione sul tema dentro al governo. Poi Tria è rimasto più coperto, lasciando ai due vicepremier l’onere di spiegare al Paese come e perché si potrebbe evitare un innalzamento dell’imposta. Perché lui è sempre orientato sul realismo, quello che ha portato a un Def sterilizzato, con una crescita vicina allo zero.

La reazione immediata di Di Maio, però, riporta il tema sulla trincea interna di governo. C’è già una risposta forte che i 5 stelle e la Lega possono dare a Tria: le risoluzioni al Def che saranno votate giovedì alla Camera e al Senato. Le risoluzioni sono un atto politico, impegnano il governo a muoversi in una direzione. Non hanno la forza di cambiare i saldi del Def, ma i numeri in questo caso contano poco. Contano le parole. Quelle che i due partiti di governo vogliono scrivere nelle risoluzioni per marcare la distanza dal Tesoro. Non solo sull’Iva, ma anche su tutti i fronti che il Def ha lasciato aperti, dalla flat tax al livello del deficit per il prossimo anno.

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