Franco Arminio all’Huffpost: “L’Italia non è di Salvini, dobbiamo contendercela casa per casa”
“La gente è senza luce negli occhi. E il vero nero che minaccia l’Italia non è il fascismo, ma è la cupezza d’animo che ha portato al Governo M5S e Lega”, dice lo scrittore Franco Arminio
“La gente è senza luce negli occhi. E il vero nero che minaccia l’Italia non è il fascismo, ma è la cupezza d’animo che ha portato al Governo M5S e Lega”
Prima di ogni cosa, l’incantesimo da spezzare: “L’Italia non è in mano a Salvini, non è vero che ha in pugno il paese. L’Italia dobbiamo contendercela pezzo per pezzo, casa per casa, centimetro per centimetro. Opporre alla vigliaccheria, la generosità. Al rancore, l’altruismo. Alla fine, vedrà, vinceranno gli innocenti”. Il fervore s’impossessa di Franco Arminio, “uno dei poeti più importanti del nostro paese” secondo Roberto Saviano, non appena si tocca la materia incandescente della realtà. Forse perché i poeti come lui – ma, forse ancor di più, tutti i poeti – hanno l’istinto animale dell’attualità. Nel corpo sentono la temperatura del mondo e, con il corpo, si gettano nella lotta. Non hanno prudenza. Sono senza riguardi. Facilmente, possono passare per pazzi: “Il nostro tempo è il tempo dell’emozione. E Salvini vince perché è emotivo. Lo si può contrastare con la ragione, con l’intelligenza, ma non certo con la razionalità algida dei conti in ordine. Per questo, Calenda non è l’uomo giusto per combatterlo. Non trasmette niente. Non accende nulla. Non tocca nel profondo nessuno”.
Nei gruppi della sinistra extraparlamentare che frequentava Arminio negli anni settanta la poesia era messa con le spalle al muro. Trionfava l’oggettività dell’analisi, cataste di parole accumulate una sull’altra, per non farsi scalfire da nessuna di esse: “Il privato era considerato una cazzata da piccoli-borghesi. C’era l’impero del dato obiettivo. Per anni, io stesso ho scritto solo per gli altri poeti. Poi, mi son liberato da questo obbligo e ho cominciato a scrivere per le persone che leggono. Ho venduto decine di migliaia di copie. Posso dire che non è vero che l’Italia sta morendo, che non ha più slanci. Siamo un paese profondamente depresso, questo sì: la scontentezza è ovunque, al sud, al centro, al nord; tra i giovani, tra i vecchi; tra i poveri, come tra i ricchi. Certo, non sono un medico, né un sociologo: parlo per impressioni. Ma quello che vedo in giro è l’infelicità, il torpore, l’irritazione, l’indisponibilità. La gente è senza luce negli occhi. E il vero nero che minaccia l’Italia non è il fascismo, ma è l’umore, lo stato d’animo cupo che ha portato al governo i Cinque stelle e la Lega”.
Ma Salvini e Di Maio sono anche la cura per questo male?
No, non lo sono affatto. Il clima del paese è rimasto lo stesso. Non sono riusciti ad accendere la passione, l’entusiasmo popolare.
Hanno un gran consenso, però.
Ma perché dura ancora la rabbia per chi c’era prima, e che, per giunta, non se n’è ancora andato.
Perché avrebbe dovuto?
Perché non so cosa succederà dopo Salvini e Di Maio, ma non credo torneranno Renzi e Calenda.
Lei vede già oltre Salvini e Di Maio?
No. Io non vedo un vero movimento popolare dietro questi uomini. Si sanno raccontare. Le loro foto sui social prendono molti mi piace. Ma dov’è l’Italia che arde per Di Maio e per Salvini? Magari ci fosse. Non sarebbe la mia Italia. Ma sarebbe qualcosa.
Ma perché dovrebbe esserci questo sovrappiù?
Perché all’Italia non serve solo qualcuno che faccia le leggi, serve qualcuno a cui potersi affidare, una guida che la faccia uscire dalla depressione, gli faccia ritrovare un afflato lirico, spirituale.
L’ha mai avuto, l’Italia?
L’Italia degli anni sessanta-settanta era piena di vita. Ha costruito, ha sperato, ha fatto figli. Oggi è ferma sulla Tav, opera a cui sono del tutto contrario, ma il cui destino incerto dà il segno del blocco che vive il paese.
Gli intellettuali possono fare qualcosa?
Potrebbero, ma sono depressi, come tutti gli altri. Non prendono iniziativa, sono isolati.
Ma se hanno moltiplicato gli interventi pubblici, Arminio.
Ma si tratta, in molti casi, di narcisismo travestito da impegno. Saviano è un caso speciale, rischia la vita veramente.
Ma lei ha visto gli altri dedicare una parte della propria vita alla società?
Chi è mai andato da un operaio in cassa integrazione, da un disoccupato, da una famiglia che ha un malato di mente in casa e non sa come gestirlo?
Questo è l’impegno. Non firmare appelli. Scrivere manifesti.
Non servono anche le parole?
Sì, ma bisogna stare attenti a non sopravvalutare le figure con cui abbiamo a che fare. Urlare al fascismo, raccontarli come dei nuovi Mussolini, è inappropriato.
Perché?
Perché li demonizza, gli dà una dimensione superiore a quella che hanno effettivamente. Né Di Maio né Salvini possiedono la statura per dare una svolta storica all’Italia e al mondo.
Era più appropriato evocare la “svolta autoritaria” con Renzi?
No, ma non bisogna dimenticare la bruttezza che ha prodotto la classe dirigente del centro-sinistra: la bruttezza etica, estetica, psicologica, spirituale. Bisogna dirselo: non hanno più energia, e dovrebbero avere il coraggio di farsi da parte. Basta guardarli: sono spenti.
Vede in giro qualcuno di più acceso?
Al momento, no. Ma non perché non ci siano, in Italia, risorse emotive e spirituali, ma perché la via della rappresentanza politica, per queste forze, è bloccata.
Lei cosa direbbe a Salvini?
Che l’idea della vita che evoca è meschina.
Perché?
Perché è una vita misera, una vita piccola, una vita piena di paura; paura dell’immigrato, dei furti, delle aggressioni.
È ottimista per il futuro?
Sì, una parte di me lo è.
Quale parte?
Quella che crede che Salvini sia come l’ultima fiamma della candela. Brucia, brucia, brucia, sempre più forte. Poi, all’improvviso, si spegne.