I due vice ministri sono i nuovi commissari alla spending review
La vita del governo dipende da Castelli e Garavaglia, lei non sa cosa sia lo spread e lui è a processo per turbativa d’asta: insieme devono trovare 23 miliardi
Lei non sa cosa sia lo spread e lui è a processo per turbativa d’asta: i due vice ministri sono i nuovi commissari alla spending review
La vita del governo dipende da Castelli e Garavaglia, lei non sa cosa sia lo spread e lui è a processo per turbativa d’asta: insieme devono trovare 23 miliardi
Il destino del governo è appeso ai vice ministri dell’Economia Laura Castelli e Massimo Garavaglia. Castelli – che ignora il rapporto tra spread e mutui (“questo lo dice lei” ha risposta a Padoan quando cercava di spiegarle la relazione) – e Garavaglia – per cui il pm di Milano Giovanni Polizzi ha chiesto una condanna a 2 anni per turbativa d’asta – sono infatti i nuovi commissari alla spending review. Spetta a loro la missione impossibile di recuperare almeno una ventina di miliardi nei prossimi cinque mesi per evitare l’aumento dell’Iva. “Di sicuro – ha detto all’Ansa Carlo Cottarelli – non c’è modo di trovare i 23 miliardi” che servono ad evitare gli aumenti dell’Iva “partendo adesso, con 5 mesi da qui alla legge di Bilancio. Auguro buon lavoro ai nuovi commissari, c’è ancora tanto da fare ma è un po’ tardi per cominciare…”. Non c’è governo del recente passato che non si sia attribuito il merito di aver rivisto la spesa pubblica. Risparmi roboanti che sono sempre rimasti sulla carta. Anche quando a mettersi in gioco sono stati pezzi da novanta come Enrico Bondi, l’ex ragioniere di Stato Mario Canzio, Roberto Perotti, lo stesso Carlo Cottarelli e persino l’ex partner di McKinsey: uno dopo l’altro hanno fallito, soprattutto per motivazioni politiche. Una volta individuati i capitoli di spesa che potrebbero essere ridotti, spetta alla politica decidere come intervenire, ma come spiega Perotti “di fronte alle difficoltà di tagliare la spesa, i politici si sono auto-convinti che per ridurre le tasse non sia necessario ridurre la spesa: il modo migliore di ridurre la pressione fiscale, dicono i politici, è aumentare il Pil attraverso aumenti di spesa. Questa è una favola a cui i politici vogliono credere per evitare di fare scelte difficili. Così come vogliono credere alla favola che i tagli di tasse si autofinanzino con l’aumento del Pil che essi indurrebbero”.
Sulla carta, Castelli e Garavaglia dovrebbero avere tutta l’autonomia necessaria a intervenire, ma la scelta della doppia nomina si spiega con le crescenti tensioni all’interno del governo: il rapporto tra Salvini e Di Maio si è deteriorato, Lega e 5 Stelle non fidano più e di conseguenza i vice ministri sono stati chiamati a dividersi la poltrona più per controllarsi a vicenda che per operare una profonda revisione della spesa. A patto che sia un lavoro nelle loro corde: nessuno dei due, infatti, è esperto della materia. Eppure la tenuta del governo passa dalle loro mani. Già oggi, la manovra per il 2020 costa 40 miliardi di euro. Una cifra mai raggiunta neppure negli anni dell’austerity. Il conto, però, è destinato a salire perché ad ogni passaggio parlamentare onorevoli e senatori cercano di infilare tra le pieghe del testo qualche prebenda per il proprio elettorato. A peggiorare le cose c’è il tetto del deficit al 2,1% da non sforare. Insomma, l’esecutivo si trova con le mani legati e la promessa di disinnescare 23 miliardi di clausole di salvaguardia (che prevedono l’aumento dell’Iva) e avviare la flat tax (15 miliardi). In aggiunta ci sono due miliardi di spese non differibili.
E come se non bastasse la situazione è destinata a peggiorare: per evitare l’aumento dell’Iva, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, servono 106 miliardi di euro nel triennio. Passare dal taglio della spesa è piuttosto complicato a meno di non voler bloccare il turn over nel pubblico impiego: la mossa, però, ma si concilia con le politiche dell’esecutivo. Inoltre, il personale è già calato e gli addetti stanno invecchiando. Tradotto: per ridurre il personale, bisogna prima riformare la pubblica amministrazione. Una delle ipotesi più accreditate è quella di intervenire sulla spesa sanitaria con il rischio, però di incidere “incidere sulla qualità dei servizi offerti”. “La prospettiva di sostituzione delle clausole appare di realizzazione complessa” scrive l’Ufficio parlamentare di Bilancio anche perché per disinnescarli non verranno toccati gli investimenti “che si vogliono potenziare”, né le prestazioni sociali “che si aumentano tramite la manovra attuale”, né i redditi da lavoro “che verranno incrementati dai rinnovi contrattuali. Tenuto conto di tali esclusioni, la spesa residua aggredibile, rappresentata in buona parte dalla spesa sanitaria, sarebbe oggetto di riduzioni consistenti”. Insomma, quello che nessuno dei loro predecessori ha osato toccare, dovrà essere tagliato da Castelli e Garavaglia. Altrimenti aumenterà l’Iva, ma prima – con ogni probabilità – sarà caduto il governo.