RIMBORSOPOLI LUCANA: FALOTICO PERDE IN APPELLO
Spese pazze in Regione: restiuirà 9mila euro. Condannata pure Mastrosimone
Le accuse della Procura contabile della Basilicata nei confronti degli ex consiglieri e assessori regionali per illecita utilizzazione, negli anni tra il 2010 ed il 2012, delle somme relative alla indennità di rappresentanza, «ristorazione, soggiorni e altre spese», continuano a reggere anche in Appello. Lo scandalo Rimborsopoli, decretò l’immediata fine della legislatura dell’ex governatore Vito De Filippo. Sia per Roberto Falotico, che da ex assessore al Comune di Potenza è stato rieletto alle recenti amministrative del capoluogo, che per Rosa Mastrosimone, la terza sezione centrale di Appello ha confermato le condanne emesse dalla Corte dei Conti di Basilicata nel 2017. Falotico e Mastrosimone sono stati condannati, in primo grado, a restituire alla Regione Basilicata rispettivamente l’uno 9mila euro, l’altra 14mila 382 euro. L’impugnazione di Mastrosimone ha avuto un esito quasi paradossale. Nel suo caso il ricorso è stato dichiarato improcedibile: il suo avvocato non si è presentato, alla prima e anche alla «nuova udienza». Tecnicamente la causa è stata persa per questo. Ha perso nel merito, invece, Falotico. Due i pilastri della linea difensiva: la «insindacabilità delle scelte discrezionali dal consigliere regionale», come a dire che sulla regolarità o meno dei rimborsi dei pasti e altro la Corte dei Conti non può intervenire e dettaglio non da poco, giuridicamente fallace e politicamente pessimo, che lui, Falotico, ha semplicemente adeguato il suo operato «alla prassi» comunemente seguita anche dai colleghi. Tesi entrambe smentite. Innanzitutto perchè quando per le “spese pazze” della politica si «verifica l’irragionevole non rispondenza ai fini istituzionali», la Corte dei Conti può e deve intervenire. In secondo luogo perchè il “così fan tutti” non elimina «l’immanenza dell’obbligo di rendicontazione e l’inidoneità a fini scusanti della prassi». Anzi «lungi dal costituire una esimente», la prassi sbagliati comportava «semmai un aggravio della responsabilità». Per Falotico bastava esibire scontrini e fatture a lui intestate per intascare il rimborso. Senza allegare altre giustificazioni o ulteriore documentazione a corredo. Invece no. Falotico e gli altri di Rimborsopoli doveva dimostrare che i soldi pubblici non fossero stati utilizzati per finalità «personali e egoistiche». «Un pranzo – hanno scritto i giudici nella sentenza -, una cena, un evento conviviale, un viaggio, un convegno, e altre iniziative del genere – soltanto se collocati in un contesto ufficiale assumono quel “tono istituzionale” che consente di ritenerle come spese per l’attività pubblica del Gruppo».