4 LUGLIO 1919: IL GIORNO DEL MANASSA MAULLER
Cento anni fa, Jack Dempsey vinse il titolo mondiale dei massimi
di Leonardo Pisani
Era il 4 luglio 1919, cento anni fa esatti… Hyrum decise di scommettere qualche dollaro, ne aveva pochi ma la posta era allettante: il campione dei pesi massimi Jesse Willard era favorito 6 a 5, era un gigante, alto 199 cm e pesava 110 kg. Lo sfidante solo 184 cm per 84 kg, un incontro biblico da un Golia vincente contro un David senza fionda. Poi Hyrum, violinista per diletto, mormone per costrizione della moglie , la boxe la conosceva. Il figlio maggiore Bernie era stato pugile, un altro figlio Joe anche e pure Willie si era fatto prendere dal pugilato professionistico. Pagò e quando l’allibratore gli chiese il nome disse, Hyrum Dempsey. L’allibratore lo guardò divertito e scoppiò a ridere: «hahaha Dempsey, ti chiami come Jack Dempsey, quel ragazzotto del Colorado che sarà massacrato da Willard». Hyrum lo corresse: «Il vero nome è William Harrison Dempsey , è nato a Manassa ma siamo della West Virginia e viviamo a Salt Lake City. È mio figlio».
Quando jack venne a sapere che il padre aveva scommesso contro lui, non si meravigliò, era un tipo strano da sempre, sin da ragazzo: unico maestro tra tante donne e unico istruito del Clan di Devil Anse Hatfield della conta di Logan, da anni impegnati in una faida sanguinosa contro i McCoy. Ma chi non aveva dubbi era il vecchio campione dei pesi massimi Tommy Burns, aveva visto quel famelico Dempsey massacrare in 23 secondi il gigantesco Freddy Fulton, 194 cm per 100 kg. Burns conosceva la boxe, era stato capace con i suoi soli 170 cm di battere giganti, si era arreso solo al superlativo Jack Johnson. Disse a tutti: «Puntate tutti i vostri dollari su Jack Dempsey, massacrerà Willard». Pochi lo stettero sentire. Il gigante cresciuto in una riserva indiana pareva imbattibile, aveva battuto per ko l’odiato“negro”Johnson che aveva osato diventare campione mondiale dei massimi. Ma era nel 1915, poi Willard era salito sul ring nel 1916 con una scialba vittoria su Frank Moran, poi nulla. Il ragazzo mormone invece nell’ultimo anno aveva combattuto 21 volte, una sola sconfitta per caso, poi il resto quasi tutti ko. Aveva fatto la fame, diceva che per 5 dollari si sarebbe fatto picchiare la mascella con un martello, aveva combattuto in saloon, nelle miniere, aveva dormito sotto il cielo perché non poteva permettersi un tetto. Combatteva da quando aveva 14 anni, lo chiamavano Kid Blackie, per via della zazzera nera. Era stato minatore, buttafuori, raccoglitore di frutta, di cotone, barista, guardiano notturno ma soprattutto un pugile. Con Burns, pochi si aspettavano che quel 4 luglio 1919, sarebbe diventato il campione mondiale di boxe, il re dei Massimi.
Ma nessuno, neanche lo stesso Jack Dempsey poteva sapere che quel pomeriggio di cento anni fa sarebbe cambiata la storia della boxe e dello sport americano. 4 luglio, Il giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti, festa nazionale e giorno dove spesso si organizzavano grandi incontri. In quel 1919, la scelta su Toledo, Ohio, 19mila paganti in quel pomeriggio torrido, Tex Richard aveva fatto le cose in grande, i biglietti costosi tutti esauriti, quelli popolari meno. Willard non attirava, e poi consideravano quel vagabondo di Manassa una vittima sacrificale. Willard ebbe 100mila dollari, lo sfidante 27,500. Il campione era sicuro di se, aveva detto a Tex Richard: «Se lo ammazzo, non voglio andare in galera». Golia e Davide, e così fu… Suona il gong, Dempsey si avventò contro il gigante, al primo gancio destro gli spacca la mascella in sette punti. Lo mette al tappeto sette volte, gli spacca la costole, gli fa saltare diversi denti. Un massacro da parte pigmeo contro il Watusso, finisce la prima ripresa, Dempsey è convinto che l’incontro fosse, con il suo manager Jack Kearns si avviò verso lo spogliatoio. Li richiamano, l’incontro continua. Ma non fu un incontro, è passato alla storia come il “massacro di Toldo”, Willard stoicamente resistette al furia di Dempsey, o meglio non andò più al tappeto ma su maciullato. Alla terza ripresa, finì tutto. Il giovane Mormone con al cintura dei massimi, lo sconfitto, dolorante e frastornato che ripeteva la litania: «Ho 100mila dollari e una fattoria, ho 100mila dollari e una fattoria». Fu una sorpresa, ma nessuno immaginava che era nata una leggenda vivente, che quel ex vagabondo sarebbe diventato anche una attore, citato da romanzieri come Hemingway, che avrebbero chiamato una razza di Piraña Dempsey per la loro aggressività, che Francis Ford Coppola avrebbe girato le scene del Padrino nel suo ristorante. Nessuno immaginava che dalle miniere per pochi dollari o nei saloon dove sfidava tutti, quel ragazzo avrebbe riempiti gli stadi: che sarebbe stato il primo campione a avere una diretta radio in Usa, che il suo incontro con Carpentier sarebbe stato il primo con la diretta radio internazionale. Quando l’orchidea di Francia andò al tappeto, Parigi pianse e anche molti americani tifavano per l’ex eroe di guerra francese, mentre Dempsey fu accusato di essere un vigliacco perché non partì nel 1917 a combattere la guerra in Europa. Non era così, ma presto tutto fu dimenticato. Il mormone dai capelli neri, discendente di irlandesi, scozzesi e indiani Cherokee, fu il primo sportivo americano a fare incassi per oltre un milione di dollari per una prestazione sportiva: con Carpentier 1.789.238, con Firpo un milione e 250mila euro, con Jack Sharkey 1.083.530 il primo incontro con Tunney 1.895.733 e 120.557 spettatori che piansero quando Dempsey fu sconfitto, la rivincita ebbe 2.858.660 di dollari di incasso e 104.943 spettatori. Era il 22 settembre 1927 a Chicago ed entrò nella leggenda: al settimo round lo scatenato Dempsey, mandò al tappeto Gene Tunney, ma non si allontanò all’angolo neutro e il conteggio fu di circa 14 secondi, ancora oggi fa discutere quel “lungo Conteggio”. Fu l’ultimo incontro del Massacratore di Manassa, era un idolo, continuò a esibirsi con decine di migliaia di spettatori, ben pagato, rimase per anni l’uomo di sport più famoso, anche se inattivo.
Anzi l’ultimo incontro le ebbe a 75 anni circa, stava ritornando a casa dopo aver chiuso il suo ristorante “ Jack Dempsey” a Manhattan ,doveva prendere un taxi, quando due teppisti lo minacciarono con un coltello. Il vecchio pugile cercò di calmarli con le buone, poi alla vista delle lame, li picchiò. Quando arrivò la polizia, i due teppisti scapparono nella volante, impauriti da quel vecchio che sembrava un satanasso uscito dall’inferno. A casa lo aspettava la sua Dora Piatelli, una triestina, la sua terza moglie e il suo unico vero grande amore. Il vecchio jack si convertì agli spaghetti e vongole, alla lirica e non si perdeva mai un’opera del suo amico Luciano Pavarotti.
Nel suo ristorante era sempre alla cassa a parlare con tutti, a firmare autografi e affettuosissimo con gli italiani, come ricorda i miei amici Vladimiro Riga e Franco Udella, che dopo aver combattuto a Potenza in una riunione internazionale contro la Polonia, e mangiato assieme agli organizzatori, il campione Rocco Mazzola e il primo pugile professionista lucano Franco Blasi, gli strascinati lucani, fu accolto assieme alla nazionale da Jack e Dora, che festeggiarono la vittoria italiana nel Guanto d’Oro contro gli Usa assieme agli azzurri., ma il vecchio Jack alla cucina yankee preferiva gli spaghetti alle vongole, si sentiva italiano.. Dempsey Wlliam Harrison, nato per caso a Manassa il 24 giugno 1895 e deceduto a New York il 31 maggio 1983, rimane ancora un mito americano; da vagabondo e minatore a campione e filantropo, un vero self made man.