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A TRENT’ANNI DALLA CADUTA DEL MURO

Sembrava che i sistemi liberal democratici avessero vinto la battaglia del potere, Ma non è così

DI GIANFRANCO BLASI

 

Trenta anni fa cadeva il muro di Berlino. Cambiava la storia del mondo. Via i vecchi equilibri geo politici.  Sembrava che i sistemi liberal democratici avessero vinto la battaglia del potere. Informazione, conoscenza, diritti civili, partecipazione democratica, welfare state, sviluppo e prosperità. Erano questi i cartelli di un ipotetico happening collettivo. In soffitta la guerra fredda. In salotto il mondo globale. Dopo tre decenni ci accorgiamo che non è andata così. Anzi!

L’America si è chiusa in sé stessa. Il dramma delle Torri Gemelle ha spento lo sguardo statunitense aldilà degli oceani. Lo ha rintanato nel midwest. Abbattuto il muro di Berlino si è alzato quello al confine con il Messico. Ai Pink Floyd l’America di Trump preferisce il Country. La generazione beat si è arresa. Il mondo giovanile americano è preda delle droghe. La popolazione più anziana si alimenta di antidepressivi. Le aree urbane sono devastate dai cartelli dei Narcos. Manca un manifesto rigenerante, i salotti radical chic producono cultura elitaria attorno al cinema, alla letteratura. Ma si tratta di minoranze, neppure di avanguardie.

Ecco, allora, che una emergente guerra fredda rimonta sul pensiero unico. Nuove e vecchie potenze continuano una lotta muscolare per egemonizzare le aree deboli e quelle più sensibili. I servizi segreti sono tornati, come abbiamo scoperto anche quest’estate in Italia, di forte attualità. La Russia di Putin, la Cina social-capitalista, gli Stati Uniti, i dazi commerciali. In mezzo una Europa fragile, che ancora sta subendo gli effetti del k.o. della brexit. Macron che mette in discussione il senso storico della Nato. I tedeschi, come sempre, testardi e convinti di essere i primi della classe. L’Europa non è convincente. Non ha scelto, per ora, speriamo i popoli che la compongono cambino idea, di diventare un grande blocco sociale, economico e militare, dunque politico.

Gli Stati Nazione, anche quelli nati dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, si scoprono più fragili dal punto di vista dei processi democratici. Persino la libertà come valore assoluto viene, in alcuni casi, messa in discussione. Il pendolo dell’oscillazione ideologica non è più fra i concetti di destra e sinistra. Avanzano nuove categorie politiche. Il populismo, il sovranismo, il mondialismo, il globalismo. In un gioco fra il tutto aperto e il tutto chiuso si inserisce anche il doppio tema dei flussi commerciali e delle grandi migrazioni antropiche. Il capitalismo appare più forte deli sistemi politici e dei concetti di libertà e democrazia. Il primo flusso è quello orizzontale, il secondo, verticale. Est ed Ovest. Nord e Sud. Aree depresse e mondo sviluppato. Dicotomie fra razze, religioni, dogmi, poteri finanziari, lotte per il controllo di acqua ed energia e nuovi paradigmi della ricchezza.

L’Italia, in questo scenario, è un piccolo puntino sulla carta geografica. Ma è anche un grande giacimento di storia, cultura, umanità. Ha un grosso problema, in questa fase storica, di credibilità. Sta indietreggiando. Non mi riferisco solo a questioni socio economiche. Mi connetto alla necessità di far riemergere il capitale umano come fattore di creatività e di crescita. Penso alle nuove generazioni, alla scuola, ai modelli formativi, alla ricerca scientifica. Penso al senso unitario dello stato che si è smarrito dietro mille divisioni, polverizzazioni. Penso alla banalizzazione della politica e delle Istituzioni. Alla scarsa attendibilità della classe dirigente. Siamo persi dentro una lotta di potere al ribasso. Fra giustizialismo esasperato, invidia sociale, veleno social non sembra affiorare un desiderio che non sia auto distruttivo.

Come può immaginarsi una discussione a trenta anni dalla caduta del Muro di Berlino?

La Chiesa, quando non era così persa dietro visioni sociali, ma aperta alla sua funzione rigeneratrice, feconda, ricca di visioni teologiche e filosofiche, parlava agli “uomini di buona volontà”. La politica cercava, in linea di continuità, di costruirsi su idee e modelli culturali. Ecco, questa cosa è urgente. Occuparsi del mondo oggi, occuparsi della cosa pubblica significa partire dalla costruzione di un manifesto ideale, dove le idee fondino l’impegno sociale e politico. Le idee non il consenso. Le idee per servire il potere, non per conquistarlo.

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