FONDAZIONE OPEN: SCOPERTI ANCHE BONIFICI LUCANI
Creata a sostegno di Renzi, inchiesta della Procura fa tappa a Potenza e Tito
Scandalo Fondazione Open: nella cassaforte della Leopolda anche bonifici made in Basilicata. Gli investigatori della Guardia di Finanza, coordinati dal pm Luca Turco della Procura di Firenze, proseguono con l’aggiornamento del lungo elenco dei finanziatori della Fondazione creata in sostegno di Matteo Renzi, la cui amministrazione creditizia era affidata al “giglio magico”. Nel Cda accanto ai vertici Marco Carrai e all’ex presidente Alberto Bianchi, figuravano anche Maria Elena Boschi e Luca Lotti. La meticolosa individuazione delle fonti di foraggiamento, la Fondazione che originariamente si chiamava “Big Bang” negli anni ha incamerato milioni e milioni di euro, punta a far emergere anche il lato ombra dei firmatari delle donazioni. Secondo i magistrati la Fondazione agiva come «articolazione di un partito politico» e avrebbe favorito gli interessi di chi, tra il 2012 e il 2018, accettò di versare contributi economici. Perquisizioni e sequestro di libri contabili stanno avvenendo nelle sedi di società sparse su tutto il territorio italiano. I fili che dalla Toscana conducono in Basilicata sono contenuti in una cartella del maxi fascicolo denominata File_Donazioni. Scorrendo i documenti in essa contenuti si arriva al materiale informatico «Ulteriori contributi di precedenti finanziatori ed ulteriori contributori al 30 giugno 2017». Qui sono contenuti i nomi degli «imprenditori lucani». Non solo. A lato è annotato anche il contatto di «riferimento», che nel caso Basilicata è lo stesso per società diverse, «F.Brescia/AB». Le società sono la “Sicuritalia Group Service” e il “Consorzio Stabile Golden Lucano”. La prima è una sorta di Fbi privata, offre «servizi di intelligence», che protegge dai cybercrime piccole, medie e grandi aziende che decidono di affidare nelle loro mani le chiavi della protezione informatica, e non solo. Tra le prestazioni offerte anche la sicurezza di infrastrutture ed edifici, o il trasporto e trattamento di valori. Un colosso industriale, con sede legale a Como, e il cui legale rappresentante è stato identificato in Nicola Baroni di Arezzo. La Sicuritalia Group Service, però, ha una sede anche a Potenza. E gli investigatori della Guardia di Finanza, operativi nel Gruppo tutela Mercato capitali – Sezione reati societari e fallimentari, nella casella affianco al nome della società, hanno appuntato nel file trasmesso alla Procura di Firenze proprio la precisazione «imprenditori lucani». Al momento sono stati rintracciati movimenti di denaro confluiti nelle casse della Fondazione Open per 30mila euro. Agli investigatori per repertare un’altra traccia lucana è bastato spostarsi da Potenza per una ventina di chilometri. Seconda tappa: Tito. Dove nella Zona industriale ha sede il “Consorzio stabile Golden lucano”. Consorzio nato «dal consolidamento di aziende affermate nei settori Energia». Eolico, fotovoltaico e via discorrendo. Il Consorzio conta una decina circa di consorziati che tra i loro clienti oltre all’Enel, hanno anche una serie di Enti e Comuni quali, per esempio, Potenza e Melfi. Uno dei consorziati, la società Cargo Srl, figura anche tra gli sponsor della locale squadra sportiva “Potenza Calcio”. Anche per il Consorzio stabile Golden lucano, nella casella laterale gli investigatori hanno appuntato «imprenditori lucani», «contatto di riferimento F.Brescia/AB». Il bonifico confluito nella “cassaforte” della Leopolda e inviato dal Consorzio Golden riporta la cifra di 11mila euro. L’inchiesta della Procura di Firenze è iniziata a settembre con una perquisizione nello studio fiorentino dell’avvocato Alberto Bianchi, già presidente di Open e indagato anche per traffico di influenze illecite, dove sono stati sequestrati i bilanci e l’elenco dei finanziatori. Nei confronti di altri indagati, l’accusa ha ipotizzato reati di riciclaggio, autoriciclaggio, appropriazione indebita aggravata e false comunicazioni sociali. La Procura, inoltre, vaglia anche le eventuali violazioni della legge sul finanziamento ai partiti. La Fondazione Open, secondo gli investigatori, avrebbe proprio funzionato come estensione di un partito. Durante le perquisizioni i finanzieri sono andati alla ricerca anche di carte di credito e bancomat che sarebbero stati nella disponibilità di parlamentari.