Hammamet di Gianni Amelio è anzitutto il racconto di una parabola umana, politica in quanto umana
È tempo di seppellire i risentimenti e tributare un omaggio a Craxi
Hammamet, Gianni Amelio sceglie l’agiografia da santo laico per Craxi: un’assoluzione totale
Bettino Craxi, quello che non c’è nel film Hammamet: la lista della spesa delle tangenti, tra case a New York e soldi alla tv dell’amante
Nell’ultimo film di Amelio si menzionano le due condanne definitive inflitte all’ex leader del Psi, che però sostiene di essere stato condannato perché “non poteva non sapere“, mentre definisce le mazzette come un “peccato veniale“
“Prendevamo i soldi per il partito“, dice più volte Bettino interpretato da Favino.
Dalle sentenze, però, emerge il contrario: l’ex presidente del consiglio era consapevole delle bustarelle incassate
E le usava tra le altre cose per “l’acquisto di un appartamento a New York”, “per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tv un contributo mensile di 100 milioni di lire” e per “l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe) a Roma, intestati alla Pieroni”
di Giuseppe Pipitone | 8 Gennaio 2020
Hammamet, Gianni Amelio sceglie l’agiografia da santo laico per Craxi: un’assoluzione totale. Resta solo l’immensa interpretazione di Favino
“Questa prendila tu, perché se la prendono loro ci sporcano il nostro Paese”
“Questa”
è una videocassetta in cui Bettino Craxi racconta la sua verità
“Cose che tutti gli altri non sanno, cose che neanche immaginano”
E dunque se la verità indicibile dell’ex presidente del consiglio fosse stata diffusa non si sarebbe fatta luce su uno dei periodi più controversi della storia recente.
No, si sarebbe “sporcato il Paese“
Finisce così Hammamet di Gianni Amelio, il film sugli ultimi sei mesi di vita di Craxi.
Un lavoro molto atteso a vent’anni esatti dalla morte dell’ex leader del Psi.
Non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta dell’uomo-simbolo di Tangentopoli.
Nel film di Amelio, però, non ci sono mazzette o bustarelle, o almeno non si vedono.
Il Craxi del regista calabrese non gestisce denaro, anche se vive in una villa guardato a vista da una dozzina di uomini armati, che evidentemente paga di tasca sua.
Amelio cita un paio di volte le due condanne definitive inflitte al protagonista, le ombre delle tangenti e di Mani Pulite fanno capolino sullo sfondo della villa tunisina, ma il problema è che a parlarne è sempre solo lui: Pierfrancesco Favino trasfigurato nei panni del segretario del Psi.
L’imputato giudica se stesso e pare assolversi con formula piena.
“Prendevamo i soldi per il partito“, dice Favino/Craxi a un vecchio politico democristiano non meglio identificato che va a trovarlo ad Hammamet.
“Sì, rubavamo per il partito ma qualcosa attaccato alle mani ci è rimasto“, replica quello.
Stop: nel film di Amelio manca qualcuno che spieghi agli spettatori – magari a quelli più giovani – come quelle mazzette non servissero soltanto per finanziare i partiti ma rimanessero soprattutto attaccate alle mani di chi le prendeva.
Le tangenti non erano un “peccato veniale“, come le definisce lo stesso Craxi immaginato da Amelio, ma hanno portato il Paese al tracollo facendo esplodere il debito pubblico e costringendo il governo di Giuliano Amato a fare una manovra da 93mila miliardi, a riformare le pensioni, a prelevare il 6 permille dai conti correnti dall’italiani.
Si dirà: Hammamet è un film, non è un documentario né un’inchiesta giornalistica.
Vero, ma la sensazione che si ha alla fine del film è di compassione per uno statista dimenticato e tradito dal Paese che ha servito.
Un uomo costretto a morire in esilio.
Anche se era una latitanza.
Per questo motivo, è forse il caso di ricordare due o tre fatti che dal film di Amelio non si percepiscono per il semplice fatto che non ci sono.
Il 19 gennaio del 2000, al momento della morte, Craxi non aveva sulla testa solo “due pesanti condanne che considero ingiuste” (come le definisce il Bettino interpretato da Favino).
Si tratta di due sentenze definitive per corruzione e finanziamento illecito a un totale dieci anni di carcere: aveva preso cinque anni e mezzo nel processo per le tangenti Eni-Sai, quattro anni e mezzo per quelle della Metropolitana milanese.
In quel momento, però, erano in corso altri procedimenti che vennero estinti per “morte del reo“
Erano quattro in totale e tre si erano già conclusi con condanne: a tre anni per finanziamento illecito (la cosiddetta Maxitangente Enimont), cinque anni e cinque mesi per corruzione (tangenti Enel), cinque anni e nove mesi per il bancarotta fraudolenta (il conto Protezione).
In primo grado, invece, Craxi era stato stato condannato – insieme a Silvio Berlusconi – al processo All Iberian: i reati accertati si prescriveranno poi in Appello e quindi in via definitiva in Cassazione.
È un procedimento che al suo interno contiene una serie di smentite a quanto affermato dal leader del Psi: non è stato condannato solo perché “non poteva non sapere”, ma sapeva tutto benissimo, non rubava per il partito, ma soprattutto per sé e per le persone a lui vicine.
Come hanno ricostruito Peter Gomez, Marco Travaglio e Gianni Barbacetto nel libro Mani Pulite, 25 anni dopo (Paper First) indagando sui soldi di Craxi i pm hanno accertato l’esistenza di 150 miliardi di lire, movimentati da diversi prestanome.
Uno si chiama Giorgio Tradati, era un suo compagno di scuola e sul conto Constellation Financiere e Northern Holding riceve tra il 1991 e 1992 ventuno miliardi di maxi tangente versata da Silvio Berlusconi dopo che la legge Mammì salva le reti Fininvest.
Tradati ha raccontato ai pm che tutto era cominciato “nei primi anni ’80” quando “Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense. Funzionava così: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto“
Su quel conto arriva un fiume di denaro: nel 1986 erano già 15 miliardi. Poi i conti si sdoppiano: nasce International Gold Coast, affiancato da Northern Holding, messo a disposizione da Hugo Cimenti. “Per i nostri – risponde Tradati – si usava il riferimento ‘Grain’. Che vuol dire grano“
Quindi scoppia Mani Pulite
“Il 10 febbraio ‘93 – continua Tradati – Bettino mi chiese di far sparire il denaro da quei conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani Pulite. Ma io rifiutai e fu incaricato qualcun altro: so che hanno comperato anche 15 chili di lingotti d’oro…I soldi non finirono al partito, a parte 2 miliardi per pagare gli stipendi”
Sono le paghe dei giornalisti dell’Avanti!.
A cosa servì il resto dei soldi?
“Che cos’erano tutti quei prelievi dai due conti svizzeri di Craxi?”, domanda il pm Di Pietro a Tradati.
Che risponde: “Anzitutto servivano per finanziare una tv privata romana, la Gbr della signora Anja Pieroni“
“Ma coi soldi di uno dei due conti in Svizzera ci hanno pure comperato case?”
E Tradati: “Un appartamento a New York“. Per il partito? “No di certo“
E con l’altro conto svizzero? “Un appartamento a Barcellona“
La ricostruzione della procura è stata riconosciuta come provata dai giudici del processo All Iberian, sia dal Tribunale che da quelli della corte d’appello di Milano, ed è stata poi confermata dalla Cassazione.
Scrivono i giudici del processo di secondo grado che “Craxi dispose prelievi sia a fini di investimento immobiliare (l’acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tv (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire.
Lo stesso Craxi, poi, dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe) a Roma, intestati alla Pieroni”
Alla donna Craxi fa pagare anche “la servitù, l’autista e la segretaria”
Il leader del Psi dice a Tradati che bisogna “diversificare gli investimenti”
Il suo ex compagno di scuola eseguiva
Dalle indagini risultano diverse “operazioni immobiliari: due a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile“
E poi un prestito di 500 milioni per il fratello di Craxi, Antonio e per sua moglie Sylvie Sarda.
Insomma non erano solo soldi rubati per finanziare i partiti.
Le sentenze smentiscono anche un’altra affermazione ripetuta più volte dai fedelissimi di Craxi e contenuta anche nel film, e cioè quella del leader del Ps condannato solo perché “non poteva non sapere”
Nella sentenza All Iberian si legge:
“Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi.
La gestione di tali conti…non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari… Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti”
Ma non solo
“Non ha alcun fondamento – continua la corte d’Appello – la linea difensiva incentrata sul presunto addebito a Craxi di responsabilità di ‘posizione’ per fatti da altri commessi, risultando dalle dichiarazioni di Tradati che egli si informava sempre dettagliatamente dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi compiuti“
Altra convinzione dell’ex leader del Psi, contenuta anche in Hammamet, è che le condanne fossero legate a una sorta di vendetta nei suoi confronti.
La corte europea dei diritti dell’uomo, interpellata dai legali dell’ex presidente del consiglio, non la pensa allo stesso modo.
Il 31 ottobre del 2001, come ricordava Travaglio qualche tempo fa, i giudici di Strasburgo scrivono: “Non è possibile pensare che i rappresentanti della Procura abbiano abusato dei loro poteri”
Anzi, il procedimento “seguì i canoni del giusto processo” e le accuse ai giudici “non si fondano su nessun elemento concrete. Va ricordato che il ricorrente è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche“.
Non si sa se “sporca” il Paese, ma è una differenza fondamentale.
Pierfrancesco Favino: “Non si può dire che Craxi non amasse l’Italia. Ho empatizzato con la sua difficile umanità”
Cinque ore di trucco quotidiane, “un rituale di avvicinamento a un altro corpo, a una progressiva scomparsa del mio”
È quanto racconta Pierfrancesco Favino, protagonista di Hammamet, il film su Bettino Craxi di Gianni Amelio, in un’intervista a La Stampa
“Conoscevo Craxi come figura pubblica, non nel suo aspetto privato, che è proprio quello indagato da Hammamet. Ho cercato di comprendere il suo mondo intimo, le sue paure, la sua coscienza, il suo punto di vista”
E sul rapporto che Bettino Craxi ebbe con l’Italia:
“Non è mio compito giudicare, ma certo non si può dire che Craxi non amasse il suo Paese e che jnon si sentisse profondamente italiano. Della sua difficile umanità, è questo l’aspetto con cui ho subito empatizzato”
Un paragone fra i politici di ieri e quelli di oggi:
“Ricordo uomini di governo dalla retorica sorprendente, con grandi conoscenze tecniche. Quella generazione ha rappresentato il concetto del “noi”, dopo è intervenuta la parola “io”
È tempo di seppellire i risentimenti e tributare un omaggio a Craxi
Hammamet di Gianni Amelio è anzitutto il racconto di una parabola umana, politica in quanto umana
“Non ho resistito alla prima proiezione utile di Hammamet, un giovedì di gennaio in un cinema di Roma alle spalle di quel Palazzaccio che fa da monito per la giustizia umana, terrena, a volte troppo terrena. Non me ne sono pentito.
di Gianni Pittella
Il film merita di essere visto ma per ragioni forse diverse da quelle che ci si attendeva. È certamente un film politico ma in senso diverso da quello che si potrebbe pensare.
Non indugia sull’ascesa del leader socialista, né sui caratteri innovativi del suo governo, sull’attestazione economica del Paese, sull’affermazione di indipendenza a Sigonella o sull’intuizione presidenzionalista e sull’anelito riformista. Né, viceversa, insiste sul degrado dell’elefantiasi partitica, sull’insopportabile tributo che in quella stagione ogni ganglio dell’economia e della società sembrava dare alla politica.
E non perché tutto questo citato non venga a tratti sfiorato, accarezzato dal film, nel suo svolgimento, ma perché in realtà vi resta così, solo sullo sfondo, quasi fosse un accidente la politica di fronte alla vicenda umana.
Perché di fatto Hammamet di Amelio è anzitutto il racconto di una parabola umana, politica in quanto umana. Ed è una scelta. Comprensibile.
Il tribunale della storia non può pronunciare verdetto prima di almeno cinquant’anni, prima che tutti i protagonisti, i loro risentimenti, i loro interessi, non siano che un lontano ricordo, distanti dall’attuale contaminazione della tifoseria, della partigianeria.
E la vicenda politica di Craxi è ancora la vicenda di un Paese che non ha saputo fare i conti con la sua storia recente, con gli effetti che la caduta del muro di Berlino, la fine dei due blocchi ha avuto in Italia.
Il mio personale giudizio su Craxi è noto e pubblicato su questa testata e su altre autorevoli in questi anni. Restando al film tuttavia, e alla vita di recluso in Tunisia, resta evidente un fatto.
Un premier, che comunque si giudichi, ha servito il Paese per una vita intera, non doveva morirne lontano e forse è arrivato il tempo di seppellire i risentimenti di parte, di ogni parte, e tributargli un omaggio, certo postumo, forse tardivo.
E anche per questo, il 19 gennaio, nell’anniversario della sua scomparsa, porterò un garofano ad Hammamet, in quel piccolo cimitero che guarda il mare.”
COMMENTI A CALDO
Quando Gianni Amelio dice in un’intervista che “Hammamet non è un film su Craxi, anche se lui è il protagonista”, riesce a compiere un’acrobazia che avrà pure una valenza artistica, ma che nella realtà non convince probabilmente nessuno. Gianni Amelio è senz’altro un bravo regista e Pierfrancesco Favino, ottimo attore, si è calato nella fisicità di Bettino Craxi come forse nessuno c’era mai riuscito. Ma la trama dell’ultimo periodo di vita di Craxi, in esilio in Tunisia, non può essere solamente una metafora, oppure la rappresentazione romanzata di un dramma umano e familiare come nei racconti o nelle opere dei grandi classici.
A venti anni dalla morte ad Hammamet, Bettino Craxi è sempre un personaggio attuale e “ingombrante” della recente storia italiana e, con i tempi che corrono e la pochezza, ormai acclarata, dei nuovi protagonisti politici che gli sono succeduti, anche l’ombra del leader del Psi sembra diventare sempre più importante, mentre tutta la sua storia, non solo l’ultimo drammatico tragitto di vita, viene già adesso rivista, rivisitata e discussa sotto angolazioni molto differenti dalla scena, orrenda e devastante, delle monetine lanciate a Roma davanti all’Hotel Raphael.
Ci permettiamo di dire che Gianni Amelio ha perso una grande occasione, quella di ricostruire con qualche precisione, pur con i limiti di un racconto cinematografico, un periodo storico italiano che divide ancora le persone, che ha provocato disorientamento, confusione tra i poteri istituzionali e una lunga, infinita crisi politica e sociale, prima ancora della grande crisi del 2008.
Si può aggiungere: in che cosa consiste, ancora più esattamente, la grande occasione sprecata da Amelio con il suo Hammamet, presentato ieri in anteprima e da oggi nella sale cinematografiche italiane? Non ha saputo (o forse non si è posto il problema) cogliere e sintetizzare in un film la svolta epocale dell’Italia.
Da quella realtà che era diventata la quinta potenza industriale mondiale, poi si è arrivati al declino, al rancore sociale del 2018, e secondo il rapporto del Censis del 2019. a quello che la stragrande maggioranza degli italiani ritiene “Il grande tradimento: la società ansiosa macerata dalla sfiducia”.
Nel suo Hammamet Gianni Amelio parte da un immagine un po’ enfatizzata del 45° congresso del Psi a Milano nell’ex fabbrica dell’Ansaldo. C’è un grande discorso e una grande maggioranza intorno al leader, ma arriva una voce che riguarda il finanziamento pubblico e il finanziamento illecito del partito.
Nel film, Craxi replica con una strana e inusuale (per lui) arroganza. Il problema è come dato per scontato e quindi il racconto si sposta di colpo e comincia in modo lento, più teatrale che cinematografico, con la vita di Bettino nell’esilio drammatico di Hammamet. La nostalgia, i primi sintomi di una malattia più grave, i primi ricoveri in ospedale e poi la figura di un Craxi sempre più intimo e ripiegato su se stesso che dialoga con la figlia soprattutto, ma che dimostra tutta la sua profonda sfiducia nel futuro.
Per chi lo ha conosciuto, anche il Craxi di Hammamet era certamente un uomo intristito, ma sempre pieno di voglia di combattere, di scrivere libri, di rispondere e smascherare i suoi nemici politici. Tutto questo nel film di Amelio appare pochissimo, sembra limitato alle battute dei giornali dell’epoca e non c’è nessuna ricostruzione del personaggio reale, che viene invece filmato come un ammalato che sta andando inevitabilmente incontro alla morte.
Nel racconto intimistico, Amelio inframmezza battute di visitatori e risposte di Craxi sui problemi dei “quattrini”. Si vede Craxi che risponde anche a turisti italiani che lo insultano. Ma qui il racconto del film è veramente squilibrato. Non aggiunge nulla alla vulgata corrente. Mentre ci furono attestati di amicizia e di ammirazione e c’erano ricordi importanti da accennare, magari, con concisione, ma non da sottacere.
Se la storia di Sigonella, che ha portato apprezzamento da parte di tutti a Craxi, nel film di Amelio viene affidata al gioco di un nipotino, non c’è la minima traccia del Craxi che si schiera con l’Occidente sulla questione dei missili SS20 sovietici. Neppure un cenno sul Craxi che il 4 maggio del 1977, nel XXX anniversario della ricostruzione della casa di Carlo Marx a Treviri viene invitato da Willy Brandt a parlare del nuovo riformismo, che in Italia era in minoranza dagli anni dieci del Novecento. Ma perché Brandt invita Craxi e non Berlinguer? È così scomodo dire che il Pci, malgrado qualche ripensamento, non faceva parte dell’Internazionale socialista?
Neppure altri accenni sulle missioni fatte da Craxi per conto dell’Onu, come un piano votato all’unanimità nel 1990 dall’Assemblea generale sull’azzeramento dei debiti dei Paesi del terzo mondo. E naturalmente nessun accenno ai discorsi fatti alla Camera sul finanziamento illecito, che era purtroppo sempre esistito e doveva essere eliminato, così come non si contrappongono mai i “mille miliardi “ arrivati al Pci (fonte Stephane Courtois e altri documenti emersi dagli archivi del Kgb) dall’Unione Sovietica nemica ufficiale dell’Occidente. Craxi, che Amelio filma sempre sdraiato su qualche lettino, muore drammaticamente e viene trovato da sua figlia Stefania.
Amelio ha in tutti i casi confezionato un film che molti vedranno per la curiosità della vita e dell’attività di Craxi in questo periodo. Ma avrebbe potuto anche aggiungere qualche cosa all’immagine del Craxi bambino monello che rompe i vetri con una fionda, aprendo e chiudendo il film.
Basterebbero qualche dato dell’ultimo governo Craxi: debito pubblico all’89,11 percento; crescita del 3 percento, crescita della produttività del 25 per cento, riduzione dell’inflazione dal 21 percento al 4 per cento, nonostante i due choc petroliferi degli anni Settanta.
Ogni tanto qualcuno straparla e sarebbe bene ricordare. Amelio non ci pensa proprio, anche perché onestamente dice di non aver mai avuto simpatie per il leader socialista e non aver mai votato per il Psi. Con questo film intimista vuole forse dimostrare solo un poco di compassione per un personaggio molto scomodo che ha contestato da giovane la “democrazia progressiva di Togliatti e da uomo la democrazia consociativa di Berlinguer”.
Di democrazia normale, occidentale e liberale, naturalmente, non si parlava mai. Sfortuna ha voluto che ne parlasse Craxi.
“HAMMAMET. Oggi, insieme a Bobo e a tanti amici e compagni, ci siamo ritrovati alla prima del film di Gianni Amelio dedicato agli ultimi anni di Craxi. Che dire? Al di là della splendida, monumentale interpretazione di Pierfrancesco Favino, il film a mio parere non rende giustizia nè alla figura di Craxi e dei suoi familiari, nè alle vicende politiche di quegli anni. Tuttavia ci sono immagini, momenti, frasi che colpiscono e commuovono tutti, ed in particolare chi ha vissuto intensamente quelle vicende e quegli anni. Certo è che possiamo dire di essere stati dentro una grande, meravigliosa storia. E che possiamo esserne orgogliosi.” Gerardo Labellarte
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