AttualitàBlogIn evidenza

Avvocato LUCA LORENZO : DPCM e Costituzione Un approfondimento per interrogarsi sugli strumenti giuridici utilizzati in emergenza coronavirus e sulla loro adeguatezza rispetto al dettato costituzionale

Il DPCM è un atto che non viene sottoposto ad alcun intervento di verifica, come invece previsto dal principio dell’equilibrio dei poteri, come ad esempio avviene per il decreto legge che, necessitando della firma del Capo dello Stato, avrebbe almeno un minimo controllo preventivo e, soprattutto, entro 60 giorni, dovendo essere convertito dalle Camere, pena la sua inefficacia, verrebbe sottoposto al giudizio dell’organo legislativo

Avv. Luca Lorenzo

In un inconsueto contesto pandemico, di fronte all’esigenza improvvisa di intervenire con regole chiare ed efficaci per limitare il diffondersi del virus, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha deciso di adottare lo strumento del Decreto.

Prescindendo dal merito dei provvedimenti normativi attraverso cui si sta operando per il contenimento dell’epidemia, anzi, con la consapevolezza della necessità ed inevitabilità di misure draconiane, occorre, più modestamente, interrogarsi sugli strumenti giuridici utilizzati e sulla loro adeguatezza rispetto al dettato costituzionale.

I Decreti del Presidente del consiglio, al pari dei Decreto ministeriali, sono atti amministrativi, e, in quanto tali, possono derivare da norme di legge, ma non possono autonomamente promuoverle.

Quindi, disposizioni che limitano, quandanche per motivazioni giuste, alcune libertà espressamente garantite dalla Costituzione, tra tutte la libertà di circolazione (art. 16 Cost.), ma anche la libertà di riunione (art. 17 Cost.), la libertà religiosa (art. 19 Cost.), il diritto/dovere all’istruzione (art. 34 Cost.) la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), sino a limitazioni addirittura alla libertà personale di movimento (art. 13 Cost.), dovrebbero avere necessariamente carattere di legge o di atto avente forza di legge.

Il DPCM è un atto che non viene sottoposto ad alcun intervento di verifica, come invece previsto dal principio dell’equilibrio dei poteri, come ad esempio avviene per il decreto legge che, necessitando della firma del Capo dello Stato, avrebbe almeno un minimo controllo preventivo e, soprattutto, entro 60 giorni, dovendo essere convertito dalle Camere, pena la sua inefficacia, verrebbe sottoposto al giudizio dell’organo legislativo.

Ed allora, non si comprende perché si è utilizzato un atto amministrativo invece che uno strumento normativo appositamente previsto in casi straordinari di necessità e di urgenza, dato che si incide su diritti e libertà fondamentali.

Sarebbe stata garantita l’immediatezza insieme alla copertura costituzionale.

L’art. 3 del DL n. 6/20, atto avente valore di legge, dal quale i DPCM traggono legittimazione, non può delegare all’autorità amministrativa (e non legislativa) l’adozione di misure che intacchino libertà fondamentali, sussistendo una chiara riserva di legge, con la conseguenza che risulterebbe anticostituzionale l’intero impianto del DPCM.

La nostra Costituzione prevede solo in caso di Guerra, previa deliberazione delle Camere, la possibilità di conferire poteri straordinari al governo, e comunque sempre e soltanto su delega del parlamento, mentre l’unica possibilità di limitare alcuni diritti costituzionali per ragioni di sanità o di incolumità pubblica non può che avvenire per legge (c.d. riserva di legge).

In ragione del particolare valore attribuito al diritto alla salute, inteso non solo come diritto individuale, ma anche come interesse delle collettività, lo stesso rappresenta l’unico diritto che la Costituzione definisce espressamente fondamentale (art. 32 Cost.), poiché strettamente connesso al diritto alla vita.

Ed infatti, mentre tutti gli altri diritti costituzionali sono reciprocamente bilanciabili, il diritto alla vita è l’unico diritto qualificato come assoluto, dunque, destinato a prevalere sempre sugli altri, poiché precondizione per il godimento di tutti i diritti.

In tale contesto derogativo si collocano leggi previste per le situazioni di emergenza, approvate ben prima dell’epidemia di Coronavirus, come il decreto legislativo n. 1/2018 (Codice della protezione civile), in base al quale (artt. 24 e 25), al verificarsi di un’emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa delle Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s’intende derogare e siano rispettati i principi generali dell’ordinamento e il diritto europeo; la legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, in base alla quale (art. 32) il Ministro della Sanità ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica.

Dopo la dichiarazione di stato di pandemia da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità il Consiglio dei ministri, per fronteggiare l’emergenza coronavirus ha emanato il decreto legislativo n. 1/2018, con cui ha deliberato lo stato di emergenza sanitaria (delibera del 31 gennaio 2020) per una durata di sei mesi (dunque, sino al 31 luglio 2020), conseguentemente il Capo dipartimento della Protezione civile ha potuto adottare una serie di ordinanze per intervenire su profili organizzativi della gestione dell’emergenza.

Successivamente, per far fronte all’avanzata del contagio, per le istituzioni delle prime zone rosse, la sospensione delle attività e per limitare ingressi e uscite dai luoghi di residenza, sono state adottate, nel quadro della legge n. 833/1978, alcune ordinanze del Ministro della Salute (21 febbraio 2020;  23 febbraio 2020; 20 marzo 2020.

Di seguito, il governo ha deciso di adottare il decreto-legge n. 6/2020, convertito nella legge n. 13/2020, con cui ha previsto che, su iniziativa del Ministro della Salute, il Presidente del Consiglio dei ministri adotti tramite proprio decreto “ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”,

È altresì richiesto il parere, non vincolante, degli altri Ministri interessati e dei Presidenti delle Regioni interessate o, se lo sono tutte, del Presidente della Conferenza delle Regioni.

Quindi, il Presidente del Consiglio ha fatto ampio uso dei DPCM per introdurre misure sempre più restrittive (23 febbraio 2020; 25 febbraio 2020; 1 marzo 2020; 4 marzo 2020; 8 marzo 2020; 9 marzo 2020; 11 marzo 2020; 22 marzo 2020).

Ai prefetti spetta monitorare sul rispetto delle misure adottate, potendo avvalersi sia delle forze dell’ordine, sia delle forze armate.

Nel contempo, alcune Regioni hanno adottato, nel quadro della legge n. 833/1978, proprie ordinanze con cui hanno inasprito, talvolta anche anticipandole, le misure governative, o hanno chiuso il proprio territorio agli spostamenti di popolazione da e verso l’esterno (in contraddizione con l’art. 120 Cost.).

Con il Decreto Legge n. 19/2020 il governo ha cercato di dare una uniformità normativa a tutto il territorio nazionale, abrogando quasi completamente il precedente decreto-legge, al fine di rendere il novero degli strumenti giuridici a disposizione del governo meglio riconducibile al dettato costituzionale.

Quindi possiamo distinguere due categorie di DPCM, ovvero quelli adottati dopo il decreto-legge n. 6/2020 e quelli adottati successivamente al decreto-legge n. 19/2020.

In ogni caso sussistono molti subbi in merito alla natura degli stessi, cioè se abbiano natura sostanziale di regolamenti o di ordinanze.

Per un verso, si pongono come disposizioni attuative dei decreti-legge, dunque, sarebbero regolamenti.

Per altro verso, rinviano alla dichiarazione di stato di emergenza e prevedono la fine della propria vigenza (sono provvisori), dunque, sarebbero ordinanze. L’ordinanza del Ministro della Salute del 20.3.2020 è stata, di fatto, utilizzata per consentire al Presidente del Consiglio di non intervenire con un nuovo DPCM prima della scadenza di quello precedente, lasciando intendere che il governo ritiene sovrapponibili i due atti, sicché, i DPCM sarebbero da considerarsi ordinanze.

Qualificare i DPCM in un senso o nell’altro non è irrilevante, dal momento che le ordinanze hanno, di regola, una forza derogatoria della legislazione vigente che i regolamenti non hanno.

Il primo elemento di criticità lo si riscontra nel fatto che è tratto costitutivo del costituzionalismo quello della divisione di poteri tra organi costituzionali, che devono risultare in costante equilibrio tra di loro.

Quanto alla libertà di circolazione ed alle limitazioni imposte va rilevato che l’art. 16 Cost.pone una riserva di legge relativa (Corte cost., sentenza n. 68/1964).

Quindi la legge può limitarsi a dettare la normativa di carattere generale, demandando poi ad atti normativi secondari adottati dal potere esecutivo (come i regolamenti o le ordinanze) la specificazione del dettaglio.

Il decreto-legge n. 6/2020 definisce alcune ipotesi di limitazione, ma a titolo esemplificativo, lasciando poi libero il Presidente del Consiglio dei ministri di stabilire ulteriori misure indefinite: “ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.

Di fatto, l’atto legislativo opera un rinvio “in bianco” all’attività normativa secondaria, senza dettare la normativa di carattere generale, così, però, la riserva di legge, ancorché relativa, non sembra essere rispettata.

Nessun dubbio pare esserci, viceversa, nel mancato rispetto della riserva di legge in materia penale.

Come noto nessuno può essere punito se non in forza di una legge vigente al momento in cui il fatto è stato commesso, ciò rappresenta una delle conquiste fondamentali dello stato di diritto, assicurando che i cittadini non possano essere puniti per decisioni arbitrarie, ma in forza di una preventiva legge che consenta loro di conoscere, in anticipo e con chiarezza, quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti (art. 25, co. 2, Cost.).

Sussiste quindi una riserva di legge assoluta, tale per cui solo la legge e gli atti aventi forza di legge sono autorizzati a intervenire in materia penale.

Le misure restrittive delle libertà contenute nei DPCM adottati per far fronte all’emergenza Coronavirus non solo assumono spesso contorni non definiti quanto alla vaghezza delle stesse, non demarcando il confine tra cosa sia vietato e cosa sia permesso, rimesso spesso ad interpretazione, ma, cosa ben più preoccupante, il decreto-legge n. 6/2020  prevede espressamente una sanzione penale in caso di inosservanza del DPCM per violazione dell’art. 650 c.p., ovvero per mancata osservanza di un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, salvo che non costituisca reato più grave.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe stato preferibile agire ai sensi dell’art. 77 Cost. percorrendo la strada del decreto-legge, garantendo così la collegialità con il coinvolgimento di tutto il governo nell’adozione; il controllo, in seguito ad emanazione, da parte del Presidente della Repubblica; l’eventuale conversione in legge, con modifiche o emendamenti da parte del Parlamento.

In subordine, sarebbe stato preferibile ipotizzare che le misure restrittive venissero adottate non con DPCM, ma con decreto del Presidente della Repubblica (DPR), infatti anche se il contenuto dell’atto avrebbe continuato a essere frutto di decisione governativa, sarebbe quantomeno stata necessaria la collaborazione del Capo dello Stato, a cui sarebbe spettato il potere di emanazione e quindi di controllo costituzionale.

Tuttavia possiamo ipotizzare una linea di demarcazione piuttosto netta tra i DPCM emanati sulla base del decreto legge n. 6/2020 e quelli emanati successivamente al decreto legge n. 19/2020.

Infatti, alcuni degli elementi di criticità vengono in parte corretti dal Decreto-legge n. 19/2020, prevedendo che, su proposta del Ministro della Salute (o dei Presidenti delle Regioni interessate o, se lo sono tutte, del Presidente della Conferenza delle Regioni), il Presidente del Consiglio dei ministri possa adottare tramite proprio decreto una o più tra le misure restrittive.

In casi di estrema necessità e urgenza, nelle more dell’approvazione del DPCM, le misure elencate nell’art. 1 del decreto-legge n. 19/2020 possono essere adottate dal Ministro della Salute con ordinanza emanata ai sensi dell’art. 32 della legge n. 833/1978.

L’emanazione del DPCM fa poi venir meno l’ordinanza.

Tutti i provvedimenti adottati, sia i DPCM che le Ordinanze del Ministro della Salute, vanno comunicati alle Camere entro il giorno successivo all’emanazione, ed il Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato riferiscono ogni 15 giorni al Parlamento sulle misure adottate.

È altresì previsto che in caso di aggravamento del rischio sanitario sul territorio regionale, nelle more dell’approvazione del DPCM, i Presidenti di Regione possono, con propria ordinanza, introdurre misure ulteriormente restrittive tra quelle elencate nell’art. 1 del decreto-legge n. 19/2020.

L’emanazione del DPCM fa, poi, venir meno l’ordinanza regionale.

Dipanando qualunque dubbio interpretativo viene chiarito in modo definitivocce i Sindaci e tutte le altre autorità titolari di poteri di ordinanza non possono, invece, adottare ordinanze in contrasto con quelle adottate dallo Stato.

La violazione delle misure prescritte dai DPCM o dalle Ordinanze ministeriali o regionali è punita ora con una mera sanzione amministrativa (da € 400 a € 3.000, aumentata di un terzo se la violazione è compiuta utilizzando un veicolo).

A rimedio della violazione evidenziata nel commento del decreto-legge n. 6/2020 è espressamente esclusa l’applicazione dell’art. 650 c.p.

Solo la violazione della quarantena, come ipotesi specifica, comporta l’arresto da 3 a 18 mesi e il pagamento di una somma da € 500 a € 5.000.

Le stesse sanzioni amministrative, nella misura minima ridotta alla metà, vanno a sostituire le sanzioni penali comminate per le violazioni dei DPCM e delle ordinanze emanati prima dell’adozione del decreto-legge n. 19/2020.

Infine, il decreto-legge n. 19/2020 fa salvi gli effetti già prodotti dai DPCM adottati in base al decreto-legge n. 6/2020 e dalle ordinanze del Ministro della Salute adottate in base all’art. 32 della legge n. 833/1978.

Certamente con l’emanazione del decreto legge 19/2020 i DPMC sembrano orientati ad un maggiore rispetto del dettato costituzionale ed al coinvolgimento di più organi costituzionali, oltre che più conformi all’esplicitazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Il nuovo decreto-legge definisce in generale le misure limitative della libertà che possono, poi, essere disposte nei casi specifici tramite DPCM e ordinanze.

In tal modo, la riserva di legge stabilita dalla Costituzione pare rispettata, diversamente da quanto avveniva con il decreto-legge n. 6/2020, che attribuiva ai DPCM il compito di dettare tutte le misure necessarie, senza precisare previamente quali misure potessero essere prese.

Ulteriore elemento di maggiore garanzia appare la trasformazione delle sanzioni per il mancato rispetto delle limitazioni da misure penali a misure amministrative e che ciò valga retroattivamente anche per le sanzioni già comminate come misure penali.

Quindi, dall’emanazione del secondo decreto non pare che il Governo compia una formale violazione della Costituzione, in quanto preventivamente autorizzato dal Parlamento alla decretazione d’urgenza, anche se rimane impregiudicata una discussione di merito più che di forma.

In sintesi le misure attuative (DPCM) sono  state autorizzate  dalla legge in funzione dell’evoluzione dell’epidemia. Le restrizioni delle libertà e diritti costituzionali,  in situazione di emergenza sanitaria  e nei limiti che essa richiede sono avvenuti in base alla legge in casi precisi  per motivi sanitari, di sicurezza e di ordine pubblico, con le limitazioni previste.

Chiarito quindi il fondamento del decreto legge per adottare il DPCM, continuano a sussistere alcune criticità di fondo riscontrabili nell’assenza di termini finali differenziati nelle singole misure di sospensione dei diritti delle libertà costituzionali, come invece avviene per tutte le ordinanze urgenti ed in considerazione del rischio e della grave limitazione di libertà, con un conseguente vulnus, sia esso vizio o comunque di irregolarità di contenuto.

Infatti, accanto al termine generale e complessivo del 30 luglio andavano definite nel tempo le singole limitazioni, invece nei DPCM non sono indicati limiti temporali differenziati per le singole misure.

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti