PROCESSO MEDIATICO, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: MOLTI GIORNALISTI SONO PRIVI DI CAPACITÀ CRITICHE
I consulenti che negano l’evidenza sono proprio quelli che si servono dei processi mediatici per riscrivere i fatti dei casi di cui si occupano
PROCESSO MEDIATICO, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: MOLTI GIORNALISTI SONO PRIVI DI CAPACITÀ CRITICHE
Eugenio Albamonte, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati: “Il giornalismo d’inchiesta (…) non può limitarsi a essere il copia e incolla di quello che dice un magistrato. I magistrati che vogliono far rispettare la legge e non affermare una propria verità, hanno bisogno del “check and balance” dei giornali e hanno bisogno anche di giornali che offrano spunti di riflessione e perché no, anche piste da seguire. Purtroppo questo capita sempre di meno ed è un fenomeno che credo sia giusto denunciare e mettere a fuoco. In Italia abbiamo un mostro che si chiama processo mediatico e credo sia giusto che si lavori seriamente per sgonfiare questa bolla pericolosa che complica i processi, danneggia gli indagati e fa male anche alla credibilità della magistratura. Le indagini non sono e non possono mai essere delle condanne. Il processo mediatico è un dramma. I giornalisti non devono essere i copia e incolla delle procure”
Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari.
È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi.
Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.
– Beniamino Migliucci, l’ex presidente dell’Unione Camere penali italiane, ha detto: “Il processo mediatico, che è un processo virtuale, produce effetti distorsivi, aspettative di una giustizia sommaria, sentimenti di rabbia, di vendetta. Il processo mediatico è un atto inquisitorio e perciò autoritario, si fonda solo sugli elementi raccolti dall’accusa nei confronti dell’indagato ed è esattamente il contrario del giusto processo.
Quando questo tipo di giustizia si sostituisce a quella del Tribunale, si assiste alla delegittimazione degli attori del processo, si crea astio nei confronti dei difensori. Il processo mediatico crea aspettative durante la messa in onda di certe trasmissioni secondo cui qualcuno sarebbe il colpevole di un atroce reato, e non interessa più il processo.
Da ciò la delegittimazione anche dei giudici, quando assolvono o irrogano pene troppe basse. Il problema è che ad essere influenzati sono anche i giudici togati che obbediscono a meccanismi identici a quelli di tutti gli altri esseri umani.
La verità è che nella fase di indagine circa il 70% degli atti che non dovrebbero uscire proviene dal circuito inquirente”, dottoressa vuole aggiungere qualcosa?
Le procure forniscono stralci ad hoc degli atti d’indagine ai giornalisti della stampa e ai conduttori delle trasmissioni televisive che si occupano di casi giudiziari al solo scopo di condizionare i giudici. Quando una procura non è in grado di costruire un castello accusatorio solido gioca la carta del processo mediatico.
Aggiungo che sono spesso le parti civili ad alimentare il processo mediatico, a volte perché sono accecati da quel fenomeno che si chiama Noble Cause Corruption, che è la prima causa di errore giudiziario, altre volte per vera e propria volontà criminale.
– La Noble Cause Corruption cos’è?
È estremamente frequente che un PM, invece di farsi un’idea su un caso giudiziario sulla base delle risultanze investigative, cristallizzi la propria idea preconcetta nominando una serie di consulenti partigiani pronti a supportarla. Il PM in questione ritiene che l’inappropriata condotta, sua e dei suoi consulenti, sia giustificabile e non invece meritevole di una infamante condanna sul piano morale perché è erroneamente convinto di essere un paladino della giustizia destinato a perseguire un importante interesse pubblico. E’ inutile aggiungere che questo modo di procedere di un PM rivela invece incompetenza, superficialità e assenza di morale.
– Dottoressa Franco, come si spiega che ci siano consulenti che continuano ad affermare che i giudici non si fanno influenzare dai processi mediatici?
I consulenti che negano l’evidenza sono proprio quelli che si servono dei processi mediatici per riscrivere i fatti dei casi di cui si occupano.
– Perché quasi tutti i giornalisti danno voce ad una sola delle parti?
La maggior parte dei giornalisti sono equiparabili agli impiegati di una catena di montaggio, non sono esseri pensanti ma vittime loro stessi del processo mediatico perché privi di capacità critiche. E poi cercano il consenso della massa. Vorrei dirle che non mi stupisco più ed invece continuo a stupirmi ogni volta che un giornalista dà voce a chi è privo di argomenti.