OMICIDIO DI FABIO LORENZON, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: analisi dell’intervista rilasciata da Giovanni Zorzi
La criminologa Ursula Franco ha analizzato per noi le parole di Giovanni Zorzi, fratello di Sandro Zorzi, l’uomo condannato per l’omicidio di Fabio Lorenzon
OMICIDIO DI FABIO LORENZON, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: analisi dell’intervista rilasciata da Giovanni Zorzi
La trasmissione “Chi l’ha visto?” ha intervistato Giovanni Zorzi, fratello dell’uomo condannato per l’omicidio di Fabio Lorenzon. Giovanni Zorzi si batte per far riaprire il caso.
ESCLUSIVA Le Cronache Lucane, 5 giugno 2020
Fabio Lorenzon è scomparso il 24 settembre 2009. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre, un passante ha notato un’auto semi sommersa in un canale di irrigazione, all’interno della stessa è stato rinvenuto il corpo del Lorenzon con il cranio fracassato.
Il 15 gennaio 2013 la Corte di Assise di Roma ha riconosciuto Sandro Zorzi colpevole dell’omicidio dell’amico Fabio Lorenzon e lo ha condannato a 24 anni di carceri.
Il 13 febbraio 2014 la Corte di Assise di Appello ha assolto Sandro Zorzi per non aver commesso il fatto.
Il 26 gennaio 2016 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado e, dopo un nuovo processo d’Appello che si è concluso con una condanna a 20 anni confermata dalla Cassazioni, per lo Zorzi si sono aperte le porte del carcere.
La criminologa Ursula Franco ha analizzato per noi le parole di Giovanni Zorzi, fratello di Sandro Zorzi, l’uomo condannato per l’omicidio di Fabio Lorenzon
Giovanni Zorzi: Io fino alla fine lotterò per dimostrare che Sandro non c’entra niente. Sandro mi ha detto: “Io devo uscire da qua pulito perché io non ho fatto niente”
Voglio precisare che è Giovanni Zorzi a parlare e che, attraverso l’analisi delle sue parole, intuiremo qual è il suo convincimento.
Da Giovanni Zorzi, che combatte affinchè il caso venga riaperto, ci saremmo aspettati che dicesse “Sandro non ha ucciso Fabio Lorenzon”, parole che ci avrebbero provato che ritiene suo fratello Sandro innocente “de facto” ed invece il fratello dell’uomo condannato per l’omicidio del Lorenzon ha detto “Sandro non c’entra niente”.
“Sandro non c’entra niente” non equivale a dire “Sandro non ha ucciso Fabio” perché è una negazione priva di riferimenti all’azione omicidiaria e alla vittima.
”io non ho fatto niente”, parole attribuite da Giovanni a suo fratello Sandro, non sono una negazione credibile perché, anche in questo caso, mancano i riferimenti sia all’azione omicidiaria che alla vittima. “Io non ho ucciso Fabio” sarebbe stata una negazione credibile.
Giovanni Zorzi: Perché quel bastone… è stato… dopo ventotto giorno, trovato lì per terra? A parte che lì nessuno ha visto niente, ma pure la… uno lascia un bastone lì per terra? E ripeto lì non è successo niente perché lì c’erano anche le persone, Sandro stava… ma mettiamo pure, ma uno lascia un bastone lì per terra? Poi non ci sono manco le impronte di Sandro.
Si noti che Giovanni non dice “lì non è stato ucciso Fabio Lorenzon” ma “lì non è successo niente”, ancora una volta senza fare riferimento né all’azione omicidiaria, né alla vittima.
Si noti che Giovanni definisce l’omicida “uno” non “un assassino” o “un omicida” mostrando una inaspettata disposizione linguistica neutrale nei confronti dell’autore dell’omicidio, un soggetto che non solo ha ucciso il Lorenzon ma che, se suo fratello Sandro fosse vittima di un errore giudiziario, gli avrebbe rovinato la vita.
Si noti l’autocensura dopo le parole “Sandro stava…”, un segnale che Giovanni nasconde informazioni.
Si notino infine le parole “ma mettiamo pure” attraverso le quali Giovanni apre alla possibilità che il fratello Sandro possa aver ucciso il Lorenzon o che qualcuno lo abbia ucciso nel luogo in cui è stata ritrovata l’arma del delitto, un appezzamento di terreno che appartiene a Sandro Zorzi.
CONCLUSIONI
Giovanni Zorzi non convince, non solo non ha mostrato di credere che suo fratello sia innocente “de facto”, ma ha aperto alla possibilità che il fratello abbia commesso l’omicidio o che qualcuno abbia ucciso il Lorenzon nel luogo in cui è stata ritrovata l’arma del delitto, un appezzamento di terreno che appartiene a Sandro Zorzi.