LE POESIE D’AMORE DI FEDERICO II
Nella sua cosmopolita corte, erede di quella normanna, la prima lirica in lingua volgare
DI LEONARDO PISANI
Il nome glielo diede Dante che la definì “scuola siciliana” nel De vulgari eloquentia, nata nell’ambiente di corte di Federico II Staufen, che continuando la tradizionale apertura culturale e incentivazione al sapere del nonno Ruggero II D’Altavilla, dello zio Guglielmo I D’Altavilla e dei del cugini Guglielmo II e Tancredi D’Altavilla, nella sua cosmopolita corte si produsse la prima lirica in lingua volgare in Italia. La scuola durò un trentennio sono alla battaglia di Benevento (1266), terminata con la sconfitta e la morte di Manfredi,( Venosa 1232- Benevento 1266) figlio di Federico e quindi con lo sgretolamento dell’ambiente di raffinata cultura che aveva fatto sorgere la scuola stessa. Tra le innovazioni anche il sonetto, la cui invenzione è attribuita al rappresentante più significativo, il Notato Jacopo Da Lentini, altri rappresentanti furono Guido delle Colonne, Pier delle Vigne, Rinaldo d’Aquino, Giacomino Pugliese, Stefano Protonotaro ed anche il Re di Gerusalemme Giovanni di Brienne, padre di Jolanda chiamata anche Isabella, seconda moglie di Federico II. . Ma gli stessi Staufen scrivevano versi, sia Federico che i figli Enzo e Manfredi. Dello Stupor Mundi ci sono pervenute alcune liriche Queste prime due sono dedicate a Bianca Lancia (Italia meridionale?, 1210 circa – 1248- 1250?), il suo più grande amore, madre di Mannfedi, nato nella lucana Venosa. Come scrive Renato Bordone – nella Federiciana della Treccani (2005): «Intorno alla madre di re Manfredi non sono rimaste fonti documentarie, ma solo narrative e ciò rende problematica la ricostruzione della sua figura. Secondo il coevo Annalista genovese, Federico II ebbe Manfredi “ex filia domine Blance, filie quondam marchionis Lance”: la madre di re Manfredi, qui anonima, sarebbe figlia di una domina Bianca, figlia a sua volta del marchese piemontese Manfredi I Lancia e sorella di Manfredi II; l’attribuzione del nome Bianca anche alla figlia risale al più tardo Bartolomeo di Neocastro (“quinta [uxor] vero fuit nobilis domina Blanca de domo illorum nobilium de Lancea de Lombardia”), che scrisse una quarantina di anni dopo. Proprio la presenza di madre e figlia dal medesimo nome ‒ non inconsueta presso i Lancia, dove padre e figlio si chiamavano entrambi Manfredi ‒ dovette suscitare qualche confusione fra i due personaggi già presso cronisti contemporanei, ma di diversa provenienza geografica. Salimbene de Adam, che in quattro occasioni parla della madre di Manfredi, oscilla infatti fra sorella e nipote’ di Manfredi II Lancia, anche se sembra propendere per la nipote; già Tommaso Tosco, che scriveva nel 1279, aveva invece accolto la versione che Manfredi fosse stato generato “ex sorore marchionis Lance, que filia domne Blance fuit”, facendo così della prima Bianca la madre (e non la sorella) anche di Manfredi II». Federico II e Bianca Lancia probabilmente si sono incontrati fra il 1226 e il 1230, in un luogo del Regno non meglio precisabile: rispondono infatti a fantasia tanto l’ipotesi che Federico II sarebbe passato per Agliano quanto quella di un incontro con Bianca Lancia a Lagopesole o a Brolo, presso Messina. Di certo si sa soltanto che nacquero nel 1230 Costanza e nel 1232 Manfredi, quest’ultimo, secondo una tradizione mantenutasi costante, forse a Venosa o in uno dei castelli tra il Vulture e le Murge pugliesi.
DE LA MIA DISIANZA
De le mia disïanza/c’ò penato ad avire, /mi fa sbaldire – poi ch’i’ n’ò ragione,chè m’à data fermanza/com’io possa compire/[ lu meu placire ] – senza ogne cagione,/a la stagione – ch’io l’averò [‘n] possanza./Senza fallanza – voglio la persone,per cui cagione – faccio mo’ membranza. A tut[t]ora membrando/de lo dolze diletto ched io aspetto, – sonne alegro e gaudente. Vaio tanto tardando,chè paura mi metto/ed ò sospetto – de la mala gente,che per neiente – vanno disturbandoe rampognando – chi ama lealmente;ond’io sovente – vado sospirando./Sospiro e sto ’[n] rancura;ch’io son sì disioso/e pauroso – mi face penare. Ma tanto m’asicura/lo suo viso amoroso,e lo gioioso – riso e lo sguardaree lo parlare – di quella criatura, che per paura – mi face penaree dimorare: – tant’è fine e pura./Tanto è sagia e cortise,no creco che pensasse,/nè distornasse – di ciò che m’à impromiso.Da la ria gente aprise/da lor non si stornasse,/che mi tornasse – a danno chi gli ò offiso,e ben mi à miso – [ . . . -ise]/[ . . . -ise] – in foco, ciò m’è aviso,35/che lo bel viso – lo cor m’adivise./Diviso m’à lo core e lo corpo à ’n balìa;/tienmi e mi lia – forte incatenato./La fiore d’ogne fiore/prego per cortesia,che più non sia – lo suo detto fallato,nè disturbato – per inizadore,nè suo valore – non sia menovato, nè rabassato – per altro amadore.
Il poema d’amore “Oi lasso non pensai” è dedicato da Federico ad Anais, cugina dell’infelice sposa Jolanda di Brienne, della quale si era follemente invaghito al punto da definirla poeticamente “Fiore di Siria”. Anaïs di Brienne, il ‘fiore di Siria cui lo Svevo dedicò questa composizione poetica, oltre che cugina di Iolanda di Brienne, faceva parte del seguito di quest’ultima in occasione delle nozze celebrate a Brindisi nel novembre del 1225. Pare che l’imperatore la preferisse alla troppo giovane consorte, trascorrendo con lei anche la prima notte di nozze. Da questa relazione nacque l’anno seguente Biancafiore, morta in Francia nel monastero domenicano di Montargis il 20 giugno 1279. I versi, quasi un lamento d’addio, mostrano un profondo sentimento e una buona qualità poetica.
OI LASSO NON PENSAI
Oi lasso, non pensai si forte mi paresse/lo dipartire da madonna mia/da poi ch’io m’aloncai, ben paria ch’io morisse,/membrando di sua dolze compagnia;e giammai tanta pena non durai/se non quando a la nave adimorai,/ed or mi credo morire certamente/se da lei no ritorno prestamente.(Canzonetta gioiosa, va a la fior di Soria, a quella c’à in pregione lo mio core: Dì a la più amorosa,ca per sua cortesia/si rimembri de lo suo servidore,/quelli che per suo amore va penando/mentre non faccia tutto l suo comando;/e pregalami per la sua bontade/ch’ella mi degia tener lealtate.