I MISERABILI CHE CHIAMANO “SCIMMIE” GLI AFRICANI
Lettere Lucane
La Guardia di Finanza ha sequestrato 14 aziende agricole per il reato di caporalato. 12 sono del materano, 2 del cosentino. Il fenomeno non è nuovo – sono anni che conosciamo le problematiche della manodopera africana sfruttata in realtà come Castel Volturno, Rosarno, San Severo – ma questa volta le intercettazioni disposte dalla Procura di Castrovillari hanno svelato aspetti linguistici, e quindi culturali, che mi hanno fatto letteralmente vergognare delle nostre zone. Perché in queste intercettazioni i braccianti africani vengono definiti “scimmie”. Non uomini, non persone, non operai, ma scimmie. Scimmie nemmeno degne di una bottiglia d’acqua, visto che uno degli intercettai consiglia di riempire per loro delle bottiglie vuote in un canale. Tutto questo per pochi centesimi per ogni cassa raccolta sotto il sole cocente con la schiena spezzata.
Perché mi sono vergognato? Perché è più di un secolo che ci insultano in tutto il mondo – ora un po’ meno di prima – chiamandoci “cinkeli”, “spaghetti”, “mafia”. E ora che abbiamo due soldi in tasca facciamo i capetti bianchi delle piantagioni. Per decenni ci hanno arrestati, espulsi, lavati alle frontiere con le pompe, umiliati, trattai come ciucci da soma nei cantieri di New York, di Zurigo, di Francoforte. Per decenni ci hanno detto che puzzavamo, che eravamo violenti, sfaticati, inferiori, che tenevamo le galline nelle stanze e i porci nel bagno, che rubavamo le loro donne e distruggevamo le case che ci affittavano. E ora che facciamo? Chiamiamo “scimmie” questi poveri ragazzi miti e pacifici – figli di un continente povero e infelice – che per pochi euro si spaccano la schiena nei nostri campi coltivati a fragole e pomodori. Così facendoci retrocedere al rango di miserabili, di poveracci, di bestie gonfie d’ignoranza.
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