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URSULA FRANCO : L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI

“Dal punto di vista dell’analisi statistica, i soggetti affetti da parafilie uccidono con maggior frequenza dei soggetti sani”

 

Criminologa URSULA FRANCO
L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI

malke L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI       

 A cura della nota criminologa Ursula Franco  *      

 


1– Il profilo psichico di Alberto Stasi
ALBERTO STASI L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI
Alberto Stasi

Dopo l’omicidio di Chiara Poggi è stato sequestrato ed analizzato il computer di Alberto Stasi, fidanzato della vittima ed unico indagato, l’analisi del pc ha rivelato l’ossessione di Stasi per i siti erotico-pornografici e l’acquisizione da parte dello stesso di alcune foto e video a carattere pedo pornografico. Dopo l’accusa di detenzione e divulgazione di materiale pedo pornografico, Alberto Stasi ha subito un processo, è stato condannato in primo e secondo grado e assolto in cassazione.

7064 immagini e 542 filmati pornografici, 21 immagini e 7 filmati pedo pornografici si trovavano nel disco rigido del computer portatile di Alberto Stasi in una cartella anonima chiamata NUOVA CARTELLA, all’interno di una directory denominata MILITARE, la quale oltre a contenere foto di aerei, carri armati e soldati celava il torbido segreto del giovane studente. Stasi aveva catalogato le immagini ed i filmati pornografici in undici cartelle dai titoli rivelatori: AMATEUR, BIG, PREGNANT, VIRGINS, FORCED, FACIAL, ORGY, COLLANT (2869 file), MATURE (586 file), FOTO CELL.

foto Stasi L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTIIn FOTO CELL gli inquirenti hanno trovato 89 immagini degli amici e di Alberto, Alberto in perizoma, foto di Chiara a Londra e foto della biancheria intima, dei piedi e delle scarpe di estranee incontrate per strada, alcune delle stesse scattate da Alberto con il telefonino pochi secondi dopo aver fotografato la fidanzata nella capitale inglese.

Il materiale a tema pedo pornografico è stato definito “raccapricciante” dalla corte d’Appello di Milano.

Dal punto di vista dell’analisi statistica, i soggetti affetti da parafilie uccidono con maggior frequenza dei soggetti sani.

CHIARA POGGI 1 L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI
Chiara Poggi
2– Il movente dell’omicidio

Ogni azione ha un motivo, una causa che la determina, i moventi sono sempre relativi, come si evince dalla casistica. Ciò che conduce un soggetto ad uccidere, in un altro può destare solo ilarità. Pensiamo ad un certo numero di soggetti omosessuali messi di fronte alla propria omosessualità ed alle loro possibili reazioni, reazioni che variano a seconda della loro età, dell’accettazione o meno da parte della famiglia d’origine, dell’ambiente in cui vivono, del grado di scolarizzazione, della religione di appartenenza, etc, etc.

Con tutta probabilità, Chiara Poggi, poche ore prima di venir uccisa minacciò di rivelare a qualcuno i segreti inconfessabili del suo fidanzato, sul pc della stessa venne ritrovato, a conferma di questa ipotesi, il risultato di una ricerca sui pedofili.

Il 12 agosto, Stasi aveva intenzione di dormire con la fidanzata, furono i dissidi con Chiara che lo indussero a tornare nella sua casa di via Carducci; Alberto Stasi ha mentito agli investigatori quando ha detto che non era sua intenzione restare a dormire da Chiara, lo ha fatto per nascondere la discussione, ovvero il movente dell’omicidio. Se avesse avuto intenzione di tornare a casa sua a dormire, Alberto non sarebbe andato a chiudere il cane tra le 21.59 e le 22.10 per poi tornare a casa di Chiara ed infine rientrare poco dopo in via Carducci. 

Uno dei due scenari qui sotto descritti seguì alla discussione tra Chiara ed Alberto:

  • Omicidio premeditato: Stasi, dopo aver discusso con la fidanzata nelle prime ore del 13 agosto, forse di una promessa non mantenuta, ha lasciato casa Poggi, ha premeditato l’omicidio e al mattino si è recato dalla fidanzata con l’intenzione di ucciderla.
  • Omicidio d’impeto: Stasi, dopo aver discusso con la fidanzata nelle prime ore del 13 agosto, forse di una promessa non mantenuta, ha lasciato casa Poggi, è tornato poche ore dopo per chiarire, per chiedere a Chiara di non “sputtanarlo”, ma non è riuscito nel suo intento, e per questo l’ha uccisa.

Stasi ha scelto di uccidere la fidanzata per non affrontare le conseguenze delle rivelazioni della Poggi, rivelazioni che lo avrebbero marchiato per sempre come un pervertito. Stasi ha ucciso per evitare di andare incontro alla disistima genitoriale, ad una eventuale temutissima punizione paterna e al probabile fallimento del suo progetto di escalation sociale, Stasi, nipote di un camionista, figlio della media borghesia benestante, sognava un riscatto sociale ed era giunto quasi a laurearsi alla Bocconi, ad acquisire il titolo di dottore in una delle più importanti università italiane.

Avvalora l’ipotesi dell’omicidio d’impeto la presenza della bicicletta di Stasi, la Umberto Dei Milano, all’esterno della casa della vittima. Se Alberto fosse andato da Chiara con l’intenzione di ucciderla, avrebbe quantomeno nascosto la sua bicicletta nel giardino di casa Poggi.

3– La bicicletta

Il giorno dell’omicidio, Stasi non si recò da Chiara con una bici nera da donna ma con la sua Umberto Dei Milano.

La signora Franca Bermani ha dichiarato di aver visto una bicicletta nei pressi del cancello di casa Poggi verso le 9.10 del 13 agosto 2007, giorno dell’omicidio di Chiara. La testimone associò la presenza della bicicletta ad un risveglio precoce di Chiara ad opera dell’ospite con la bicicletta. Chiara aveva disattivato l’allarme perimetrale della propria casa alle 9.12, molto probabilmente in concomitanza con l’arrivo di questo soggetto. L’associazione di idee della signora Bermani, bicicletta/risveglio, le ha permesso di ricordare di aver visto una bicicletta a quell’ora, la sua testimonianza è quindi credibile per quanto attiene alla presenza di una generica bicicletta.

La Bermani non si è limitata però a dichiarare di aver visto una bicicletta, che tra l’altro vide da dietro e da circa 15 metri di distanza, ma l’ha descritta, arricchendo di dettagli la sua testimonianza durante l’udienza. La Bermani, nonostante fosse lucida ed in buona fede, ha fornito dettagli che non aveva motivo di ricordare.

Se la testimonianza della teste fosse stata valutata sulla base della psicologia della testimonianza, sarebbero emerse le involontarie falsità e inesattezze riferite dalla Bermani.

Il giudice Vitelli, nonostante avesse compreso il rischio di assumere come veritiera la descrizione in toto della bicicletta ad opera della teste Bermani, nell’analisi critica di tale testimonianza ha purtroppo giudicato credibile quella parte di testimonianza riguardante il modello e il colore della bicicletta.

Unico dato testimoniale certo era invece la presenza di una bicicletta.

Il 25 agosto 2007 la Bermani, in sede di sommarie informazioni, descrisse così la bicicletta: di colore nero, la sella alta con le molle sottostanti cromate, il portapacchi posteriore a molla, la canna curva e non rettilinea, senza i copriruote posteriori, mentre in udienza disse che la bicicletta aveva i copriruote posteriori.

sellino bici stasi L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI

 

 

 

 

La sella alta con le molle sottostanti cromate, il portapacchi posteriore a molla, i copriruote posteriori e pure la canna curva sono elementi descrittivi della bicicletta Umberto Dei Milano in uso ad Alberto Stasi.

Quando alla Bermani fu mostrata la bicicletta Bicicletta Umberto Dei Milano, modello Giubileo uomo di Alberto Stasi, la teste negò con forza che fosse quella vista la mattina dell’omicidio. La bicicletta le fu mostrata in una prospettiva frontale e non da dietro come lei ricordava di averla vista e anche per questo non può che esserle apparsa diversa.bici stasi L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTI

Viene da chiedersi su quale base il giudice Vitelli abbia ritenuto che alcuni tra i dettagli riferiti dalla Bermani corrispondessero alla bicicletta di quella mattina e abbia invece escluso tutti quelli riferibili alla bicicletta Umberto Dei Milano di Alberto Stasi.

Il giudice Vitelli, per non sbagliare, avrebbe dovuto attenersi ad un’unica macrodescrizione: bicicletta.

Le parti civili avrebbero dovuto mettere in dubbio che la bicicletta vista dalla Bermani fosse “nera da donna”.

La consulenza di un esperto di psicologia della testimonianza avrebbe permesso di attribuire il giusto (dis)valore alla testimonianza della Bermani. Nessun teste è capace di rievocare i fatti di cui è stato testimone sotto forma di riproduzioni fotografiche. Un teste, suo malgrado, è capace solo di rievocare verità soggettive. A causa di distorsioni, falsi ricordi e dimenticanze, il ricordo non è altro che una personale interpretazione dei fatti osservati. Fattori personali ed elementi esteriori agiscono su ciascuna delle tre fasi del processo testimoniale, acquisizione, ritenzione e recupero, distorcendolo. Tali distorsioni sommandosi tendono ad allontanare il contenuto testimoniale dalla realtà dei fatti. Alcuni testimoni, pensando di essere d’aiuto alle indagini, tendono a colmare le proprie lacune, a riordinare i ricordi, a compiacere l’intervistatore, tali atteggiamenti non invalidano in toto la loro testimonianza ma prevedono l’analisi della stessa da parte di un esperto capace di interpretarla al meglio. Un’altra causa di errore deriva dal modo in cui un esaminatore si rivolge al teste, egli dovrebbe limitarsi a domande aperte, le uniche non suggestive.

Ma veniamo al nostro caso specifico, accertata dunque attraverso la testimonianza della teste Bermani la presenza di una generica bicicletta, la logica avrebbe dovuto condurre il giudice Vitelli a concludere che tale bicicletta non poteva che essere la Umberto Dei Milano in uso ad Alberto Stasi per la presenza del DNA di Chiara sui pedali e che quindi Stasi non poteva che essere l’autore dell’omicidio.

Stasi, dopo aver commesso l’omicidio, gettò gli abiti e le scarpe insanguinate, si lavò e pulì la bicicletta Umberto Dei con la quale si era mosso quella mattina.

Poi, dopo aver fatto il possibile per eliminare ogni traccia del reato, Stasi commise un errore grossolano quando tornò in via Giovanni Pascoli dopo le 13.30: non entrò nella villetta dei Poggi per non sporcarsi. Il fatto che Stasi, pur non essendo entrato in casa Poggi, sia stato in grado  di descrivere la scena del crimine agli inquirenti è la riprova della sua colpevolezza.

4– La telefonata di Stasi al 118

Alberto Stasi ha chiamato il 118 alle 13.50 del 13 agosto 2007:

  • Durante tutta la telefonata l’operatore ha dovuto “estorcere” informazioni che inaspettatamente Stasi non gli ha rivelato spontaneamente.
  • Stasi ha richiesto un’ambulanza fornendo un indirizzo mancante del numero civico, numero del quale Alberto avrebbe potuto rapidamente accertarsi.
  •  Alberto Stasi non ha informato il telefonista del 118 che il corpo di Chiara si trovava sulle scale che conducono nella cantina della villetta.
  • Stasi era a conoscenza che il cancello di casa Poggi era chiuso e che, inevitabilmente, tale circostanza avrebbe rallentato i soccorsi, ma non si è preoccupato di tornare indietro per aprirlo e per riferire il numero civico. Una riprova del fatto che Stasi non aveva urgenza che Chiara venisse soccorsa.
  • Alberto Stasi ha comunicato la probabile morte di Chiara senza avere le competenze mediche per farlo. Comunicare la morte di un soggetto per il quale si stanno chiamando i soccorsi, non è certamente un invito rivolto ai soccorritori a recarsi rapidamente sulla scena. La reazione di un innocente che scopre la vittima di un omicidio o di un incidente è generalmente opposta, peraltro soprattutto i familiari negano nell’immediatezza la morte di un loro caro per l’incapacità di metabolizzare un’informazione così sconvolgente, anzi chiedono ai soccorritori di praticare sul corpo del defunto ogni misura medica possibile per resuscitarlo, anche quando questi appare “irrimediabilmente” morto.
  • Stasi non ha nominato spontaneamente la vittima. Solo in seguito alle domande dell’operatore del 118, ne ha parlato come di una estranea: “credo che abbiano ucciso una persona e lei è sdraiata per terra”; infine, e solo in risposta ad una domanda dell’operatore, l’ha definita “la mia fidanzata”. Il fatto che Stasi non abbia introdotto Chiara con il suo nome e che non abbia riferito che era la sua fidanzata ci ha fornito importanti informazioni sullo stato del loro rapporto al momento della chiamata. Il linguaggio è un riflesso della nostra percezione della realtà, per Alberto Stasi Chiara Poggi era semplicemente “una persona”.
  • Verso la fine della telefonata, Alberto ha mostrato di essere ormai quasi infastidito.
5– Alberto Stasi dai Carabinieri

Stasi ha chiamato il 118 mentre si stava recando nella caserma dei Carabinieri. Rispetto alla telefonata di soccorso, agli uomini dell’Arma, da un punto emotivo, egli apparve un’altra persona. I carabinieri presenti lo hanno descritto come tachicardico e in preda al panico. Stasi non ha nascosto di essere spaventato tanto che un carabiniere, preoccupato per le sue condizioni, gli ha misurato la pressione.

Alberto è apparso calmo e distaccato al telefono con l’operatore del 118, ma appena giunto dai Carabinieri, quella freddezza ha lasciato il posto al panico. Il panico è uno stato emotivo difficilissimo da nascondere, la cui causa, in questo caso, non è da ascriversi alla scoperta del cadavere della fidanzata, ma al timore di commettere degli errori che avrebbero potuto indurre gli uomini dell’Arma a sospettarlo dell’omicidio di Chiara.  Nel “raccontare cosa è successo” ai carabinieri, per usare una sua frase estratta dalla telefonata al 118 (da un testimone che dice di aver trovato un corpo ci aspetteremo solo frasi del tipo: “raccontare cosa ho visto” e non frasi che tradiscano una partecipazione), Stasi ha temuto di incorrere in contraddizioni fatali che gli avrebbero condizionato il destino. Una posta in gioco altissima per Alberto: ecco perché era in preda al panico in caserma.

Stasi, come Parolisi, manifestava i sintomi somatici di una sindrome di adattamento ad uno stress acuto (General Adaptation Syndrome) evidenziabili non solo nelle vittime sopravvissute ad un grave reato ma anche negli autori dello stesso. Tale sindrome non è altro che una fisiologica reazione che segue ad un’esperienza critica. Il corpo umano reagisce ad uno stress acuto rilasciando una cascata ormonale. Se lo stress è prolungato il corpo non riesce a tornare alla normalità e continua a rilasciare ormoni che provocano un aumento della frequenza cardiaca, ansia, aumento della peristalsi gastrointestinale che può portare ad episodi di vomito o diarrea, inibizione della salivazione, midriasi, aumento della sudorazione e della frequenza urinaria, etc.

6– Gli interrogatori di Stasi

Stasi, durante gli interrogatori, ha dissimulato, non ha raccontato né di dissidi precedenti, né di una eventuale discussione avuta con Chiara la sera del 12 agosto, discussione che, con tutta probabilità, aveva invece cambiato i programmi di quella serata. La Poggi, a mio avviso, non era la prima volta che affrontava l’ossessione di Alberto Stasi per la pornografia e lo fece più volte nei suoi ultimi giorni di vita tanto da indurre Alberto a contattare per una seria emergenza due dei suoi amici più stretti, Marco Panzarasa e Simone Piazzon, attraverso telefonate ed sms il contenuto dei quali non è mai stato rivelato da nessuno dei tre.
Marco Panzarasa, dopo essere stato contattato da Alberto, anticipò di tre giorni il proprio rientro a Garlasco da Borghetto Santo Spirito, dove era in villeggiatura, adducendo poco credibili motivi di studio. Egli partì all’improvviso, come testimoniato da un amico, si fece accompagnare alla stazione di Loano verso le 10.00 del mattino di lunedì 13 agosto 2007 da Simone PIazzon ed affrontò un lungo viaggio con un treno regionale da Loano a Pavia.
Secondo il sostituto procuratore generale Laura Barbaini è soprattutto sospetta l’assenza di una qualsiasi spiegazione da parte dei tre ragazzi relativa al contenuto degli sms, in specie di quello inviato da Stasi alle 2.04 del mattino del 12 agosto all’amico Piazzon, messaggio poi cancellato da entrambi, assenza che ci conferma che Stasi, Piazzon e Panzarasa “non possono dire la verità perché è una verità scomoda per tutti, a riprova che qualcosa di grave è sicuramente successo”.
“C’è pertanto la traccia chiara – ha sostenuto il procuratore generale – di una sopravvenienza che i protagonisti scelgono di non spiegare, che si sviluppa tra le prime ore del 12.8.2007 e si conclude tra le prime ore del 13.8.2007, traccia che costituisce indice sicuro del fatto che si era delineata una problematica per Alberto Stasi. Non abbiamo il movente, o meglio lo possiamo ricavare: dall’insieme dei rapporti che intercorrevano abbiamo il segnale di un problema, non spiegato dai protagonisti e quindi valorizzato dal silenzio dei protagonisti”.

Viene da chiedersi, poi, perché Alberto negli interrogatori abbia taciuto la risposta muta di 12 secondi sull’utenza di casa Poggi seguita alla sua telefonata delle 13.27 e perché dopo tale risposta si sia diretto in via Pascoli. Il sistema di allarme dei Poggi rispose in automatico, Alberto Stasi non poteva saperlo e forse temette che Chiara fosse ancora viva e che avrebbe potuto chiamare i soccorsi.

Durante gli interrogatori, Stasi è incorso in un enorme passo falso quando ha cercato di giustificare la presenza del sangue di Chiara sui pedali della sua bici Umberto Dei. Alberto ha infatti sostenuto di aver pestato, nei giorni precedenti all’omicidio, il sangue mestruale della fidanzata e di averlo trasferito sui pedali, una spiegazione inverosimile. Alberto però, con la sua risposta, non ha fatto che confermare che quello repertato dai RIS sui pedali era sangue di Chiara.

Dai sui interrogatori: “[…] Ho capito che era morta solo quando l’ambulanza è arrivata e non è andata via con lei. Preciso che ho visto un medico scendere e parlare con i Carabinieri e fare un segno con le mani come per dire che non c’era bisogno. Ho appreso del decesso di Chiara dal dialogo tra i Carabinieri e i medici. Non ho chiesto a nessun medico se Chiara fosse deceduta né tantomeno quale fosse stata la causa del decesso […] “.

Stasi non si è informato sulle condizioni di Chiara o sulla probabile causa della morte perché conosceva le risposte. Il fatto che Alberto non abbia chiesto informazioni su Chiara non è un dettaglio di poco conto.

7– La scena del crimine

Chi uccise Chiara la conosceva bene, ella infatti aprì la porta vestita solamente di un pigiama estivo; non furono repertate impronte di estranei nell’appartamento; non fu aggredita alle spalle da un soggetto sconosciuto mentre tentava di sfuggire.

Chiara fu attinta al volto dai primi colpi proprio mentre stava parlando con il suo aggressore. All’esame autoptico non sono state riscontrate lesioni da difesa né sulle sue braccia né sulle mani, una riprova del fatto che Chiara non si aspettava di venir colpita.

Chi ha ucciso Chiara era al corrente che i familiari non si trovavano a Garlasco e che quindi non c’era il rischio che rientrassero in casa, tanto che si diresse in bagno e vi rimase a lungo per lavarsi dal sangue della sua giovane vittima, lasciando, in quel frangente, le impronte insanguinate delle proprie scarpe da tennis sul tappetino del bagno e l’impronta del palmo della sua mano sul dispenser.

8– Alberto Stasi al funerale di Chiara

Alberto, come tutti i responsabili di un omicidio, nelle fase iniziali delle indagini ha finto di collaborare con gli inquirenti e ha recitato la parte del fidanzato in lutto a favore degli stessi e dell’opinione pubblica, in specie mostrandosi sgomento e facendosi sostenere dalla propria madre il giorno dei funerali di Chiara. La madre di Alberto Stasi e la sorella dell’uxoricida Salvatore Parolisi, alla quale egli apparve, a dir poco, coeso il giorno dei funerali della moglie Melania Rea, sono servite ai due assassini per tenere a debita distanza i presenti a quelle commemorazioni. Le due donne e la simulata prostrazione dei due rei, scoraggiando ogni potenziale interlocutore, hanno avuto funzione di barriera nei confronti del resto del mondo. Stasi e Parolisi sono riusciti così a limitare la pressione cui temevano di venir sottoposti durante i funerali delle loro vittime. Sia Stasi che Parolisi, impossibilitati ad esprimere il proprio reale sentimento, ovvero il sollievo, hanno tentato di soffocarlo goffamente esasperando la rappresentazione di un sentimento opposto, fingendosi innaturalmente afflitti da una inconsolabile sofferenza.

9– Le intercettazioni

Dalle intercettazioni e dal comportamento post omicidiario di Alberto Stasi non emerge alcun turbamento morale, ma una profonda anaffettività e l’assenza di rimorso.

All’indomani dell’omicidio, Alberto è stato capace di razionalizzare elaborando rapidamente delle giustificazioni al suo gesto. Chiara, secondo lui, ha meritato la morte per aver provato a minare alle fondamenta la sua autostrada verso l’escalation sociale. Chiara lo aveva infatti minacciato di rivelare squallidi segreti che, una volta conosciuti da chi non condivideva con lui le sue perversioni, rischiavano di cambiargli la vita. Il padre, lo avrebbe punito, gli avrebbe tagliato i viveri, gli avrebbe impedito di godere delle sue ossessioni, lo avrebbe considerato un pervertito, un depravato, un corrotto, uno tra i peggiori esseri di cui è composta la società e lo avrebbe obbligato anche a recarsi da uno psicologo, lui che non si sentiva affatto malato.

806 sono le pagine di intercettazioni ambientali e telefoniche che riguardano Alberto Stasi e dalle quali si evince come abbia seguito ossessivamente le indagini, abbia interrogato di continuo gli avvocati sulla propria posizione, sia stato ripetutamente sprezzante nei confronti di chi indagava, dell’avvocato di parte civile dei Poggi e dei loro consulenti e si sia completamente dimenticato di Chiara, come se la sua fidanzata, vittima di un brutale omicidio, non fosse mai esistita.

  • Alberto Stasi, consapevole di essere intercettato in quanto indagato, ha aperto molte delle sue conversazioni telefoniche prendendosi gioco degli inquirenti: “Buon giorno maresciallo, tutto bene?”, “Salutiamo i nostri tele ascoltatori”, “Cari amici vicini e lontani”, “Salutiamo il maresciallo”, altre volte ha parlato degli stessi in toni sdegnosi: “Lavorano un giorno alla settimana, è per questo che ci impiegano 60 giorni”.
  • Il 7 giugno 2008, ha chiamato l’amica Serena durante un concerto di Vasco Rossi, finito lo show, ha telefonato all’amico Marco Panzarasa: “… prima si sentiva tutto lo stadio che cantava… E allora ho pensato, e adesso come fa il vicebrigadiere a trascrivere la telefonata?… (ride), e Panzarasa: “Io al tuo posto parlerei in inglese vecchio”, Alberto: “Guarda che io e la Sere ci mandiamo gli sms in inglese quasi sempre (ride)… In tedesco no, è eccessivo… Mi sa che hanno dovuto nominare un perito!”.
  • Ancora, dopo gli insulti rivolti ad un magistrato sia a livello personale che professionale, così ha parlato dell’avvocato dei Poggi, Gianluigi Tizzoni e del consulente Marzio Capra: “Due esseri inqualificabili. Quel Capra poi… un rompiballe ed un presuntuoso. Crede di trovare quello che gli altri non sono capaci di trovare”.
  • Infine, uno Stasi sicuro di farla franca, ha affermato: “L’indagine a mio carico verrà archiviata, ne sono certo”.
  • Non ha mai citato la sua defunta fidanzata Chiara, non ha mai manifestato alcun dolore per la sua prematura scomparsa, né ha parlato delle possibili sofferenze patite dalla ragazza, non ha mai ricordato neanche un avvenimento relativo a lei o agli anni passati insieme, né si mai chiesto il perché di quell’omicidio, confermando ciò che ha fatto emergere l’analisi della telefonata in merito al rapporto tra lui e la fidanzata.

Maristella Gabetta, l’amica e vicina di casa di Chiara ha commentato così: “Alberto non ha speso mai una parola in ricordo di Chiara, tanto meno quando si diceva navigasse su siti pornografici. Chiara non c’era più, non poteva difendersi e lui cosa ha detto per proteggere almeno il ricordo di quella che era la sua fidanzata? Nulla, niente di niente. Non l’ha difesa quando avrebbe dovuto, questo mi ha fatto molto male”.

Dalle intercettazioni è emerso un accanimento di Stasi nei confronti delle cugine di Chiara, le sorelle Kappa. Egli sperava che le indagini si indirizzassero verso di loro, ma sia la zia che le cugine, a differenza sua, avevano alibi marmorei. Il 20 novembre 2007, parlando con Marco Panzarasa di un servizio fotografico in uscita su un settimanale, ha detto: “Ma che cazzo vuole la Stefania Cappa?! Quella lì deve soltanto stare attenta che gli vengano a sequestrare le macchine, le biciclette, le stampelle. Sarebbe anche ora! Altro che la fotografia… Non mi parlare di quelle lì ché mi viene la pelle d’oca solo a pensarci. Mentre ad altri…”. L’amico: “… si è visto che su di loro non hanno fatto praticamente un cazzo “.E Stasi: “Sì, vanno lì, perquisizione, tre scontrini!… E quella è una perquisizione? Mi hanno detto che hanno beccato una delle due con la madre a rubare al Famila. Vi rendete conto con chi avete a che fare?… sono degli angeli di Garlasco… Non ho parole…” (la storia del furto al centro commerciale Familia, riferita da Alberto all’amico, è una menzogna ). Il 30 aprile 2008, ha riferito alla madre dei capelli, ritrovati sulla scena del crimine: “[…] si! Cioè, quello con il bulbo era di Chiara!… E gli altri non si riesce a tirar fuori niente per il momento”. “Ho capito”, ha risposto Elisabetta Ligabò, e lui: “Vabbè, niente, peccato! Ah, però un capello sembra tinto!”. La madre: “[…] mm, speriamo! Lo controllano comunque?”. E lui: “Sì, sì e speriamo che sia di quella troia della Cappa! Speriamo che sia di quella troia della Cappa!”. La madre: “Eh, davvero! Va bene. OK”.

Pochi mesi dopo l’omicidio di Chiara, Alberto, dimentico del recente passato, si è mostrato a tutti come un uomo nuovo, capace di riaffacciarsi alla vita di relazione con l’altro sesso con l’entusiasmo di un ragazzino. Alberto ha flirtato contemporaneamente, attraverso sms, con due ragazze usando affettuosi nomignoli come: “Micino”, “Musino”, “Ciccina”, “Bel musino mio” e poi: “Gattino mio come stai senza di me?”, “Ciccina mia ci vediamo domani”.

Alberto Stasi, come hanno rivelato le intercettazioni, ha affidato il ricordo di Chiara all’oblio, come se la sua fidanzata non fosse mai esistita, come se non fosse mai stato commesso un omicidio. Egli ha cercato di allontanare il passato nel tentativo di tornare a vivere pienamente. Stasi ha guardato al futuro, le uscite con gli amici, la laurea, i nuovi flirts. Alberto ha desiderato da subito che si chiudesse quel fastidioso capitolo, ma i legittimi sospetti su di lui, l’arresto ed i processi lo hanno costretto ad affrontarlo. Stasi si è sempre mostrato insensibile nei confronti delle sofferenze patite da Chiara, indifferente al dolore della famiglia Poggi, a volte sprezzante, ma fondamentalmente egocentrato e disinteressato a conoscere la verità sull’omicidio, verità alla quale, se egli avesse amato Chiara ma, ancor di più, se non fosse stato lui ad ucciderla, e quindi ingiustamente indagato, avrebbe desiderato addivenire più di ogni altra cosa.

Alberto, nel tentativo di rimuovere lo spettro della povera Chiara, ha cercato di rimuovere un passato scomodo, un passato che si è trascinato però ineluttabilmente nel suo presente e con il quale ha finito per fare i conti.

I familiari innocenti di vittime di omicidi, al contrario di Stasi, tendono a non rassegnarsi alla morte violenta di un proprio caro finché non arrivano a conoscere la verità e ad avere giustizia.

Alberto Stasi, mosso dalla certezza di essere un abile manipolatore, in occasione della morte del proprio padre, avvenuta il giorno di Natale del 2013, a causa di una grave forma di leucemia, ha accusato gli inquirenti di aver provocato quella morte prematura. Egli ha tentato di usare la morte del padre per portare acqua al proprio mulino. Da un’intervista del febbraio 2014: “Io innocente, mio padre morto di dolore. Se n’è andato il giorno di Natale, ho passato la notte del 24 a guardare su uno schermo un numerino che segnava il suo battito cardiaco finché è arrivato a zero. Mio padre ha cominciato a morire il giorno in cui la Cassazione ha deciso di riaprire questo processo. Io sono convinto che la malattia che l’ha portato via in pochi giorni sia legata a tutta la sofferenza e lo stress che ha vissuto in questi anni. Ci sono molti studi scientifici che collegano le malattie a situazioni che una persona ritiene ingiuste e lui era devastato psicologicamente dalle accuse contro di me. Sono assolutamente certo che tutto questo lo abbia fatto ammalare nel fisico oltre che nello spirito”.

10– La laurea di Alberto

Il 27 marzo 2008, Alberto Stasi si è laureato in economia e legislazione per l’impresa all’Università Bocconi di Milano. Egli, nonostante fosse l’unico indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, ha dedicato la tesi alla sua deceduta fidanzata: “A Chiara, che qualcuno ha voluto togliermi troppo presto”. E’ interessante il fatto che Alberto abbia definito l’assassino di Chiara semplicemente “qualcuno” non “un assassino” “un omicida” “un essere disumano” o “un mostro”. La disposizione linguistica di  Stasi nei confronti dell’assassino di Chiara è neutrale, non riesce a disprezzarlo perché è di se stesso che sta parlando. Circa 20 giorni dopo la discussione di quella tesi, il 16 aprile 2008, dopo aver saputo del dissequestro della villetta dei Poggi, al telefono con l’amico Panzarasa, Alberto ha commentato così: “Ma da quando gli ridanno la casa? E dissequestrano la casa senza dircelo?”.  Questo suo disprezzo nei confronti della famiglia della vittima ci permette di attribuire il giusto disvalore alla dedica sulla tesi.

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ursula franco 1 L’OMICIDIO DI CHIARA POGGI IN 10 PUNTIMedico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari

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