LA “PICCOLA BASILICATA” E LA GLOBALIZZAZIONE
Lettere lucane
Ho letto l’analisi sull’economia lucana realizzata dalla Banca d’Italia. Ovviamente i dati sono tutti negativi – dai livelli produttivi all’occupazione, dal sistema creditizio ai consumi –, e questi dati s’intrecciano con quelli altrettanto preoccupanti dell’Istat sulla denatalità e sul saldo demografico negativo. Leggendo il rapporto della Banca d’Italia si capisce una cosa, e cioè che i quattro principali settori produttivi della Basilicata (oli&gas, automotive, agroalimentare e turismo) sono profondamente influenzati dalle dinamiche globali (se il turismo è cresciuto nel 2019 lo si deve principalmente al turismo internazionale). Insomma, il Pil della Basilicata cresce quanto più i quattro principali comparti produttivi registrano cicli produttivi favorevoli sul mercato mondiale.
E questo vale per le automobili, per le grandi esportazioni agricole e agroalimentari e per il petrolio. Ora però che il mondo intero è in recessione, la Basilicata ne risente, perché anche la “piccola Basilicata” sta nel mondo – e devo dire che ci sta con un export per niente trascurabile. Purtroppo l’ideologia economica dominante in Basilicata è quella della decrescita e dello statalismo. Ma quando si va ad analizzare concretamente chi in Basilicata crea ricchezza e occupazione ci si rende conto che sono aziende, società e comparti produttivi di grandi dimensioni e in grado di stare sul mercato globale. La fotografia della Banca d’Italia testimonia che la Basilicata non è un’isola autarchica e bucolica, ma una terra dove la parte forte del sistema produttivo e occupazionale è direttamente connessa con i meccanismi dell’economia internazionale. Quindi, a meno che non si voglia una regione piena di pensionati e di giovani che emigrano, bisogna fare di tutto perché l’economia lucana continui a stare più ancora e meglio di prima nei processi globali.
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