L’UNICO LUCANO MORTO NELLA STRAGE DI BOLOGNA
Lettere lucane
Sto seguendo per Rai Teche un documentario sulla strage di Bologna del 2 agosto del 1980, della quale quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario. Ieri sera mi è venuta una curiosità. Mi sono chiesto se tra gli 85 morti ci fosse anche qualche lucano o lucana. Ho fatto una ricerca e ho scoperto che tra i morti c’era un trentunenne baragianese di nome Pio Carmine Remollino. La sua storia mi ha molto colpito, perché il padre apprese la notizia della sua morte solo due giorni dopo, leggendo il giornale, e perché i suoi familiari non lo sentivano da pasqua, e dunque da molti mesi.
La vita di Carmine è abbastanza enigmatica. Era un ragazzo chiuso, parlava poco. Faceva lavori saltuari in Emilia-Romagna – dal muratore al cameriere – e non aveva un buon rapporto con il paese di origine. Non sappiamo nemmeno cosa ci facesse quel giorno alla stazione, se fosse in viaggio per cercare un nuovo lavoro oppure se fosse in procinto di tornare a Baragiano per la festa del paese. Di lui è rimasto poco: la carta d’identità, gli indumenti che indossava e un libretto bancario nel quale erano depositate poche migliaia di lire. L’aspetto che più mi colpisce della storia di Carmine è questa sua solitudine, questa sua difficoltà a trovare un posto di lavoro stabile e un luogo dove mettere radici. Era molto inquieto, da ciò che capisco, e si portava addosso un grande dolore.
Di storie così ne ho conosciute tante – storie di persone che sono andate via per rabbia, a denti stretti, senza voltarsi. Che darei per ascoltarlo, per capire il suo dolore, per sapere cosa lo avesse ferito così in profondità. Sogno a occhi aperti di essere lì pochi minuti prima dell’esplosione e di allontanarlo dalla Storia che sta per disintegrare la sua piccola grande storia di uomo introverso. Invece non posso far altro che ripetere il suo nome, come una preghiera: Pio Carmine Remollino.
diconsoli@lecronache.info