SOLITUDINE E MORTE DI UN INGEGNERE DI POTENZA
Lettere lucane
“Bisogna essere molto forti / per amare la solitudine; bisogna avere / buone gambe / e una resistenza fuori dal comune”. Sono versi di Pier Paolo Pasolini che ci dicono che per amare la solitudine, per non farsene annientare, bisogna essere molto forti. Ma la solitudine – chi non l’ha conosciuta? – può far male come un crepacuore. D’estate, poi, la solitudine morde ancora di più. Vedi gli altri che vanno in vacanza, guardi le coppie che postano foto sui social, osservi i giovani che camminano per strada spensierati mentre tu, chiuso in casa, stai sul divano davanti al televisore acceso, e nessuno ti cerca.
Ti senti inutile, ecco – ti senti finito. Perché scrivo tutto questo? Perché mi hanno raccontato la storia di Nicola Gravina di Potenza, un uomo di 54 anni morto qualche giorno fa in solitudine, e ritrovato senza vita a casa sua dopo 5 giorni. Io non lo conoscevo questo ingegnere, ma una persona – di cui non farò il nome – mi ha scritto una lettera raccontandomi la sua solitudine, il suo disperato bisogno di affetto e di compagnia – tutti lo evitavano, non avevano tempo per ascoltarlo, per dargli una carezza.
Chi mi ha scritto la lettera mi ha detto che quando gli si chiedeva “come stai?” lui rispondeva sempre “meglio, ora che ti vedo”. La lettera si conclude così: “Con lui siamo stati tutti delle merde”. Pure io ho vissuto tante volte la solitudine, quella orrenda sensazione di essere invisibile, sbagliato, immeritevole di amore. E so anche che quando la vera solitudine ti afferra non basta una parola di circostanza o una visita per tirarti su, perché è uno sconforto profondo che annichilisce l’anima proprio come una malattia. Non scriverò mai un rigo per accusare il mondo di non essere migliore. Posso solo umilmente dire che l’infelicità di Nicola Gravina mi appartiene umanamente, e che so che ci si può arrivare con più facilità di quanto si pensi.
diconsoli@lecronache.info