LE IMMAGINETTE SACRE DI MIA MADRE IN MEZZO AI LIBRI
Lettere lucane
Quando facevo l’università, di solito mio padre mi accompagnava a Campotenese verso le sei di sera. Da lì, poi, un pullman, dopo quasi un’ora e mezza, arrivava alla stazione di Sapri, dove io attendevo fino a mezzanotte un treno notturno che da Palermo arrivava a Torino, e che era sempre stracolmo. Arrivavo stremato a Roma Tiburtina verso le quattro del mattino, e ricordo l’immensa fatica – spesso mi facevo l’intero viaggio in corridoio – di attendere un autobus notturno che mi portasse a casa, a Portamaggiore. Durante queste notti aprivo il borsone per prendere i panini che mia madre mi aveva preparato avvolgendoli nella carta stagnola. Li mangiavo avidamente, perché erano l’ultimo sapore buono prima di essere sopraffatto dall’odore di ruggine e di nafta della città. Spesso mi capitava che prendendo dal borsone qualche libro da leggere io trovassi immaginette sacre che mia madre infilava tra le pagine affinché mi proteggessero nell’avventura della vita. Mia madre non è mai stata apprensiva, e non mi ha mai manifestato preoccupazioni per la vita disordinata e tumultuosa che conducevo, ma quelle immaginette esprimevano timori che a parole non sapeva esprimere. Solo una volta ebbe il coraggio di confessarmi che aveva sognato il mio assassinio – e nei suoi occhi, quel giorno, lessi come un’esortazione: l’esortazione alla prudenza. In quegli anni leggevo sempre Pasolini, e mia madre aveva saputo che questo Pasolini era stato ucciso. Più volte mi disse che avrei fatto la sua stessa fine, ma evidentemente non aveva capito che a differenza sua io stavo imparando a costeggiare le suburre senza finirci dentro. Oggi mia madre non me le mette più, le immaginette sacre nei libri. Solo, ogni tanto, mi dice di pregare i santi, “perché i santi esistono”. Ma sento che sa che pur pieno di paure e sbandamenti ho imparato a difendermi la vita, e i figli, e il pane quotidiano.
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