A MONTONE LO “YUNG INVESTIGATOR AWARD”
A Cronache il Cardiologo lucano si racconta: «Tenacia e sacrificio nel lavoro e nella vita privata»
36 anni, classe 1983, a Rocco Antonio Montone originario di Bella è stato assegnato il Premio “Young Investigator Award” della Società europea di Cardiologia. Montone è difatti cardiologo della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, laureato e specializzato all’Università Cattolica, Campus di Roma. La ricerca premiata, dal titolo “Macrophage infiltrates in coronary plaque erosion portend a worse cardiovascular outcome in patients with acute coronary syndrome”, è stata svolta in collaborazione tra Policlinico Universitario Gemelli IRCCS e il Queen Elizabeth Hospital di Birmingham (UK). Montone, vanta un curriculum che merita un capitolo a parte e all’indomani del Premio gli abbiamo rivolto qualche domanda per conoscerlo più da vicino, tra lavoro e vita privata.
Quando arriva il desiderio di studiare Medicina? «Fin da piccolo ero appassionato di medicina e di scienze in generale. Quando è arrivato il momento dell’università, Medicina rappresentava la scelta ideale sia per le mie inclinazioni sia per la possibilità di dare un senso etico alla mia scelta: era per me infatti importante poter essere un professionista al servizio degli altri, in grado di poter in qualche modo aiutare il prossimo».
Un premio che arriva a lei ed al suo team; com’è stata la collaborazione? «Il nostro team di ricerca è ai vertici della cardiologia mondiale da diversi anni. Io mi inserisco nel solco di questa eccellente tradizione di ricerca in cardiologia iniziata dal professor Attilio Maseri e poi portata avanti dal Professor Filippo Crea. La mia ricerca si concentra sullo studio dei meccanismi che portano all’infarto, causato dall’occlusione improvvisa di una coronaria. I meccanismi che portano a questa occlusione possono essere molteplici e sono diversi da paziente a paziente. La nostra ricerca ha l’obiettivo di caratterizzare al meglio i diversi meccanismi che agiscono in ogni paziente, in modo da adottare una terapia specifica sia durante il decorso ospedaliero che al follow-up. Questo nuovo approccio è detto medicina di precisione o medicina personalizzata. Abbiamo raggiunto questo risultato utilizzando una speciale tecnica per visualizzare dall’interno le coronarie. Si tratta dell’OCT, nata per studiare le minuscole arterie della retina dell’occhio e che noi cardiologi adesso utilizziamo per studiare le coronarie dall’interno. È una sorta di microscopio che ci permette di vedere ad un livello di dettaglio impensabile fino a qualche anno fa ciò che avviene all’interno delle coronarie colpite da infarto. La collaborazione con il Queen Elizabeth Hospital di Birmingham ci ha permesso di ampliare la casistica dei pazienti coinvolti nello studio. Il mio lavoro ha avuto un’ottima accoglienza al congresso. È stato subito selezionato per la finale dello Young investigator award, e tra i 4 finalisti è stato selezionato come lo studio migliore. Anche a livello di diffusione sui social-media lo studio ha avuto una notevole risonanza».
Pensa già ad un prossimo traguardo? «Sì e sono le prossime idee di ricerca da sviluppare e portare avanti con l’obiettivo di fornire ai nostri pazienti terapie sempre migliori e personalizzate. I traguardi personali sono importanti, ma secondari»
Ha sottolineato in un commento l’importanza de «il senso dell’impegno e del sacrificio». Quanto ce n’è in questo Premio? «Tanto impegno e tanto sacrificio. A Bella tutti mi conoscono e sanno bene come sia partito praticamente “da zero”. Dall’ingresso a Medicina (molto difficile e competitivo), passando per la specializzazione, il dottorato, la fellowship all’estero, i processi di selezione sono numerosi e sempre più ardui. È servita tanta motivazione per riuscire a superarli. Non sono mancate nel mio percorso delle battute di arresto. Ma le dirò che a distanza di tempo quelle “sconfitte” sono state fondamentali per compiere il percorso che alla fine sto portando avanti. Da queste battute di arresto ho imparato molto di più che dai traguardi ottenuti. E poi devo ricordare il sacrificio di chi mi sta vicino. Pensi che ho trascorso un anno a Cambridge per formarmi come cardiologo interventista. Sono partito a soli due mesi dal matrimonio con mia moglie Silvia, anche lei cardiologa. Le avevo promesso però che ogni week end sarei tornato a casa. E per un anno ho fatto Roma-Cambridge ogni fine settimana. Per cui l’impegno e il sacrificio. Per costruire un percorso professionale, ma il tutto inserito in una vita che sia armonica, che comprenda gli affetti, una moglie e dei figli. L’impegno e il sacrificio servono per costruire tutto questo».
Ha studiato al Liceo di Muro Lucano, come ricorda quegli anni, di solito fondamentali nello sviluppo delle proprie inclinazioni? «Ho dei bei ricordi del Liceo scientifico di Muro Lucano. Avevo alcuni ottimi docenti. Sono stati anni intensi, in cui ho potuto coltivare molte amicizie. Fu lì che emerse la mia inclinazione per le discipline scientifiche, soprattutto per la matematica e la fisica. Ma la medicina aveva quel fascino in più, mi sembrava la disciplina più nobile per eccellenza».
Il suo rapporto con Bella, paese d’origine? «Mi sento profondamente un lucano e sono orgoglioso della mia terra. Così come sono orgoglioso quando vedo un conterraneo emergere per le sue capacità, siano esse imprenditoriali, scientifiche, etc. A Bella ho la mia famiglia, tanti amici e tante persone care a cui sono legato. Torno un paio di volte all’anno per qualche giorno di vacanza e far conoscere ai miei figli la mia terra, i miei posti, i valori con cui sono cresciuto. Un ringraziamento speciale va alla mia famiglia, a mio padre e a mia madre, per avermi educato all’importanza del lavoro, della dedizione, della semplicità e dell’umiltà. Un bagaglio di valori che mi porto dietro e che mi ha permesso di raggiungere i miei obiettivi».
Cosa consiglia o direbbe ai giovani lucani che oggi, in questo delicato periodo storico, si affacciano a scelte importanti per il loro futuro? «Si parla molto dei giovani lucani che lasciano la propria terra. Diciamo che la scelta di seguire Medicina mi ha obbligato ad uscire dalla mia terra. Tuttavia credo che sia positivo andar via, confrontarsi con realtà diverse, arricchendosi. Consiglio ad ogni giovane lucano di allargare i propri orizzonti facendo esperienze in Italia o all’estero. Il problema non sta nel fatto che un lucano vada via, sta invece nell’esistenza delle condizioni per poter ritornare, riportandovi il frutto dell’esperienza fatta fuori. Altrimenti se il flusso è solo in uscita è normale che si generi inevitabilmente solo impoverimento. Pertanto ai giovani lucani consiglio di seguire le proprie aspirazioni, con coraggio».