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SANTA, PRIMA VITTIMA ITALIANA DI STALKING

Parte da Muro Lucano, paese del padre, il diario di Santa, già dichiarata “Serva di Dio”


Potrebbe essere una storia di oggi, quella che la cronaca purtroppo riporta quasi quotidianamente. Una storia che comincia dalla fine, il 16 marzo 1991, quando la vita della prima vittima di stalking riconosciuta in Italia, s’interrompe, a soli 23 anni. Voleva diventare una suora missionaria. Invece è stata uccisa, martirizzata con 13 coltellate. Nomen omen, dicevano i Latini: nel nome il suo destino, Santa Scorese.

Santa, il nome ereditato dalla nonna, è vissuta tra Bari e Palo del Colle, ma suo padre è originario di Muro Lucano. E proprio il padre, poliziotto, ha assistito alla scena dell’assassinio di sua figlia, sotto casa, affacciandosi per assicurarsi che stesse rientrando.

A ricordare Santa a Muro Lucano con la sorella maggiore Rosa Maria Scorese, insieme alla famiglia, Don Domenico Pitta, parroco di Muro Lucano con cui si è parlato di santità e perdono, per la parte istituzionale la vicesindaco Rosalba Zaccardo che si è soffermata sul ruolo cruciale della scuola nella sensibilizzazione al tema, e la socia Unitre Vituccia Caputi, che conosceva bene la famiglia di Santa, coordinati da Chiara Ponte, Storica.

Nel corso della serata un apice di emozione è stato toccato durante l’interpretazione teatrale “Santa delle perseguitate”, un assolo drammatico dell’attore e regista pugliese Alfredo Traversa. Nei panni del papà rivive quanto accaduto attraverso le pagine del diario, iniziato a scrivere da Santa proprio in vacanza a Muro Lucano. Era il 1999. «Essere a Muro, interpretando Piero Scorese, mi emoziona molto -ha raccontato- ma per me è ormai una missione portare alla gente la storia di Santa e della sua famiglia».

L’evento ha avuto luogo grazie all’Unitre di Muro Lucano che nel suo ultimo appuntamento estivo, prima dell’inizio del nuovo Anno Accademico, ha voluto ricordare Santa e riflettere sulla sua tragica vicenda.

Figlia di un poliziotto, Piero e di una casalinga Angela. Una vita tranquilla sconvolta da Giuseppe, un giovane allontanato dal seminario e ossessionato dalla religione e da Santa. Un incontro casuale che però diventa persecutorio.

Nonostante le numerose denunce presentate e gli amici che la contornavano per non lasciarla sola, l’assassino ha trovato il momento propizio per privarla della vita. Inutili le tante denunce presentate in questura. L’assassinio di Santa è quindi una morte prevista oltre che un martirio, perché l’omicidio è stato commesso in odio della fede.

Nel corso del processo, Giuseppe fu dichiarato incapace di intendere e di volere e adesso è un uomo libero. Ha dovuto soltanto scontare 10 anni in una comunità adatta ai suoi problemi psichici. Non solo, nel tempo ha continuato a vaneggiare, esaltandosi di aver creato una martire. Continuando anche a scrivere lettere, in cui mescola parole di fede e oscenità, e riuscendo a farne pubblicare alcune su testate nazionali, firmandosi addirittura col nome di Santa.  E poi farneticava su strane teorie genetiche.

Oggi il simbolo della violenza sulle donne è il colore rosso, anche in questo Santa fu all’avanguardia nei tempi: aveva infatti un vestito rosso, e la sorella volle che lo indossasse per i funerali, era un simbolo di amore e passione per l’aiuto offerto a tante persone e famiglie. Soltanto in seguito il rosso è diventato colore simbolo della violenza di genere.

Ecco allora che la storia di Santa inizia due volte, alla nascita con la vita terrena spesa nell’aiuto al prossimo, ed alla sua morte: è già stata dichiarata Serva di Dio e presto potrebbe diventare Venerabile e Beata.

 

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