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UNA SOCIETÀ CHE PARLA SOLO DI SALUTE E SANITÀ

Lettere lucane

La politica regionale – non solo in Basilicata – sta diventando tout-court politica sanitaria. È come se ai cittadini interessasse solo questo: avere un sistema sanitario sempre più efficiente. Il resto interessa sempre meno. Se si ascoltano attentamente le persone ci si accorge che uno dei principali argomenti di conversazione è la salute. Qual è però il limite di una società sempre più ossessionata dalla “manutenzione” del corpo? È che a furia di temere la malattia e la morte si rischia di non vivere più, di non rischiare più, di non darsi più, di ripiegarsi in un’autistica auscultazione di sé. Sostengo da molti anni che l’Italia ha rimosso malamente un lutto: il lutto per la morte di Dio e del religioso. Questo ha reso le persone vulnerabili, convinte che una sola cosa sia certa: la presenza fisica, e dunque la salute, presupposto della stessa esistenza. Si tratta di una importante mutazione antropologica, e la prova l’abbiamo avuta con la pandemia, che ha reso egemonica una già diffusa ideologia clinico-sanitaria. Un tempo la vita era assorbita dal lavoro, dalla famiglia, dalla rassicurazione religiosa. Oggi le cose sono cambiate. Si sanno molte cose sul funzionamento del corpo e si è consapevoli che la morte sia la fine di tutto. E questo ha reso fragile e ipocondriaca la società, che ormai è dominata dalla paura di ammalarsi, dal bisogno spasmodico di diagnosi e dalla cura del corpo mediante le diete, l’attività fisica e l’uso delle medicine. Insomma, la nostra è ormai una società medicalizzata. Ecco perché il discorso politico è principalmente discorso sanitario. L’obiettivo – mi pare di capire – è quello di strappare anche un solo giorno alla morte, e di rendere meno dolorosa la “condanna” di essere corpo. Ma se la principale preoccupazione di una società diventa il pensiero della malattia e la cura ossessiva del corpo, a cosa si riduce la vita?
diconsoli@lecronache.info

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