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LA VITA LUCANA DEL GRANCHIO DI FIUME

Il documentarista Lisandro ci presenta il crostaceo dei corsi d’acqua indicatore di biodiversità


Tra le montagne e le colline lucane, parlare di granchi richiama alla mente animali marini. Ma anche qui è possibile avvistare il “Granchio di fiume” (Potamon fluviatile), un crostaceo decapode (dieci zampe) di acqua dolce, appartenente alla famiglia dei Potamidi.

«È un animale ormai diventato raro e molto localizzato» – ci spiega Carmine Lisandro, documentarista di Bella autore di queste immagini. «Questa specie animale è un indicatore di biodiversità, ha infatti bisogno di un ambiente non alterato in cui vi sono corsi d’acqua a scorrimento lento, stagni o comunque ambienti lacustri poco profondi e con sufficiente vegetazione, ad un’altitudine compresa tra i 300 e gli 800 metri».  

«Ha un corpo diviso in tre parti -spiega Lisandro– capo, torace e addome. Il capo e il torace formano il cefalotorace che può essere lungo, nell’adulto, circa 40/50 mm., ha un carapace (scudo) di forma quadrangolare, dal colore marrone-grigio, con venature giallo-arancio. Il capo ha un apparato boccale masticatore, gli occhi, retti da un peduncolo, possono essere riposti all’indietro nelle cavità orbitali. Il primo paio di arti è munito di robuste chele (pinze) di color violaceo, utili per la difesa e la predazione, mentre gli altri quattro paia di arti (zampe) hanno funzione di spostamento. Nelle femmine l’addome ha una tasca idonea all’incubazione delle uova e al trasporto dei piccoli, mentre nei maschi l’addome, molto stretto, ha una forma triangolare e la chela di destra ha dimensioni superiori a quella di sinistra».

«Come gli anfibi il Granchio di fiume può vivere sia in acqua che sulla terraferma, durante il giorno è raro vederlo in quanto preferisce restare rintanato in rifugi scavati sotto pietre o radici vicino alle sponde, che sono profondi fino a 60/70 cm. Tane che un occhio attento riesce a localizzare dato che all’ingresso si trovano piccoli cumuli di fango o sabbia, estratti sotto massi o tronchi, per fare la tana. È’ al tramonto che il Granchio di fiume diventa più attivo ed inizia ad andare alla ricerca di prede, sia in acqua che nelle immediate vicinanze: è un animale onnivoro la cui dieta  è a base di molluschi acquatici, anellidi, stadi larvali e adulti di insetti, girini, piccoli pesci e in caso di necessità non disdegna animali morti e, all’occorrenza, materiale vegetale come le alghe».

«Da maggio a fine settembre le femmine, nonostante le lotte tra maschi per stabilire il diritto ad accoppiarsi, non disdegnano di avere, esclusivamente in acqua, rapporti con più partner. Il maschio rilascia alla femmina del liquido seminale, che immagazzina in una apposita sacca, per un periodo che va da qualche settimana fino ad un anno. Per poi fecondare, all’incirca 200 uova, prodotte dalla femmina all’interno di una tasca dell’addome. Dopo un’incubazione di circa 40 giorni si schiudono dando alla luce dei piccoli, simili agli adulti che, restano con la madre per una quindicina di giorni, per poi affidarsi alla corrente e nascondersi sotto sassi o tra la vegetazione, l’importante è che l’acqua contenga sufficiente ossigeno perché i piccoli ne hanno particolarmente bisogno. Dopo due o tre anni raggiungeranno la maturità sessuale. Durante la crescita ed anche da adulti, i granchi compiono più volte la muta che consiste nel rinnovare periodicamente la corazza».

«Il Granchio di fiume è senza dubbio una specie vulnerabile, purtroppo in calo demografico, fin dal Medioevo l’uomo era solito cibarsi di questo crostaceo, molto sensibile agli inquinamenti dei corsi d’acqua e ai tagli indiscriminati della vegetazione delle sponde. La presenza del Granchio di fiume rende quindi l’ambiente davvero ricco e testimonia la presenza di una buona catena alimentare, essendo egli un vorace predatore, ma è anche predato da animali come ratti, volpi, donnole, aironi, cinghiali, cornacchie e lontre dove, a volte, pur riuscendo a fuggire non è raro che il Granchio possa perdere qualche arto. Per evitare che questo bellissimo animale scompaia dal inostro territorio occorrerebbe: gestire con più oculatezza gli ecosistemi acquatici in cui vive; controllare i prelievi indiscriminati dai piccoli corsi d’acqua, autorizzati o abusivi, per evitare il disseccamento degli stessi durante l’estate; verificare se lungo i corsi d’acqua c’è presenza di scarichi dei reflui non autorizzati. Con un habitat adatto, il Granchio di fiume, in natura, potrebbe sopravvivere per circa dieci anni e, non è poco» conclude Lisandro.

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