LE MIE FINTE NIKE E LE PECORE DEL PADRE DI ARISA
Lettere lucane
Qualche giorno fa Arisa ha rilasciato un’intervista molto intima a Chiara Maffioletti del “Corriere della sera”; un’intervista nella quale la cantante lucana ha confidato alcuni aspetti problematici della sua giovinezza a Pignola. Un passaggio in particolare mi ha molto colpito: “Abitavo in campagna, mio padre ha avuto sempre gli animali e che capitava che portasse a pascolare le pecore vicino alla strada dove passava l’autobus con i miei ‘amici’. Che hanno iniziato a chiamarmi pecora, a dirmi che puzzavo”. Arisa ha sei anni meno di me – è del 1982 – e dunque questo tipo di umiliazioni le ha subite nella metà degli anni ’90, quando era già iniziata una sorta di rivalutazione del mondo contadino. Tuttavia capisco cosa provasse, perché anche io ci sono passato. Da questa distanza certi sfottò mi fanno sorridere – erano anni in cui in paese essere figli di impiegati, e dunque novelli piccolo-borghesi, dava un senso di onnipotenza –, ma a quell’età certe frasi umiliavano molto. Ricordo ancora un episodio che un po’ mi vergogno a raccontare. Quando facevo la seconda media andavano di moda le Nike. Io ovviamente non potevo permettermele, e questa cosa mi faceva sentire diverso. Ero talmente dispiaciuto che un giorno decisi di disegnare con un pennarello il logo della Nike sulle scarpe da ginnastica che mia madre mi aveva comprato per poche migliaia di lire al mercato. Sono cose ridicole, lo so: ma a quell’età essere come gli altri è molto importante. Ovviamente qualcuno potrebbe dire che ci sono ragazzi nel mondo che vivono sotto le bombe o nella fame più nera, e che dunque questi “traumi” sono cose da niente. È vero. Ma ogni generazione, a seconda dei posti dove cresce, ha i suoi traumi e i suoi conformismi, perché gli adolescenti – giustamente – conoscono poco il mondo e la storia, e il loro unico e commovente obiettivo è essere accettati dai propri coetanei.
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