RIUNIONI GIOVANILI CON I COMUNISTI ROTONDESI
Lettere lucane
Specialmente al quarto e al quinto superiore io ero uno di quelli che facevano continuamente “filone”. Mi vergogno a dirlo, ma la verità è che erano più i giorni che trascorrevo in giro che non a scuola. Una volta, senza compagni con cui marinare la scuola, dissi al segretario del Pds di Rotonda, Raffaele Fittipaldi, che non sapevo dove andare, e lui, con un cipiglio diffidente, mi diede le chiavi della sezione, ma a una condizione: che avrei letto la “Storia del partito comunista” di Paolo Striano. Accettai. Erano anni come il 1993 o il 1994, e all’epoca mi definivo comunista, perché non avevo ancora messo a fuoco la mia indole anarchica e libertaria, totalmente inadatta alla vita di partito. Raffaele è stato il mio maestro, ma spesso l’ho odiato come si odia un padre, perché mi faceva capire che ero troppo incostante e individualista. Mi voleva molto bene – ancora oggi me ne vuole, e io ne voglio a lui – ma con me era severissimo, forse perché vedeva un potenziale che non riusciva a piegare alle logiche del partito. Frequentavo assiduamente la sezione, e all’epoca il grande dilemma era se allearsi oppure no con i parenti-coltelli socialisti, da sempre maggioritari in paese. Durante una riunione decisi di prendere la parola – erano anni in cui non si apriva bocca a cuor leggero in una sezione di partito – e dissi, con un’argomentazione serrata e stremante, che i socialisti erano i nostri veri avversarsi, ma che non avevamo altra scelta se non allearci con loro. Nella sezione calò il silenzio. L’aria era fumosa – tutti fumavano nervosamente una sigaretta dopo l’altra. Raffaele mi guardò con disprezzo, e si grattava la barba. E, dopo un tempo interminabile, a malincuore, come gli avessero strappato un dente dalla bocca, disse: “Purtroppo ha ragione questo qui”. E “questo qui”, ovviamente, ero io.