“FRATELLI TUTTI, L’ALFABETO DELLA CURA E DEL CAMBIAMENTO”
Annalisa Percoco, Centro Studi Sociali e del Lavoro
Nell’Enciclica firmata da Francesco lo scorso 3 ottobre ad Assisi c’è un progetto di società e un invito alla cura e alla difesa della qualità della vita attraverso scelte, non solo sul piano ecologico, ma anche su quello sociale ed economico che sappiano realizzare la giustizia nella nostra comunità.
E’ un documento importante, da studiare più che da leggere, che offre uno sguardo lungo e ampio sulla necessità di tornare a porre al centro il concetto di cittadinanza, basato sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti possono godere della giustizia.
Tre i pilastri fondanti l’architettura del Pontificato di Francesco: pace, cura del creato, fratellanza che diventa solidarietà per gli ultimi, perché nessuno rimanga indietro e da solo.
Assumere questi valori quali princìpi ispiratori del proprio mandato sposta di fatto il centro: da una civiltà tecno-industrialista e individualista a una civiltà solidale, della preservazione e cura di ogni vita.
Questo passaggio diventa una necessità impellente per uscire dall’impasse delle attuali “ombre dense”.
La modernità ha permesso a tutti noi di crescere molto e in molti aspetti, ma ci ha lasciati “analfabeti” nel curare e prenderci in carico i più fragili e vulnerabili delle nostre comunità.
La crisi pandemica si impone come il tempo del cambiamento e della svolta. La fraternità e l’amicizia sociale come attitudine sociale.
La risposta alla pandemia proposta dall’Europa è chiara: un’economia “gentile” perché nessuno si salva da solo. La crisi va affrontata insieme e si può affrontare solo se si cambia e si indica una nuova direzione per la ripresa e il futuro. Dal Recovery Fund arriva una forte spinta per la transizione ecologica, digitale e l’economia circolare. Per costruire un futuro e una società migliori bisogna pensare a un’economia più a misura d’uomo e più sostenibile, come proposto già nel Manifesto di Assisi, che sia più in grado di affrontare la crisi climatica e le sfide che abbiamo davanti senza lasciare indietro nessuno e contro la cultura dello scarto.
L’Enciclica sembra indicare una via per la ripresa, accende una speranza. Il “disimpegno morale” e l’indifferenza, mali del nostro tempo, sono complici delle diseguaglianze e ingiustizie, il passare oltre ha implicazioni sociali ed economiche molto rilevanti.
Cosa può fare ognuno di noi? Come il samaritano, la cui parabola è posta a fondamento della fraternità promossa dal Pontefice, siamo chiamati a metterci all’opera attivando un processo, ma non da soli. Il messaggio dell’Enciclica è ispirare e attivare un nuovo progetto di fraternità e di amicizia sociale, che coinvolga singoli, gruppi, istituzioni, popoli interi.
Un patto sociale, dunque, che si fonda sulla “buona battaglia dell’incontro”, sul dialogo e sul “gusto di riconoscere l’altro”: occorre, cioè, esercitarsi, in ogni contesto e ciascuno nel proprio ruolo, all’incontro come cultura, nel rispetto delle diversità di posizioni, di idee, di culture.
Dunque, Francesco ci indica il “metodo di lavoro”: dialogo, rispetto delle diversità e gentilezza, che non è affatto un particolare secondario né un atteggiamento superficiale. Presupponendo stima e rispetto, “quando si fa cultura in una società, la gentilezza trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti”.
Esasperazione che oggi più che mai si intreccia con i temi del lavoro e dello sviluppo, e qui da noi in Basilicata in maniera ancor più dirompente.
Uno dei passaggi più interessanti sul tema dei conflitti, sociali prima ancora che bellici, è quello che li lega allo sviluppo: al centro delle attuali tensioni ci sono disuguaglianze di opportunità, di accesso al cibo, di diritti, in altre parole la mancanza di uno sviluppo umano integrale. E la pandemia non ha fatto altro che accelerare e acuire queste questioni, in modo particolare nei territori più periferici, quali il nostro.
Il Papa ammonisce: sul piano del benessere il tema cruciale è il lavoro! Lavoro che, in una prospettiva più ampia, diventa forma di emancipazione dalla solitudine sociale, dall’emarginazione, strumento capace di restituire un’identità individuale e collettiva. “In una società realmente progredita il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale”, si legge nell’Enciclica.
E, infine, un’ultima attenzione Francesco la dedica a chi è impegnato nel servizio al bene comune. Alla politica si richiede visione, capacità di fecondità più che risultati immediati, e ai politici si chiede di essere espressione e voce del popolo e non dei populismi.
Proprio l’esperienza del Covid-19 ci sta richiamando a un’urgente esigenza di ripensare il rapporto tra mercato (economia), comunità, beni comuni e beni pubblici, a partire dalle drammatiche esperienze delle strutture sanitarie messe sotto stress dal virus.
Stiamo sperimentando, infatti, con costi molto elevati, che ogni essere umano è un bene comune, e la sua salute e la sua malattia hanno effetti su tutti gli altri; viceversa, un fragile che si ammala e viene curato male, diventa un male comune.
In sintesi, accogliamo questo tempo come il tempo di un autentico dialogo sociale, che presuppone certo “la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi”.
Cultura dell’incontro e del dialogo, che non è un bene in sé, ma un modo per fare il bene comune.
Un testo potente, che suona come un messaggio di speranza e di invito all’impegno. Un invito a tornare a vivere l’agire politico come servizio e testimonianza di carità, che si alimenta di grandi ideali e progetta il domani pensando non al piccolo tornaconto elettorale ma al bene comune e specialmente al futuro delle nuove generazioni.
L’orizzonte della fraternità apre il cammino della ripresa.