LA LIBERTÀ DI STRACCIARE IL TRICOLORE
Lettere lucane
Il 4 novembre si è celebrata in quasi tutti i comuni italiani la fine vittoriosa della Grande Guerra. Anche in Basilicata i sindaci hanno onorato i caduti al fronte, sottolineando l’importanza dell’unità nazionale, soprattutto in un momento delicato come questo. Io non so se gli italiani saranno mai uniti, perché noi siamo un popolo anarchico, litigioso, individualista, e difficilmente facciamo valere la logica dell’interesse superiore della Patria. Nel secondo dopoguerra la parola Patria era caduta in disuso, perché Patria significava fascismo, e tutto il ciarpame ideologico che aveva condotto l’Italia a una guerra disastrosa. Solo con la presidenza di Ciampi tornò in auge un certo amor di Patria e, con esso, la centralità del tricolore. Durante la Grande Guerra i nostri giovani soldati lucani nemmeno riuscivano a capire ciò che dicevano i soldati delle altre regioni, perché l’italiano lo conoscevano in pochi, e le lingue dominanti erano i dialetti. Eppure morirono per la Patria, anche se di questa Patria ignoravano tutto, finanche le parole. Morirono come mosche sognando stremati, nella melma delle trincee, le campagne e i genitori che erano stati costretti a lasciare per portare a compimento l’unità d’Italia. Anche oggi sentiamo dire che dobbiamo essere uniti, e in fondo lo siamo, anche se siamo municipalisti, provinciali, regionalisti e, in ultima istanza, individualisti, e lo Stato è sempre un’entità un po’ distante e ostile. Questo ci indebolisce, ovviamente, ma ci rende anche fedeli a noi stessi, perché noi non saremo mai come la Cina, non saremo mai semplici pedine dello Stato, non saremo mai automi ubbidienti come i cinesi, che sono costretti a calpestare se stessi a seconda dei voleri dei mandarini che li comandano. Noi il tricolore lo sappiamo onorare quando serve. Ma sappiamo anche stracciarlo quando ci umilia.