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TERREMOTO ’80, MIO PADRE ATTACCATTO AL TELEFONO

Lettere lucane

Uno dei primi ricordi della mia vita è mio padre seduto davanti a un telefono nella nostra piccola casa di Uster, in Svizzera, – dov’era emigrato nel 1969, e dove sono nato nel 1976 –, mentre compone in continuazione il lunghissimo numero del telefono pubblico dell’Alimentari di zia Teresina, che era l’unica ad avere un telefono nella contrada Fratta. Il giorno prima c’era stato il terremoto “giù dai nonni”, e mio padre tentava invano di mettersi in contatto con la zia per sapere come stessero. Ma le linee erano saltate, e comunicare con Fratta era impossibile. All’epoca le notizie – e parliamo del 1980 – erano lentissime. L’unico modo per sapere qualcosa era ascoltare le notizie che avevano i colleghi della fabbrica, oppure telefonare a qualche rotondese, che ovviamente riportava fatti orecchiati. Per più di un giorno fu impossibile sapere cosa fosse accaduto a Rotonda, perché all’epoca non c’erano WhatsApp, Google o Facebook, e i confini nazionali erano reali, non solo simbolici. Non so mia madre cosa facesse in quelle ore, e in che modo tentasse di chiamare nonno Andrea di Pedali, frazione di Viggianello – il suo paese di origine. Ricordo solo mio padre, purtroppo, e lo ricordo curvo, preoccupato. Oggi è tutto cambiato, perché di qualsiasi disgrazia, ovunque sia accaduta, dopo pochi muniti abbiamo notizie e filmati. Penso a tutto questo mentre grazie a internet mi giungono continuamente aggiornamenti sulla diffusione del Covid-19 in Basilicata – in tempo reale riesco a sapere ogni cosa: il numero degli ammalati, dei ricoverati e dei deceduti; e se ho voglia di sapere i miei genitori come stanno, mi basta schiacciare un tasto di cellulare ovunque mi trovi, finanche in una galleria di autostrada. In quell’orribile novembre del 1980, invece, le comunicazioni con la Basilicata furono interrotte, tanto che la Basilicata sembrava irraggiungibile, alla fine del mondo.

diconsoli@lecronache.info

 

 

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