IL LADRO DI BICICLETTE DI PISTICCI
Lettere lucane
So bene che non tutti i ladri sono uguali, e che una cosa è rubare per disperazione, e altra cosa è rubare per ingordigia. Dico questo perché ho letto una breve notizia, giustamente passata inosservata, secondo la quale un trentaduenne di Pisticci, sorvegliato speciale, è stato arrestato perché ritenuto colpevole di aver rubato alcune bicilette nel centro di Matera. La notizia, sinceramente, mi ha molto colpito, perché ha immediatamente riattivato in me un circuito di memorie dolorose, immortalate in “Ladri di bicilette”, capolavoro assoluto del 1948 di Vittorio De Sica. In questo film un padre di famiglia, vittima di un furto, decide – appunto, per disperazione, e per totale sfiducia nella giustizia – di rispondere al furto con un altro furto ancora, evitando solo per pietà il linciaggio della folla. Non so chi sia quest’uomo di Pisticci, né conosco le ragioni che lo hanno spinto a rubare queste bicilette, ma presumo che a spingerlo sia stata una qualche forma di insopportabilità della vita. Nel film di De Sica il furto è illuminato da una luce commovente, perché a compierlo era un padre di famiglia messo alle strette. E questo, in qualche modo, rendeva il suo gesto puro, moralmente giustificabile, finanche, retoricamente, luminoso. Nessuna luce, invece, illumina i furti del nostro ragazzo di Pisticci, perché aveva già precedenti penali, e perchénon ne conosciamo la storia. Inutile girarci intorno, queste notizie mi colpiscono perché sento uno spettro aggirarsi per l’Italia: la povertà. La cosa brutta della povertà reale – non di quella edificante di certo cinema – è che i poveri hanno sempre torto, sono poco affascinanti, sono un peso, istigano al rimprovero. Un ladro è sempre un uomo che non ha più niente da perdere. Ma non avere niente da perdere è una condizione psicologica che richiede rispetto, perché è sempre figlia di una resa esistenziale, di una totale sfiducia nella vita.