OGGI RICORRE LA 4ª “GIORNATA MONDIALE DEI POVERI”
Il Papa: i poveri sono al centro del Vangelo, serve il coraggio dell’amore
No ai cristiani misurati, a quanti si limitano ad osservare le regole senza rischiare nel servizio agli altri.
Lo afferma Papa Francesco nell’omelia alla Messa celebrata stamattina nella Basilica Vaticana in occasione della IV Giornata mondiale dei poveri.
Un centinaio le persone presenti in rappresentanza degli indigenti del mondo.
Nell’avvicinarsi del Natale l’invito del Papa a chiederci cosa dare e non cosa comprare
Letture, Vangelo e commento della domenica 15 novembre 2020
PRIMA LETTURA (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
Dal libro dei Proverbi
Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.
Parola di Dio
SALMO RESPONSORIALE (Sal 127)
Rit: Beato chi teme il Signore.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
SECONDA LETTURA (1Ts 5,1-6)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Parola di Dio
Canto al Vangelo (Gv 15,4.5)
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.
VANGELO (Mt 25,14-30)
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Parola del Signore.
Commento
La parabola dei talenti parla della venuta di Gesù per il giudizio universale. Quando ritornerà, egli esigerà di sapere da noi come abbiamo usato il nostro tempo, cosa abbiamo fatto della nostra vita e dei talenti che abbiamo ricevuto, cioè delle nostre capacità. Il premio per il buon uso sarà la partecipazione alla gioia del Signore, cioè al banchetto eterno. La parabola racchiude un insegnamento fondamentale: Dio non misurerà né conterà i nostri acquisti, le nostre realizzazioni. Non ci chiederà se abbiamo compiuto delle prodezze ammirate dal mondo, perché ciò non dipende da noi, ma è in parte condizionato dai talenti che abbiamo ricevuto. Vengono tenute in conto soltanto la fedeltà, l’assiduità e la carità con le quali noi avremo fatto fronte ai nostri doveri, anche se i più umili e i più ordinari. Il terzo servitore, “malvagio e infingardo” ha una falsa immagine del padrone (di Dio). Il peggio è che non lo ama. La paura nei confronti del padrone l’ha paralizzato ed ha agito in modo maldestro, senza assumersi nessun rischio. Così ha sotterrato il suo talento. Dio si aspetta da noi una risposta gioiosa, un impegno che proviene dall’amore e dalla nostra prontezza ad assumere rischi e ad affrontare difficoltà. I talenti possono significare le capacità naturali, i doni e i carismi ricevuti dallo Spirito Santo, ma anche il Vangelo, la rivelazione, e la salvezza che Cristo ha trasmesso alla Chiesa. Tutti i credenti hanno il dovere di ritrasmettere questi doni, a parole e a fatti.
Giornata Mondiale dei Poveri, il grazie di Papa Francesco ai preti come don Malgesini
Al termine dell’omelia per la Messa della Giornata Mondiale dei Poveri, Papa Francesco ringrazia i preti che rischiano senza far parlare troppo di sé, facendo l’esempio di don Roberto Malgesini
Don Roberto Malgesini, il parroco degli ultimi assassinato il 15 settembre da un senza fissa dimora con problemi psichici, è stato ricordato da Papa Francesco al termine dell’omelia della Messa per la Giornata Mondiale dei Povericome un esempio dei “servi fedeli di Dio, che non fanno parlare di sé” che vivono per i poveri.
“Questo prete – ha detto Papa Francesco – non faceva teorie: semplicemente, vedeva Gesù nel povero e il senso della vita nel servire. Asciugava lacrime con mitezza, in nome di Dio che consola”.
Il ricordo di don Malgesini arriva al termine di una omelia in cui Papa Francesco, commentando la parabola dei talenti ha lodato i cristiani che rischiano, e che non restano piuttosto fermi senza sfruttare i talenti del Signore. Talenti che vanno investiti, e l’investimento più sicuro è, per Papa Francesco, quello sul povero.
La Giornata Mondiale dei Poveri è una iniziativa che Papa Francesco ha voluto dopo l’Anno Straordinario della Misericordia. La prima Giornata Mondiale dei Poveri ha avuto luogo nel 201. Quest’anno, la celebrazione si svolge rigorosamente secondo protocolli anti-pandemia: non c’è stato, come di consueto, il presidio sanitario, che vengono forniti gratuitamente test per il COVID sotto il colonnato. La Messa, solitamente molto partecipata, ha previsto solo 100 persone su invito. Il successivo pranzo, in Aula Paolo VI, è stato cancellato.
Il Vangelo del giorno è quello della parabola dei talenti: un padrone da ad un servo cinque talenti, ad un altro due, ad un altro uno. I primi due raddoppiano il patrimonio, il terzo, intimorito di non saperlo gestire, lo conserva semplicemente, senza perdere né guadagnare nulla.
Papa Francesco sottolinea che la parabola ha un inizio, un centro e una fine.
L’inizio è il grande bene, rappresentato dai talenti, perché “è stato calcolato che un solo talento corrispondeva al salario di circa venti anni di lavoro: era un bene sovrabbondante, che allora bastava per tutta la vita”. E questo bene è, spiega Papa Francesco, la “grazia di Dio”, una “grande ricchezza” che “non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo”, eppure spesso, guardando la nostra vita, “vediamo solo quello che ci manca” e “cediamo all’illusione del magari”, che “ci impedisce di vedere il bene e ci fa dimenticare i talenti che abbiamo”.
Eppure – sottolinea Papa Francesco – Dio ci ha affidato i talenti perché “si fida di noi, nonostante le nostre fragilità”, anche se siamo come il servo che nasconderà il talento.
Il centro della parabola è, per Papa Francesco, il servizio, che “fa fruttare i talenti e dà senso alla vita”. E i servi bravi sono “quelli che rischiano”, quelli che “non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano”, perché “il bene, se non si investe, si perde”. “Non serve per vivere chi non vive per servire”, dice Papa Francesco, chiedendo di meditare la frase. E poi si sofferma sulla qualità del servizio.
“Se abbiamo doni, è perché siamo doni agli altri”, dice Papa Francesco. E poi invita tutti a domandarsi se seguono i bisogni o se sanno riconoscere i bisogni dell’altro”.
Papa Francesco sottolinea che i servi che rischiano sono chiamati nel Vangelo “per quattro volte sono chiamati fedeli”, perché per il Vangelo “non c’è fedeltà senza rischio” ed “essere fedeli a Dio è spendere la vita, è lasciarsi coinvolgere i piani dal servizio”.
Il Papa dice che “è triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole ed al rispetto dei comandamenti”, quei “cristiani misurati, che mai fanno un passo fuori, perché hanno paura del rischio”, che “incominciano un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie”.
Questo “non basta”, la fedeltà a Gesù “non è solo non commettere errori. È negativo questo”. Il servo della parabola è definito “malvagio” perché “non ha fatto nulla di male”, ma allo stesso tempo “non ha fatto niente di bene”, non è stato “fedele a Dio, che ama spendersi”, anzi “gli ha fatto l’offesa peggiore: restituire i doni ricevuti”.
Il Papa invita a “non spreacare la vita pensando solo da noi stessi”, a “non lasciarci condannare dall’indifferenza”. Per servire secondo i desideri di Dio, si è chiamati ad “affidare il denaro ai banchieri” per prendere gli interessi, e Papa Francesco interpreta la parabola con “i poveri”, che “ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore”, perché “la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore”.
Aggiunge Papa Francesco: “Si avvicina Natale e pensiamo tutti a cosa possiamo comprare. Usiamo un altro verbo: cosa possiamo dare, per essere come Gesù che ha dato tutto se stesso”.
Si arriva così al finale, che è la fine della vita, il momento in cui “tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza”. Per questo, Papa Francesco invita “se non vogliamo vivere poveramente” di “chiedere la grazia di vedere Gesù nei poveri, di servire Gesù nei poveri”.
Ed è qui che il Papa rivolge un pensiero a don Malgesini, la cui storia deve avere molto colpito il Papa: non solo lo ha ricordato nell’udienza generale del 16 settembre, subito dopo l’omicidio, ma ha anche inviato il suo elemosiniere, il Cardinale Konrad Krajewski, a celebrarne i funerali e ne ha incontrato i genitori lo scorso 14 ottobre.
Papa Francesco sottolinea che l’inizio della giornata di don Malgesini “era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida testimonianza del Vangelo”. E questo perché “aveva compreso che doveva tendere la sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di loro vedeva Gesù. Chiediamo la grazia di non essere cristiani a parole, ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù”.
#GiornataMondialedeiPoveri
E’ la parabola dei talenti tratta dal Vangelo secondo Matteo al centro dell’omelia del Papa nella Messa per questa IV Giornata mondiale dei poveri. Francesco spiega che il racconto dei servi a cui il padrone affida le sue ricchezze perché, in sua assenza, le facciano fruttare, contiene un insegnamento che illumina tutta la nostra vita.
Il Padre ha fatto un dono a ciascuno di noi
All’inizio, spiega il Papa, c’è un grande bene, il gesto del padrone che “non tiene per sé le sue ricchezze, ma le dà ai servi” a ciascuno seconda le sue capacità. “Anche per noi – afferma – tutto è cominciato con la grazia di Dio”. Con il dono che il Padre “ha messo nelle nostre mani”:
Siamo portatori di una grande ricchezza, che non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo: dalla vita ricevuta, dal bene che c’è in noi, dalla bellezza insopprimibile di cui Dio ci ha dotati, perché siamo a sua immagine, ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi, unico e insostituibile nella storia! Quant’è importante ricordare questo: troppe volte, guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca. Allora cediamo alla tentazione del “magari!…”: magari avessi quel lavoro, magari avessi quella casa, magari avessi soldi e successo, magari non avessi quel problema, magari avessi persone migliori attorno a me!…
Pensando in questo modo, prosegue Francesco, non vediamo il bene che abbiamo e i doni che Dio ci ha fatto fidandosi di noi, sperando che ciascuno possa utilizzare bene quanto ha ricevuto, impegnando bene il tempo presente, invece che perderlo in inutili nostalgie che avvelenano l’anima, che ci fanno guardare sempre agli altri e non alle possibilità di lavoro che il Signore ci ha dato.
Non vivere per se stessi, ma essere dono
E quello che fa fruttare i talenti ricevuti “è l’opera dei servi”, prosegue Papa Francesco, “cioè il servizio”. E ripete più volte “non serve per vivere chi non vive per servire. E’ il servizio, infatti, che “dà senso alla vita”, ma, si domanda il Papa, qual è lo stile del servizio?
Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere doni.
Il Papa aggiunge a braccio: “E qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: “Io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno?”.
Per il Vangelo non c’è fedeltà senza rischio
La fedeltà dei servi, in questa parabola, corrisponde alla capacità di rischiare, perché essere fedeli a Dio vuol dire lasciarsi sconvolgere la vita dalle esigenze del servizio. E Francesco prosegue: “È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti”. Nella vita cristiana non basta non commettere errori e vivere senza “iniziativa e creatività”, afferma ancora il Papa, non basta non fare nulla di male seppellendo il dono ricevuto, come il servo pigro che Gesù chiama addirittura ‘malvagio’. E prosegue:
Non è stato fedele a Dio, che ama spendersi; e gli ha recato l’offesa peggiore: restituirgli il dono ricevuto. Tu mi hai dato questo, io ti do questo”, niente di più. Il Signore ci invita invece a metterci in gioco generosamente, a vincere il timore con il coraggio dell’amore, a superare la passività che diventa complicità. Oggi, in questi tempi di incertezza, e in questi tempi di fragilità, non sprechiamo la vita pensando solo a noi stessi, con quell’atteggiamento dell’indifferenza. Non illudiamoci dicendo: «C’è pace e sicurezza!» (1 Ts 5,3). San Paolo ci invita a guardare in faccia la realtà, a non lasciarci contagiare dall’indifferenza.
I poveri ci permettono di arricchirci nell’amore
Nella parabola il padrone spiega al servo infedele come avrebbe dovuto agire, gli dice che avrebbe potuto affidare ai banchieri il talento ricevuto e restituirlo poi al padrone con gli interessi. Così dobbiamo fare anche noi nei confronti di Dio:
Chi sono per noi questi “banchieri”, in grado di procurare un interesse duraturo? Sono i poveri: ma non dimenticateli. I poveri sono al centro del Vangelo. Il Vangelo non si capisce senza i poveri. I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto poveri, si è fatto peccato – la povertà più brutta. I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore.
Chi non ama resterà povero
Tendere la mano a chi ha bisogno, essere operosi nell’amore come la donna descritta nella prima Lettura tratta dal Libro dei Proverbi, invece che desiderare ciò che ci manca, afferma il Papa, è ciò che moltiplica i beni ricevuti. E in riferimento a quanto vivremo prossimamente aggiunge:
Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi […] a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri, per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio?”.
Chi non fa così spreca la sua vita e alla fine “resterà povero”:
Alla fine della vita, insomma, sarà svelata la realtà: tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza. (…) Se non vogliamo vivere poveramente, chiediamo la grazia di vedere Gesù nei poveri, di servire Gesù nei poveri.
Don Malgesini, limpida testimonianza al Vangelo
Il Papa conclude la sua omelia con un pensiero e un grazie ai “tanti servi fedeli di Dio” che vivono così e cita come esempio don Roberto Malgesini, il sacerdote di Como che ha speso la sua vita nel servizio quotidiano ai poveri perché semplicemente in loro vedeva Gesù, offrendo alla fine della sua esistenza una “limpida testimonianza del Vangelo”. “Chiediamo la grazia di non essere cristiani a parole – conclude Papa Francesco – ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù”.
OGGI RICORRE LA “GIORNATA MONDIALE DEI POVERI”
Abbiamo bisogno gli uni degli altri
“Tendi la tua mano al povero”
è il tema scelto quest’anno come espresso nel Messaggio del Papa per questa IV Giornata.
“In questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere!”, scrive il Papa, ricordando che “questo è un tempo favorevole per sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo”.
Non basta non fare il male
Nella prima Giornata mondiale dei poveri, il 19 novembre 2017, Francesco celebra la Messa nella Basilica di San Pietro alla presenza di circa 40 mila persone indigenti provenienti non solo da Roma e dal Lazio, ma anche da diverse diocesi del mondo.
Al termine, 1.500 di loro prendono parte al pranzo con il Papa in Aula Paolo VI.
Nell’omelia della messa Papa Francesco pronuncia parole forti riguardo all’indifferenza,
“il grande peccato nei confronti dei poveri”
L’indifferenza, dice, è anche dire:
“Non mi riguarda, non è affar mio, è colpa della società (…) è anche sdegnarsi di fronte al male senza far nulla. Dio, però, non ci chiederà se avremo avuto giusto sdegno, ma se avremo fatto del bene”
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, si legge nel Vangelo
e il Papa conclude:
“Questi fratelli più piccoli, da Lui prediletti, sono l’affamato e l’ammalato, il forestiero e il carcerato, il povero e l’abbandonato, il sofferente senza aiuto e il bisognoso scartato”
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