IL SISMA A MURO, LE PAROLE DELL’ASS.RE MELUCCI
Zamberletti fu sempre vicino a Muro Lucano, e lo scelse per commemorare il primo anno dopo il sisma
Mario Melucci, oggi ha 72 anni, all’epoca del terremoto 32. Nel 1980 aveva incarico nella Giunta Municipale di Muro Lucano come Assessore alla Pubblica Istruzione e stretto collaboratore del sindaco Vincenzo Iasilli, poi ricordato come “il Sindaco del terremoto”.
In quel periodo si stavano affrontando diverse questioni, tra le quali la redazione del Piano regolatore e il Recupero e riordino della rete e dei servizi scolastici.
«Infatti, a livello urbanistico – anticipa Melucci- Muro era dotato di un vecchio e non più adeguato Piano di Fabbricazione e le scuole avevano oltre 20 pluriclassi nelle campagne. Il piano scolastico prevedeva che le pluriclassi di campagna fossero trasferite nei due centri di raccolta di Capodigiano e di Ponte Giacoia. Il primo fu ristrutturato con fondi del Comune, il secondo fu realizzato grazie al dono fatto dal Comune e dalla Provincia di Reggio Emilia nel dopo terremoto. Infine fu ridisegnato il Piano dei trasporti scolasti con una rete di pullmini e di noleggiatori che garantirono il raggiungimento a tutti i plessi nel tempo di mezz’ora».
Quale fu lo scenario che si paventò ai suoi occhi subito dopo la scossa?
«Appresa la notizia mi precipitai a Muro dove trovai il paese sconvolto: case cadute, crolli, impianti dell’illuminazione pubblica divelti con fili elettrici penzolanti o pericolosamente trascinati per terra dalle macerie. L’assenza della rete del gas ci risparmiò dagli incendi. Lo strazio maggiore lo comunicava la disperazione delle persone che, sconvolte e traumatizzate dalla immane sciagura che le aveva colpite, correvano in cerca di familiari che al momento della scossa erano in giro per il paese. Nella disgrazia la bella giornata evitò che i danni alle persone e i morti fossero ancora più pesanti. Al mio arrivo il sindaco Iasilli aveva già preso saldamente in mano la situazione e impartito le prime direttive e disposizioni. Avemmo un veloce scambio tra gli amministratori presenti e ci attivammo con l’aiuto di alcuni cittadini e di un importante numero di giovani che, da quel momento e per tutto il primo anno post terremoto, restò a completa disposizione dei cittadini e dell’Amministrazione comunale. Non smetterò mai di ringraziarli, sono stati preziosissimi e senza di loro tante cose non sarebbero state possibili. Ai cittadini fu immediatamente impartito l’ordine di allontanarsi dal centro abitato, indirizzandoli in aree esterne al paese che gravitavano nelle vicinanze delle loro abitazioni. Furono decisi i primi raggruppamenti: Campo sportivo, Cappuccini, San Vito, Capodigiano. Singoli gruppi si organizzarono autonomamente. Già verso mezzanotte avevano preso forma embrioni di comunità».
Tra le vittime del sisma, però, anche due giovani che persero la vita nei pressi della Cattedrale, una storia che commuove ancora oggi, cosa accadde? «È tra i miei ricordi più tristi. Le famiglie si allertarono subito non riuscendo a rintracciare i due ragazzi. Ho vissuto lo strazio del papà e dei fratelli del giovane. Si rivolsero a tutti e, perciò, anche a noi amministratori. Cercavano di raccogliere informazioni che potessero essere utili ai fini della ricerca. In un primo momento non se ne venne a capo, perché i luoghi erano stravolti: era crollata la facciata della Cattedrale e un angolo della piazza dove, sfortunatamente si scoprì che era parcheggiata la macchina al momento del sisma, poi seppellita dalle macerie. Non dimenticherò mai quando il comandante dei Vigili del fuoco venne a riferirci il ritrovamento della macchina con i corpi dei due ragazzi. Con grande strazio fu comunicato alle famiglie l’immane disgrazia».
Quali furono i primi interventi attuati?
«Nelle prime ore la ricerca e i soccorsi dei feriti furono assicurati da familiari e cittadini resisi disponibili. Ovviamente prezioso fu l’impegno della Polizia Locale, dei Carabinieri e poi dell’Esercito, Polizia, Prefettura, Vigili del Fuoco, dei primi volontari locali e forestieri, presenti già tra la notte e il giorno successivo. Molti furono i gruppi organizzati di giovani che accorsero da Puglia e Calabria. Poco dopo arrivarono numerosissimi volontari, tecnici e amministratori inviati dal Comune e dalla Provincia di Reggio Emilia con i quali Zamberletti ci fece gemellare. Gli emiliani montarono le cucine da campo nelle varie aree, ci portarono le prime stalle per chi le aveva avute crollate e i primi box di zinco per custodire derrate e beni di vario genere. Voglio ricordare il grande aiuto fornito dalle imprese locali e da quelle esterne che, fin da subito misero a disposizione del Comune, gratuitamente, i loro mezzi: pale, ruspe, camion e dai tanti cittadini che, soprattutto nelle campagne, soccorsero chi aveva subito crolli e danni ad abitazioni e stalle. Il gelo che aggredì la zona terremotata negli immediati giorni successivi al 23 novembre resero ancora più difficili gli interventi. Nel giro di pochissimi giorni furono allestite centinaia di tende in molte zone del paese e delle campagne. La tendopoli organizzata presso il Campo sportivo consentì a centinaia di persone di avere un primo ricovero, man mano più umano. Molte erano le scuole danneggiate, rimediammo prendendo in fitto edifici privati e per il Liceo Scientifico fu provvidenziale il recupero di una grande struttura, costituita dal solo tetto e da pilastri metallici, in pochi giorni trasportata da Gemona a Muro e rifinita con pannelli di legno e porte provenienti da donazioni. Un nutrito numero di tecnici fu impegnato nell’opera di individuazione dei danni dagli immobili. Compilarono per ognuno di essi una scheda descrittiva dei danni e la relativa classificazione che consentì i primi interventi di recupero, attraverso i finanziamenti derivanti dall’Ordinanza 80, per gli edifici poco danneggiati.
E per quanto concerne le vittime?
«Furono individuati abbastanza velocemente i corpi delle vittime. Già il giorno dopo non c’erano dispersi. Un caso che voglio ricordare e che mi sconvolge ogni volta che mi torna alla mente è la morte di una bambina molto piccola. Fu trovata sotto le macerie nei pressi del Carmine. Con il mio bambino aveva frequentato il primo anno di scuola materna. Quando mi recai all’obitorio vidi il suo corpicino. L’orrore, accompagnato da tanta tenerezza, lo porterò con me per tutto il resto della mia vita. Quando l’Amministrazione comunale decise di commemorare le vittime erigendo a memoria un bassorilievo con l’artista Antonio Masini, decidemmo che quel corpicino avrebbe rappresentato tutte le vittime del terremoto e che sarebbe rimasto memoria indelebile per tutta la comunità murese. L’opera fu istallata sulla facciata della Chiesa di piazza Don Minzoni dove si trova ancora oggi. Non voglio tralasciare quanto gravi furono i danni subiti dal Cimitero. Molti furono i crolli delle cappelle e, in alcuni casi, anche le bare furono travolte dalle macerie. Non è il caso di descrivere le scene che ci si presentarono. Nell’immediato si provvide a eliminare i pericoli incombenti e a bonificare sanitariamente i siti».
All’epoca non esisteva neanche l’idea di Protezione Civile…
«Fu merito dell’on. Zamberletti, aver compreso che lo Stato aveva bisogno di una organizzazione in grado di intervenire con la massima rapidità nelle situazioni emergenziali. È stato un vero amico di Mulo Lucano, ci è stato vicino e ci ha aiutato ogni qualvolta ci siamo rivolti a lui. Non va dimenticato che tra tutti i Comuni terremotati, della Campania e della Basilicata, scelse Muro per commemorare il primo anniversario del terremoto. In quei giorni prese forma quell’organizzazione che sarebbe diventata la Protezione Civile. Per Muro furono preziosi gli interventi di distaccamenti del Genio Militare e di un distaccamento del corpo degli Alpini che ci fu inviato dall’Abruzzo. Per qualche mese assicurò la sua presenza anche un distaccamento della Marina Militare con un Ospedale da campo allestito presso lo spazio della Fiera».
Nei giorni a seguire fu creato un ponte telefonico?
«In verità fin da subito le linee telefoniche furono ripristinate e i collegamenti specifici furono assicurati dal Ministero degli Interni attraverso la Prefettura di Potenza che fornì il suo supporto attraverso agenti della Polizia di Stato diretti dal Vice prefetto Rolli»
Quando si decise di edificare le aree destinate ai prefabbricati”?
«Oltre mille famiglie restarono prive di abitazione. Trovare una soluzione abitativa nella prima emergenza fu un impegno enorme. Centinaia di tende furono poi sostituite da altrettante roulottes. Più accoglienti e confortevoli ma sempre costrittive. Il Sindaco Iasilli predispose, organizzò e mise in opera un piano mastodontico per assicurare nei tempi più rapidi possibili la realizzazione delle aree per gli insediamenti dei prefabbricati nelle campagne e nelle immediate vicinanze del centro abitato: Giardini, Cappuccini, Costa Grande e Le Marze. In quella occasione il Sindaco mi delegò al reinsediamento degli abitanti che dovevano occupare i Prefabbricati. Anticipo che entro il 23 novembre del 1981 si riuscì a istallarli tutti e a immettere in essi le famiglie assegnatarie.
L’intervento più impegnativo fu la realizzazione dell’area dei Giardini dove si dovevano realizzare circa 500 unità abitative, la scuola, la chiesa, un ambulatorio e il Centro per anziani donatoci dalla Croce Rossa Internazionale. Non va sottaciuta la difficoltà incontrata per l’enorme movimento terra, se ricordo bene si tratta di oltre 400.000 metri cubi; se ne occupò la ditta Ferrara del Metapontino. L’impresa Crocetto realizzò le urbanizzazioni.
Per la scelta dei prefabbricati l’on. Zamberletti ci suggerì di farli realizzale dalla più grande fabbrica di prefabbricati esistente in Europa, unica che potesse costruire e montare in un solo anno tante casette, la Iugoslava Krivaia. Il Prefetto del Ministero che collaborava con Zamberletti mi predispose una visita al Comune di Gemona, in Friuli, che quattro anni prima aveva subito un terremoto catastrofico come il nostro. Fui ospite del Sindaco di quel Comune per alcuni giorni. Ebbi così la possibilità di visitare le abitazioni che la Krivaia aveva costruito e parlare con i cittadini che li abitavano da un paio di anni. La scelta fu felice perché rispettarono perfettamente il contratto. Entro un anno ci consegnarono tutti i prefabbricati commissionati. Le altre aree furono affidate a ditte italiane più piccole. Accenno solo ad un particolare che rese l’insediamento nelle aree dei prefabbricati meno gravoso. Con l’aiuto dei giovani, dei Vigili Urbani, degli impiegati dell’Anagrafe, dei progettisti delle aree riuscimmo a ricreare, nei limiti del possibile, la situazione abitativa del periodo prima del terremoto. In pratica ogni abitante si trovava come vicini gli stessi che aveva nel paese prima del sisma».
Quali furono le maggiori complicazioni, nel “ricostruire” il tessuto comunitario, oltre che urbano, di Muro Lucano?
«Si era riusciti a rimediare alla situazione di emergenza ma il paese era uscito sconvolto e smembrato. Le aree dei prefabbricati costituivano satelliti a sé stanti con nuclei abitativi non comunicanti e ognuno ripiegato e gravato dagli enormi problemi individuali. Cercammo di favorire la comunicazione istituendo una linea urbana che collegava tutte le aree dei prefabbricati, tra loro e con il paese. Ma un intervento più strutturale e strategico fu l’impegno per realizzare in tempi brevi il Piano Regolatore Generale e il Piano di Recupero del Centro Storico. Già nel 1982 erano predisposti e approvati. Il tutto fu fatto condividendo le scelte con le forze politiche presenti in Consiglio Comunale. Anche l’Opposizione non fece venir meno il suo apporto, la popolazione fu coinvolta attraverso decine e decine di assemblee convocate ogni qualvolta c’erano decisioni importanti da prendere. Non si pensi a un rapporto idilliaco, assolutamente no. Ci furono momenti di scontro e di tensioni, ma in fondo ci si rese conto che ciò che era avvenuto era al di sopra delle nostre forze».
Quali emozioni si scatenarono in lei in quei giorni, e quali restano oggi, probabilmente rielaborati?
«Ho già fatto riferimento al dolore provato nelle tragiche situazioni in cui mi sono trovato coinvolto. Chiunque abbia vissuto quella esperienza ne è rimasto profondamente e irrimediabilmente segnato. A me ha dato la possibilità di fare una esperienza politica e soprattutto umana irripetibile. Mi è rimasto impresso il dolore di tanti cittadini che avevano perso tutto, il dolore delle famiglie a cui il sisma aveva sottratto affetti cari, figli, mogli, mariti, genitori. Lo smarrimento dei momenti in cui mi rendevo conto delle necessità dei miei concittadini e dell’impotenza nel non poterle soddisfare. Oggi dico che, onestamente, ce l’abbiamo messa tutta. Primo tra tutti per l’impegno, non sempre adeguatamente riconosciutogli, del Sindaco Iasilli che negli anni della sua sindacatura ha dato anima e corpo per cercare di risolvere i vari problemi. Nell’emergenza e nella fase della programmazione urbanistica ha avuto la fermezza e la lucidità di vedere lontano. Oggi gli dico grazie con tutto il cuore».
Oggi vive a Potenza, quali sono le sue sensazioni quando torna a Muro?
«Le sensazioni che vivo e che riguardano il mio paese sono quelle di chi lo ha amato e ama la terra in cui è nato, alla quale è indissolubilmente legato. Alle sue case, alle sue campagne, ai suoi boschi e, sopra ogni cosa, alle persone che ha amato e che gli hanno voluto bene. Oggi anche a chi non gliene ha voluto. La sensazione è propria della pace che la maturità degli anni sa donare».