MORIRE A TRENTASETTE ANNI IN UN RESIDENCE DEL NORD
Lettere lucane
È quasi l’una di notte. Una donna di trentasette anni – Arianna Tetta, questo è il suo nome – viene svegliata dalla tosse e da una forte sensazione di soffocamento. Non appena apre gli occhi vede l’intera stanza avvolta dalle fiamme. Disperata, con le poche forze che sente di avere, si sposta verso il bagno, dove spera di aprire la doccia. Ma ha ingoiato troppo fumo, e sa di morire. Si rannicchia nella doccia e lì, arresa, perde la vita. Nel frattempo le fiamme aggrediscono altri due piani del residence “Il Capodoglio” di via Nicolini, a Rimini, ma tutti gli altri si salvano; a morire è soltanto lei, Anna Tetta di Melfi, trentasette anni, dipendente precaria dell’Ata. Probabilmente l’incendio è stato provocato da una sigaretta mal spenta. Ma Anna non se n’è accorta, perché forse è caduta in un sonno di pietra. Non è l’inizio di un racconto, ma una storia vera accaduta l’altra notte a Rimini. È la storia di una lucana di trentasette anni – con i suoi sogni ancora accesi, e le inevitabili disillusioni – che per vivere è dovuta andare al Nord. La immaginiamo stanca, un po’ infreddolita, col cellulare in mano mentre manda messaggi ad amici e parenti “di giù”. Ecco che accende l’ultima sigaretta, ma il sonno arriva furtivo, la spegne con destrezza, le fa dimenticare senza patemi che nel posacenere c’è qualcosa che brucia, e cha fra poco incendierà ogni cosa. Confesso che questa storia mi ha molto amareggiato. Non solo per la tragedia in sé, ma per come sento familiare la precarietà di questa donna, per come riesco a vedere i suoi viaggi in pullman, la felicità per i contratti strappati di anno in anno, le notti solitarie in un residence del Nord assediato dal freddo autunnale. È una storia potente e triste, quella di Anna Tetta. Forse una delle più emblematiche – alla resa dei conti – della mia generazione lucana.