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LA PANDEMIA TRA SPERANZA E PEPE

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Da quando Report ha tirato fuori le carte sull’arretratezza del piano pandemico italiano, annata 2006, la faccia del ministro Roberto Speranza, loquace maître à penser del Covid-19, è quasi sparita di scena, senza per giunta che qualcuno ne abbia provato nostalgia. La ritirata ingloriosa, divenuta ormai abitudine, segue quella già sperimentata in notturna per l’incursione delle Iene sul suo libro, subito ritirato e divenuto cimelio politico conteso dai collezionisti su Amazon a ben 195 euro. Eppure come se non bastasse a fare danni, il ministro della salute sta coltivando la “Speranza”, manco a dirlo, di far assegnare l’ennesima e ben remunerata poltroncina al suo afflitto corregionale e compagno di partito, Filippo Bubbico tanto per riprendere in mano la versione della sinistra in porsche e coi maglioncini griffati che ha segnato la disfatta della coppia D’Alema-Bersani. Ora in ipocrita indignazione arriva pure la nota del senatore Pasquale Pepe che evita di guardare a casa propria, dove è di moda il format leghista del manuale Cencelli, con nomine spacchettate tra correnti e tribù territoriali ed altre anticate e supinamente digerite come nel caso di Giuseppe Spera al San Carlo. Così se nemmeno la pandemia mette a riposo gli appetiti della politica, valga almeno il trucco suggerito da George Orwell:“Per vedere quello che abbiamo davanti al naso serve uno sforzo costante”.

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