INTERVISTA DI FINE 2020 ALLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO
“È chiaro che è più facile avere ragione quando ci si schiera dalla parte delle procure e dell’opinione pubblica. Io ho scelto di mettere le mie competenze al servizio delle vittime di errore giudiziario e purtroppo non sempre si riesce a far trionfare la verità”
UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE -18giorni quanti danni potrà ancora fare #20VENTI
INTERVISTA DI FINE 2020 ALLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO
Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari.
È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita nel caso Ceste Buoninconti. Insieme all’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel e Cristina Ciocan, si è battuta per dimostrare che la piccola Maria Ungureanu era morta in seguito ad un incidente.
Dopo 4 anni e mezzo la procura di Benevento gli ha dato ragione.
Nel 2018 ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi.
Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Dottoressa Franco, dopo circa 4 anni e mezzo, la procura di Benevento ha riconosciuto che Maria Ungureanu non è stata uccisa, archiviando definitivamente le posizioni di Daniel e Cristina Ciocan. Insieme all’ottimo avvocato Salvatore Verrillo vi siete battuti portandovi a casa numerose soddisfazioni: il GIP ha sempre rigettato le richieste d’arresto emesse dalla PM Maria Scamarcio, il Riesame e la Cassazione non solo hanno ritenuto inammissibili i ricorsi della procura ma vi hanno dato ragione anche in merito agli abusi cui era sottoposta la bambina e infine è venuta l’archiviazione per omicidio volontario. Al momento l’ipotesi di reato per il proprietario e per la responsabile del resort dove si trova la piscina nella quale è affogata Maria è l’omicidio colposo. Nonostante tutto la notizia è stata ignorata dai programmi televisivi RAI e Mediaset che si erano occupati del caso, eppure la difesa dei Ciocan ha scongiurato un duplice errore giudiziario, come se lo spiega?
Si aspettava forse che si cospargessero il capo di cenere e ci celebrassero?
È chiaro che in tanti tacciono per non affossare il sistema al quale appartengono.
A noi interessa che la procura abbia riconosciuto il proprio errore e abbia cambiato rotta nonostante le pressioni di un lurido processo mediatico volto a mistificare i fatti.
Risuonano nella mia mente le parole di tanti.
E per quanto riguarda le violenze?
Gli atti parlano forte e chiaro
Lo scorso anno, alla mia domanda: “Che cosa vorrebbe dire al ministro di Grazia e Giustizia?”, lei aveva risposto: “Che è necessario lavorare sulle competenze dei pubblici ministeri, che sono la causa prima degli errori giudiziari e delle emorragie di denaro pubblico che va spesso perso in interminabili indagini inutili”.
È con malcelato orgoglio ma anche con profondo turbamento che riporto di seguito alcuni stralci di una dichiarazione del 27 novembre scorso dell’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane:
“IL MAGISTRATO SENZA QUALITÀ
Siamo ormai assuefatti alla lettura, in genere in trafiletti di poche righe, di inchieste penali roboanti e devastanti per gli indagati, svanite anni dopo nel nulla, tra archiviazioni ed assoluzioni variamente motivate. Lo stesso vale per arresti eclatanti (ma anche non eclatanti), poi annullati quando il danno è fatto (…) su questa drammatica questione non si farà mai un passo avanti se non si comprenderà che occorre mettere mano, con urgenza e determinazione, al problema del controllo sulla qualità del magistrato, oggi reso semplicemente impossibile dalla automaticità della progressione in carriera (…)
È così oltraggioso ritenere che un magistrato che dimostri per fatti concludenti di non essere all’altezza di svolgere compiti di peculiare delicatezza e difficoltà, debba essere assegnato a compiti meno rischiosi per la comunità sociale?”
Il problema non sono solo i magistrati incompetenti e svogliati ma anche i consulenti partigiani delle procure, le loro menzogne hanno un costo enorme per il paese non solo in termini umani ma anche economici. Uno di questi “consulenti”, un millantatore che si è occupato di migliaia di procedimenti, nonostante sia stato deriso da un pubblico ministero durante un’udienza di un processo per omicidio in cui era consulente della difesa, è stato ritenuto affidabile in un altro procedimento per omicidio nonostante avesse dichiarato il falso al giudice in merito ai propri titoli di studio. Non le sembra paradossale?
Torniamo ai casi giudiziari: Carlotta Benusiglio, 37 anni, è stata trovata impiccata ad un albero di Piazza Napoli a Milano intorno alle 6.00 del 31 maggio 2016.
I familiari non credono che Carlotta si sia suicidata.
Dopo una iniziale archiviazione come suicidio, il caso è stato riaperto e il fidanzato di Carlotta, Marco Venturi, 41 anni, è stato indagato per omicidio volontario aggravato. Nell’ottobre scorso, proprio in coincidenza con la chiusura delle indagini, mi pare che i giudici del Tribunale del Riesame di Milano, chiamati dalla procura di a pronunciarsi sulla richiesta della misura cautelare rigettata dal GIP nel luglio scorso, abbiano messo una grossa ipoteca su un eventuale rinvio a giudizio di Marco Venturi.
Mi spiego meglio, nell’ordinanza del 15 ottobre scorso c’è scritto: “Il Tribunale del Riesame di Milano ritiene che non vi siano gravi indizi di colpevolezza a carico di Marco Venturi, avendo gli elementi fin qui acquisiti accertato- con rilevante probabilità- che la morte di Carlotta Benusiglio sia avvenuta per suicidio compiuto dalla stessa”. Già nel febbraio 2018, dopo che la Trasmissione “Chi l’ha visto?” aveva diffuso una consulenza delle parti civili, lei aveva dichiarato: “Le conclusioni del consulente della famiglia Benusiglio, Antonio Barili, che ha analizzato le telecamere di piazza Napoli, la piazza di Milano dove si è impiccata Carlotta il 31 maggio 2016, permettono di escludere che Marco Venturi abbia ucciso Carlotta Benusiglio” e ha avuto ragione. Aggiungo che recentemente non le ha mandate a dire a chi si è espresso proprio sul caso Benusiglio.
Un caso giudiziario è sempre un argomento di studio grossolano, le risultanze autoptiche sono importanti quanto la tempistica, nel caso della Benusiglio sia le risultanze autoptiche che la tempistica ci permettono di concludere che Carlotta si è suicidata.
Negli errori giudiziari viene spesso attribuito ad un innocente un omicidio premeditato o commesso in pochi secondi per superare il fatto che abbia un alibi.
È questo il caso.
Mi è bastato studiare la tempistica per capire che Marco Venturi, che pesa solo 68 chili, non può aver strangolato ed impiccato la Benusiglio, che pesava poco meno di lui, in 22 secondi.
Aggiungo che lo stato dei luoghi in cui si sono svolti i fatti e quello degli abiti di Carlotta ci confermano che non è stata uccisa.
La Benusiglio aveva gli abiti puliti, se fosse stata stordita prima di essere impiccata, si sarebbero sporcati di terra.
La sua sciarpa era priva di lacerazioni e/o abrasioni e/o imbrattamenti.
Nelle vicinanze del cadavere non vi erano segni a terra compatibili con una colluttazione e/o un trascinamento del corpo.
Qual è la sua posizione sul caso Genovese?
Si è trattato di violenza sessuale. Nell’Ordinanza di convalida di fermo e di contestuale applicazione di misura coercitiva nei confronti di Alberto Genovese si legge che quando la ragazza “ha ripreso un barlume di lucidità, iniziando ad opporsi e a manifestare esplicitamente il suo dissenso, fino ad implorare il suo aguzzino di fermarsi, non è stata ascoltata dal carnefice che, imperterrito, ha proseguito nella sua azione violenta, continuando a drogarla e a violentarla”.
È evidente che non è stato un rapporto consenziente.
Che cosa caratterizza questo stupro?
Una progettualità che rivela fantasie sessuali complesse.
Genovese ha tratto piacere dalle sofferenze inflitte alla vittima e dal compiere atti sessuali con il suo corpo “inanimato”, ha messo in posa la vittima per fotografarla per poi rivivere l’esperienza.
Un act out da “sadistic serial rapist”
Dottoressa, sono uscite le motivazioni della sentenza dell’Appello bis nel caso dell’omicidio di Marco Vannini, che ne pensa?
“la sua morte, in termini di mera convenienza personale, era preferibile alla sua sopravvivenza” è un’affermazione incompatibile con il fatto che Antonio Ciontoli abbia chiamato i soccorsi con Marco ancora cosciente.
In poche parole, Antonio Ciontoli non ha mostrato di temere che Marco raccontasse la dinamica dei fatti ai soccorritori quando, sebbene con ritardo, scelse di farlo soccorrere.
Infine, una volta fatta questa scelta, se avesse immaginato che Marco stava rischiando la vita non avrebbe aspettato di riferire al solo medico del PIT la causa del malore del ragazzo.
E poi non corrisponde al vero che la morte di Marco “comporta di non essere certi di cosa sia realmente avvenuto tra quelle quattro mura”.
L’analisi delle dichiarazioni dei protagonisti e delle intercettazioni permette di ricostruire i fatti alla lettera.
Dottoressa, sappiamo che lei ha lavorato e vissuto nella piccola Isola Carcere di Gorgona a stretto contatto con agenti di polizia penitenziaria e detenuti, cosa è successo a Sissy Trovato Mazza?
Si è suicidata, una telecamera ha registrato tutto ciò che è successo prima e dopo il colpo di pistola partito dalla pistola d’ordinanza dell’agente stessa, Sissy era sola ed invece di uscire dal nosocomio per raggiungere i colleghi si è diretta altrove, nell’ascensore dove si è sparata, non vedo come si possano formulare altre ipotesi. Lo stesso vale per il caso di Mauro Pamiro, le telecamere hanno ripreso il professore mentre da solo si dirigeva scalzo nel cantiere nel quale è stato ritrovato il suo corpo. Le risultanze autoptiche hanno poi confermato il suicidio per precipitazione.
Dottoressa, nel caso della morte di Mattia Mingarelli, sappiamo che è d’accordo con la procura di Sondrio che nel giugno scorso ha chiesto l’archiviazione.
Il procuratore di Sondrio Claudio Gittardi ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Riteniamo altamente probabile che la scomparsa di Mattia MIngarelli non sia collegata ad alcuna attività delittuosa.
Per una serie di situazioni, forse legate ad uno stato di alterazione, si è allontanato da solo verso dal rifugio “I Barchi”, è stato male, ha perso il telefono, è tornato nella sua abitazione, dove ha lasciato cappello e cappotto, per poi uscire e cadere accidentalmente nel bosco.
Non è stato colpito da nessuno, questo è stato accertato, la caduta e il freddo ne hanno causato il decesso.
Resta il giallo sul perché si sia inoltrato nel bosco”
È logico che sono d’accordo, ho detto da subito che non c’era niente di misterioso nella scomparsa di Mattia Mingarelli, né di strano nella testimonianza del gestore del rifugio “Ai Barchi” dove il ragazzo si recò prima di morire: la presenza del vomito vicino al tavolo del rifugio e il fatto che Mattia abbia perduto il telefono proprio lì, sono la riprova che si sentì male dopo essere uscito dal rifugio. Il racconto del Del Zoppo è credibile e privo di smagliature.
Mattia Mingarelli si è sentito male dopo l’ultima bevuta al rifugio “Ai Barchi”, ha urtato il volto contro un ramo, è scivolato, ha battuto la testa producendosi una frattura occipitale ed è morto per assideramento.
Non ci sono né lesioni da difesa né segni di una colluttazione sul cadavere.
Il cadavere di Mattia si trovava a pochi metri dal rifugio e non era occultato, tutti dati a sostegno di una morte accidentale. Non accredita di certo l’ipotesi omicidiaria il fatto che i soccorritori ed i cani non abbiano trovato il corpo del Mingarelli.
I soccorritori non videro il suo corpo in quanto era coperto dalla neve caduta quella notte, mentre le ricerche con i cani da traccia, come sappiamo, non sono infallibili. L’ipotesi che il cadavere sia stato spostato è improponibile, nessuno sposterebbe infatti un corpo dopo aver dato l’allarme e con le ricerche in corso, tantomeno per non occultarlo.
Dottoressa, nel caso Mario Biondo, la testimonianza dell’ex avvocato spagnolo della famiglia, Daniel Gomez De Arriba, che sostiene di aver visto un “solco profondo” nella parte posteriore del collo del ragazzo, che valore può avere?
Nel 2013 Daniel Gomez De Arriba ha detto ad un giornalista di aver visto “una lesione ben determinata presente nella parte posteriore del collo di Mario Biondo”, nel 2018 ha invece detto di aver visto “una macchia nera con una linea molto marcata nella parte posteriore”.
Il cadavere fa testo.
Se quella “lesione” o “macchia nera” fosse stata un solco profondo, il professor Procaccianti l’avrebbe rilevato e invece ha attribuito la macchia scura di cui parla Gomez De Arriba a fenomeni putrefattivi, quindi, poiché all’epoca della seconda autopsia il solco non c’era, evidentemente non c’è mai stato.
I solchi non vanno e vengono. Mario Biondo si è suicidato e Raqhel Sanchez Silva non ha voluto che venissero resi pubblici i fatti suoi, fatti che nulla hanno a che fare con la morte del marito.
Riguardo alla morte di Mattia MIngarelli, in tanti, anche sulla tv pubblica, hanno gettato ombre sul gestore del rifugio e si sono spinti a ipotizzare l’omicidio mentre lei aveva mosso delle critiche a chi si era espresso in tal senso. Inventarsi omicidi chi danneggia?
1) I familiari di chi si è suicidato o è morto in seguito ad un incidente perché li devasta da un punto di vista economico.
2) I soggetti estranei ai fatti cui vengono “attribuiti” omicidi mai avvenuti. Dall’ingiusta persecuzione mediatica all’errore giudiziario vero e proprio.
3) I contribuenti italiani, i cui soldi vanno persi in indagini inutili che possono durare anche parecchi anni.
E invece chi favorisce?
1) I familiari di chi si è suicidato o è morto in seguito ad un incidente perché ne annulla il senso di colpa.
2) Il carrozzone che circonda un caso giudiziario.
Dottoressa, un suo breve commento sul caso Chico Forti
Non esiste un caso Chico Forti.
Forti non è stato incastrato, è lui l’autore dell’omicidio di Dale Pike.
Forti ha ucciso un uomo in un paese straniero ed è stato giudicato secondo le leggi di quel paese, ha poi usufruito degli appelli che aveva a disposizione e ha il diritto di chiedere la grazia al presidente americano, ma le critiche a inquirenti, giudici ed avvocati e le accuse rivolte ad un innocente sono inaccettabili.
Dottoressa, cosa vorrebbe dire ai suoi detrattori?
È chiaro che è più facile avere ragione quando ci si schiera dalla parte delle procure e dell’opinione pubblica. Io ho scelto di mettere le mie competenze al servizio delle vittime di errore giudiziario e purtroppo non sempre si riesce a far trionfare la verità.
Che cosa rende difficile il lavoro della difesa di un innocente?
Il diffuso pregiudizio nei confronti della difesa, un problema che affligge sia i magistrati che i giornalisti e poi i conflitti interni alla difesa, conflitti che possono risultare fatali per un indagato/imputato.
Dottoressa, quante cose avrebbe voluto ancora dirmi?
Tante.
Dottoressa, Buon 2021
Buon 2021 a lei ed alla redazione
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