CRAC CARICHIETI E FIDI FACILI, DEMOLITO IL CASTELLO ACCUSATORIO: TUTTI ASSOLTI
Dalla filiale di Potenza milioni di euro ai De Vivo, l’accusa di associazione a delinquere per truffa non regge: «Il fatto non sussiste»
Fidi facili dalla filiale di Potenza della Cassa di Risparmio di Chieti: «il fatto non sussiste». Con questa formula il Tribunale di Potenza, riunito in collegio presieduto da Baglioni, ha assolto tutti e sette gli accusati. Per quattro ipotesi di reato, invece, è stata dichiarata l’intervenuta prescrizione. Nessuna presunta associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Gli inquirenti avevano ravvisato, da parte loro, una certa “leggerezza” nell’elargire finanziamenti milionari e in particolar modo in favore dei noti imprenditori del capoluogo appartenenti alla famiglia De Vivo. Le persone coinvolte dall’inchiesta della Procura di Potenza sono Giuseppe Marone, in qualità di vice direttore generale e amministratore di fatto della Banca Cassa di Risparmio di Chieti, difeso dal Prof. Cimadomo, Roberto Libutti, in qualità prima di referente della filiale di Potenza e successivamente con dirette responsabilità in materia di credito, difeso dall’avvocato Bardi, Domenico De Vivo, socio di maggioranza della De Vivo spa, Giulio De Vivo, socio di maggioranza della De Vivo SpA e della società De Vivo Domenico and Co Srl, in qualità di intermediario con CariChieti per i finanziamenti, Michele Pergola, socio della società Domenico De Vivo SpA nonché suo referente finanziario, difeso dall’avvocato Pace, che assiste anche i due De Vivo di cui sopra, e Domenico Fontana, in qualità di legale rappresentante della ditta Europa cash, difeso dall’avvocato Fabrizio. Processato ma solo per l’accusa di concorso in truffa, e anche lui assolto come gli altri, Roberto Sbrolli, in qualità di direttore generale, difeso dall’avvocato Perrucci. Sbrolli fu licenziato nel novembre del 2014, poco dopo il commissariamento della Banca disposto dal ministero dell’Economia. Mentre il potentino Marone, stretto da un legame di parentela con Domenico De Vivo, di cui il primo è nipote, si dimise pochi mesi prima usufruendo di una consistente buona uscita: oltre mezzo milione di euro. Proprio riguardo a Marone, come emerso a dibattimento, l’accusa sosteneva che avesse esercitato una diretta ingerenza nelle pratiche di Domenico De Vivo, arrivando finanche, sia a fare pressioni indebite su dipendenti del servizio crediti della Banca che a falsificare «la documentazione amministrativa a sostegno della proposta all’approvazione del comitato esecutivo, eliminando dalla stessa le obiezioni alla concessione dei finanziamenti». Ad ogni modo, per l’accusa, erano state pilotate alcune concessioni di fidi alle società del gruppo De Vivo, o ad altre «allo stesso legate da stretti rapporti commerciali o societari», in violazione sia delle norme di vigilanza predisposte dalla Banca d’Italia che di quelle contenute nel regolamento interno dell’Istituto di credito. La genesi dell’inchiesta, coincide con un rapporto della Banca d’Italia sull’Istituto di Credito.
I commissari straordinari della Banca d’Italia avevano annotato come, in riferimento all’arco temporale compreso tra il 2009 e il 2014, fosse emersa una certa mala gestio. Gli inquirenti del capoluogo, poi, attenzionarono una serie di finanziamenti, erogati, come da impianto accusatorio, a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle stabilite dal mercato. Ciò, «pur in presenza di elevatissime condizioni di rischio non segnalate o artatamente celate (…) con adozione di una fittizia procedura d’urgenza; nonché in presenza di una valutazione sfavorevole del merito creditizio». Incrociando gli elementi dei report della Banca d’Italia con quelli dell’accusa, il delineato quadro descrittivo dell’apertura e della gestione della filiale di Potenza, come «operazione posta in essere contro gli interessi aziendali e fonte di ingenti pregiudizi (…) una filiale». Filiale, gestita «in totale autonomia», che ha «generato ingenti perdite in quanto praticamente tutti gli affidamenti sono andati a incaglio o a sofferenza». «Tra le posizioni incagliate hanno scritto i commissari di Palazzo Koch 18 milioni di euro sono da riferire al gruppo De Vivo (…). Nell’ambito dell’istruttoria per la concessione dei finanziamenti richiesti, gestita sostanzialmente dal Marone con la compiacenza del direttore generale Roberto Sbrolli è emerso il coinvolgimento di Domenico De Vivo in procedimenti penali con l’adozione di misure cautelari per gravissimi fatti di corruzione».
Mentre nelle conclusioni del rapporto, i Commissari di Palazzo Koch, così scrivevano: «su 75 posizioni residuali, al momento della chiusura della filiale potentina, 48 risultavano deteriorate, di cui 22 incagliate, ovvero composte da crediti inesigibili per Carichieti, e 26 in sofferenza, con un rischio totale identificato in 35 milioni di euro». Erano varie le ipotetiche truffe che gli inquirenti ritenevano di aver scoperto. Tra queste, per esempio, quella presunta e relativa alla concessione di finanziamenti per un ammontare di circa 3 milioni e mezzo di euro in favore delle società De Vivo SpA e Domenico De Vivo e Co srl. Scansionati anche altri finanziamenti, sempre erogati alla De Vivo SpA, per un totale di circa 5milioni e mezzo di euro. Altri transiti milionari vagliati dalla Procura, sono stati quelli inerenti il trasferimento di 4 milioni e 800 mila euro nelle casse della Europa Cash, una parte dei quali, poi, girata alla Domenico De Vivo SpA come saldo di posizioni debitorie. Tra i “paragrafi” dell’inchiesta, anche i cosiddetti castelletti di anticipo su sconto fatture di alcune delle società citate. In merito, secondo l’accusa, era stato applicato «il sistematico rinnovo dei predetti anticipi senza il preventivo “sconto” delle fatture già presentate». Adesso, però, a distanza di quasi 2 anni dal rinvio a giudizio, risalente al febbraio del 2018, il Tribunale di Potenza ha assolto dall’accusa principale, «perchè il fatto non sussiste», Marone, Libutti, i due De Vivo, Domenico e Giulio, Pergola, Fontana e Sbrolli, contestualmente dichiarando estinti, per intervenuta prescrizione, le altre 4 ipotesi di reato.