Coronavirus, la testimonianza: “Io disabile ricoverato per Covid vi chiedo di stare attenti”
Che poi io me li immagino, dopo una mia eventuale dipartita: “Eh ma era disabile, aveva una malattia genetica rara, sarebbe bastata una bronchite qualunque ad ucciderlo: è morto col Covid e non di Covid”
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IACOPO MELIO :
“Grazie a Repubblica per aver pubblicato tutta la lettera che ho scritto.
E grazie al personale sanitario che sta facendo un lavoro incredibile, prendendosi cura di ogni paziente con professionalità e amore.
(Che tristezza leggere, anche qui, commenti di chi travisa il messaggio o ritiene un essere pensante e scrivente “strumentalizzato dal sistema”. Che Babbo Natale possa portarvi un cervello il prossimo anno.) “
Coronavirus, la testimonianza: “Io disabile ricoverato per Covid vi chiedo di stare attenti”
di Iacopo Melio
“Nel reparto del San Giuseppe di Empoli è sceso l’inferno”. “Gli infermieri non hanno più cartellini di riconoscimento”
“So che diranno che se l’ho preso io che non uscivo da febbraio, tanto vale non pensarci. Ma non è così”
Io, ragazzo fragile al tempo del virus, vivo con la paura di non essere curato
di Iacopo Melio25 Novembre 2020
E poi ci sono io che ho paura di morire. Che quella, la paura, ce l’ho da un anno, o meglio ad ogni bronchite, ma adesso ha raggiunto il suo massimo picco. Così cerco di non pensarci ma ci penso comunque, perché la tosse si è calmata ma non i pensieri peggiori. Perciò scrivo queste righe sulle note del telefono, per urgenza e per bisogno come faccio sempre: anche ora che mi sembra tutto impossibile, lontano e confuso. Tutti i progetti di lavoro e di vita, di famiglia e amicizia, scomparsi sotto il peso che mi schiaccia il petto, incapace di espandersi, tra costole e vertebre che prendono fuoco. Perciò scrivo, in questa prima tregua, perché soffrire per niente non ha mai senso, e allora diamogli forma a questo dolore e facciamone qualcosa. Sempre e comunque, finché si può.
Sono le due di notte e i ruoli si sono invertiti. I malati, ridotti a numeri e grafici nei servizi dei tg, ora tornano ad avere una loro identità, una vita da curare in modo individuale, con pazienza e amore da parte del personale. Un’attenzione tanto costante quanto anonima, sin dal pronto soccorso: sulle tute sterili di chi combatte in prima linea non ci sono più i cartellini con foto tessere, nomi e cognomi, ruoli e gerarchie. Il Covid ha annullato anche questo, ogni cenno alle storie di OSS, infermieri e medici, tutto ciò che mi permetterebbe di ringraziarli, un domani, incontrandoli per caso, per strada o al cinema, a fare la spesa o al ristorante. Dove ritorneremo, molto presto, se li aiuteremo in questo sforzo collettivo soprattutto in queste feste. Oggi che loro sono tutti uguali, bianchi da capo a piedi, coi soli occhi scoperti ma appannati da una visiera di plastica, perché non c’è da perdere tempo e l’unico spazio è quello per l’azione, rapida e decisa, anche se è inverno ma fa un caldo bestia lì dentro.
Perché l’inferno è sceso al San Giuseppe, ma qualcuno continua a non voler capire. Il mare di scetticismo non si arresta, anzi si riversa attraverso di me e ciò che sono: “Se si è ammalato Iacopo che non usciva da febbraio… Se lo hanno contagiato i suoi genitori che sono sempre stati attenti… Se solo il babbo andava al lavoro e a fare la spesa… Se non hanno mai fatto vita sociale e si sono isolati in casa… Allora tutto ciò che ci viene richiesto, tutti i lockdown generalizzati e le chiusure dei locali, le mascherine da indossare e le norme igieniche imposte… Sono inutili o inefficaci, perciò tanto vale tornare a vivere come prima, e rimettersi alla sorte se davvero esiste un contagio”.
Io, ragazzo fragile al tempo del virus, vivo con la paura di non essere curato
di Iacopo Melio25 Novembre 2020
Che poi io me li immagino, dopo una mia eventuale dipartita: “Eh ma era disabile, aveva una malattia genetica rara, sarebbe bastata una bronchite qualunque ad ucciderlo: è morto col Covid e non di Covid”.
Ancora molto, avrebbero loro detto, di quel che a stento riesco a leggere in queste ore. Dalla mia camera del 5A3 del San Giuseppe di Empoli, reparto Covid, mentre fuori le ambulanze non smettono di strillare.
Per questo scrivo, perché chiudere gli occhi qui è impossibile: sono le due di notte e l’inferno è già sceso.
Non smettiamo di pensarci, non smettiamo e stiamo attenti.”
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