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IN BILICO TRA LA FINITEZZA UMANA LEOPARDIANA E L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ALTRE STELLE

Savino, già Sottosegretario di Stato, a confronto con i rebus pandemici e la decodificazione dei nuovi enigmi escatologici

Il 2020 passerà alla Storia  come l’anno in cui cadde  la fiducia nelle “magnifiche  sorti e progressive”?  Un anno che segnerà la crisi  dell’ottimismo scientifico tecnologico,  costruitosi – passo  dopo passo – da Galilei in  poi? Prevarrà il pessimismo,  la visione di Leopardi sulla finitezza  umana, che «il solo fine  della natura è la conservazione  della specie»?  O andremo oltre? L’anno  nuovo ci risolleverà con il  vaccino anche se – purtroppo  -consapevoli che questo non  basterà a normalizzare la situazione  e che non si conosce  il suo esito finale? Né si sa  per quanto tempo resteremo  immuni e se – essendolo – saremo  contagiosi. Il carattere  subdolo del Coronavirus obbliga  al dubbio che l’insidia possa  ripetersi con altri organismi in  un qualsiasi posto e  dappertutto nel pianeta!  Peggio, dunque, dell’eruzione  del Vesuvio, sulle cui pendici  meditava il Leopardi.  E peggio dello stesso stato di  guerra, entrambi prevedibili in  qualche misura, di certo percepibili  e localizzabili, come  i terremoti, le meteore e i cataclismi…  l’atomica stessa!  Rispetto a questi disastri l’umanità  era a difese fondate  sulla solidarietà: con i cinque  sensi, con la scienza e la tecnica  rispetto ai pericoli. Ora  dipendiamo invece da miserrimi  tamponi, obbligati ad impostare  le nostre vite in opposizione sia  alla solidarietà che  alla stessa funzione riproduttiva!  Dunque, obbligati a  maggior pessimismo del Poeta,  scettici persino circa «il  solo e vero fine della natura»?  L’amante – dubitando del contagio  – non può nemmeno baciare  l’amato; e, nella misura  in cui ama, non può non obbligarsi  a tutelare e a tutelarsi!  Siamo dunque fuori dalla  «conservazione della specie»,  non potendoci fidare dello stesso  tampone, che vale soltanto  “per il prima” e non più  per l’attimo successivo; e  nemmeno soccorrendoci il  profilattico, come di recente contro  l’Aids?  Tirando le somme, dall’età in  cui Galilei aveva spiegato che  le «leggi della natura sono  scritte in termini matematici»  siamo dunque regrediti alla  condizione radical – mente  nuova della totale imprevedibilità:  opposta alla fiducia nel  vitalis modella Natura. Dunque,  al peggio rispetto al leopardiano  pessimismo cosmico?  Giorni fa, Marta Cartabria,  la Presidente emerita  della Corte Costituzionale, ha  ricordato sul Corsera l’itinerario  dantesco dallo “smarrimento”  al “riveder le stelle”:  la prospettiva lungo la quale  l’Umanità è ora attesa allo  sforzo di superare il dubbio e  ricercare nuovi approdi.  Ma questa nostra epoca è tanto  diversa che, al culmine dell’orgoglio  per le nostre orme  sulla luna e l’avanzamento  nella stessa conoscenza dell’Universo,  nessuno può più  sfuggire al dubbio d’essere  contagioso e d’inquinare  l’ambiente.  Il 2020 ci ha dunque traghettati  dalla probabilità all’incertezza,  dalla felicità dell’attimo  alla paura del virus,  che può essere in agguato anche  in quell’attimo.  Si tratta dunque di un mutamento  epocale, determinato  dall’impossibilità di escludere l’imprevedibile:  l’uscita  dalle nostre sensibilità, dalle  nostre esistenze!  È questa la nostra nuova condizione  almeno fino a quando  i processi naturali non saranno  a tal punto conosciuti  da potersi riportare il tutto alla  razionalità del numero? Non  resta dunque che affidarci alla  conoscenza ed alla ricerca,  ben attenti a non abbandonarci  agli embrassons-noused  al vitalismo delle calche?  Interrogativi apertissimi, finché  non riusciremo a combinare  l’algoritmo per ricostruire  come si “move il sole  e l’altre stelle”.  Un obiettivo nel quale, purtroppo,  non possiamo più esser  fiduciosi!

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