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LE DONNE LUCANE PROTAGONISTE NELLA PANDEMIA

La consigliera regionale di Parità Pipponzi ribadisce l’importanza della visione femminile e sprona le Istituzioni ad atti concreti per conciliare famiglia e lavoro

Senza dubbio il 2020 – anche lucano  – è stato caratterizzato dall’emergenza  sanitaria che ha comportato  riverberi negativi anche in ambito  socio-economico, come ho avuto  modo di verificare stante la mia attività  istituzionale che offre un osservatorio  “privilegiato” sulle questioni di genere,  specie del mondo del lavoro. Proprio  a partire dal primo lockdown ho  monitorato tutte le problematiche territoriali  in termini di perdita di occupazione  femminile.  Abbiamo osservato, da un lato, come  le donne lucane siano state protagoniste  della tenuta del territorio (penso al  personale medico e paramedico, alle lavoratrici  delle filiere alimentari, etc.),  dall’altro lato abbiamo osservato la perdita  di moltissimi posti di lavoro, specie  nel terziario e nei servizi, ambiti nei  quali le donne lucane sono maggiormente  occupate.  In Italia si registrano 430 mila occupate  in meno rispetto al secondo semestre  del 2019, di cui 323 mila sono donne  occupate a tempo determinato (sappiamo  quanto il part time, anche involontario,  sia una questione stringente per  le lavoratrici, segnatamente quelle lucane).  Tanto ha portato l’occupazione femminile  italiana al divario di genere dell’anno  2017, attestandosi al 48,4%. La  Basilicata, al 32% nel 2019, certamente  segnerà nel 2020 percentuali inferiori  stanti i dati che, unitamente all’Ispettorato  Territoriale del Lavoro di Potenza  e Matera, stiamo elaborando anche  con riferimento alle convalide delle  dimissioni delle lavoratrici madri e  dei lavoratori padri. Nel primo semestre  del 2020, infatti, abbiamo rilevato  come il 90% delle dimissioni delle lavoratrici  – neo mamme riguardi la mancanza  di misure strutturali a sostegno  della maternità ed afferisca anche alle  scarse misure conciliative vita/lavoro;  situazione aggravata dalla nuova modalità  lavorativa in smart working che,  per molte donne, ha significato anche  svolgere più turni lavorativi, costrette  tra carichi di cura, didattica a distanza  e lavoro da remoto.  Da qui l’istituzione da parte del mio Ufficio  del primo Osservatorio Regionale  sullo Smart Working in ottica di genere,  per monitorare il fenomeno e supportare  le lavoratrici.  Un discorso più approfondito meritano,  perciò, le numerose lavoratrici impegnate  nello“Smart working” (seppure  in modalità semplificata), che per un  verso ha costituito un’efficace misura  di contenimento della propagazione del  virus ed un valido sostegno alla conciliazione  vita/lavoro, dall’altro ha costituito  l’ennesima tagliola segregativa per  le lavoratrici spesso impegnate anche  nella didattica a distanza dei propri figli.  È necessario rilevare che spesso le  lavoratrici sono poco ferrate quanto all’uso  del digitale stante il gender digital  divide che scontano le donne lucane.  E’ importante sottolineare, peraltro, che  spesso la casa (quale luogo di svolgimento  del lavoro Agile) non si è rivelata  un luogo sicuro se pensiamo all’aumento  dei casi di violenza domestica  registrati (oltre 73% di chiamate  in più al numero antiviolenza 1522 rispetto  allo stesso periodo del 2019).  Lo Smart Working, invero, dalla sua  istituzione (2017) è stato da me fortemente  caldeggiato e promossopresso le  aziende pubbliche e private lucaneconvinta  che, quale forma di lavoro “agile”,  flessibile e organizzabile, possa costituire  un valido ed efficace aiuto alla  conciliazione ed una via alternativa al  part time. Voglio ricordare il progetto  pilota da me strutturato nel 2018 unitamenteal  CUG ARPAB che ha costituito  un modello virtuoso adottato da tante  Pubbliche amministrazioni lucane.  Quando detto si collega anche agli approdi  cui sono pervenuta con il“Rapporto  Biennale sul personale femminile  delle aziende medio-grandi” del  2019, da me redatto come azione istituzionale  prevista dal Codice sulle Pari  Opportunità, da cui risulta che l’86%  dei contratti part time è donna. La motivazione  principale della scelta del part  time è costituita dagli obblighi di cura  per la famiglia e per i figli che incombono  sulla lavoratrice. Come è noto, il  part time comporta un divario retributivo  rispetto agli uomini in full-time, e  così va ad incidere sul reddito femminile  lungo tutto l’arco di vita: stipendi  inferiori espongono le donne al rischio  di povertà anche in vecchiaia a causa  di pensioni troppo basse, a ragione degli  inferiori versamenti contributivi.  E’ sin troppo evidente che una parità  contrattuale e retributiva, e quindi economica  e sociale, tra donne e uomini  inciderebbe positivamente sulle dinamiche  dell’economia e della società, segnatamente  sulla produzione del PIL,  come emerge in maniera chiara da un  recente studio di Bankitalia.  In questo ambito, l’applicazione dello  smart working diverrebbe un efficace  deterrente anche per le dimissioni, sostenendo  le lavoratrici e, perciò, le famiglie.  E’ noto, infatti, come le dimissioni  siano una delle piaghe della società,  considerati gli elevati che annualmente  le Consigliere di parità registrano  unitamente all’Ispettorato del  lavoro. I dati del 2019 (e quelli parziali  del 2020, come sovra esposto)confermano  che il fenomeno delle dimissioni/  risoluzioni consensuali interessi in  misura predominante le lavoratrici madri:  nel 2019 in Basilicata i due provvedimenti  hanno interessato l’87% di  lavoratrici con figli, aumentando di 3  punti percentuali rispetto all’anno precedente.  Le convalide relative ai lavoratori padri  hanno inciso per il 10%. Risalta una sostanziale  differenza di genere nella motivazione  della dimissione: per gli uomini  risulta prevalentemente il cambio  di azienda, mentre per le donne risulta  la cura della famiglia.  Questa rappresentazione evidenzia una  reale difficoltà di conciliare la vita/lavoro  quindi la necessità di un cambio  culturale all’interno delle aziende; da  qui l’incentivazione della concessione  dei congedi obbligatori di paternità e  premialita’ per le aziende che applichino  il Codice sulle pari opportunità  come policy aziendale, convinta che la  questione della maternità/paternità non  sia un “problema” che riguardi solo la  coppia ma l’intera società, stanti gli evidenti  riverberi negati legati alla denatalità.  L’emergenza Covid-19 ha accelerato, come mai accaduto finora, una rivoluzione,  un cambiamento strutturale che  va incoraggiato e seguito, ma anche  monitorato con attenzione, per definire  regole mirate per i lavoratori e le lavoratrici,  le aziende il sistema economico  e sociale.  Per questo ritengo che sia oltremodo necessario ripartire dalle donne, perché  è giusto, equo, fa bene ed è utile.

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